Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29004 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. II, 27/12/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 27/12/2011), n.29004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.F. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato AFELTRA

Roberto, presso lo studio del quale in Roma, Piazza Don Minzoni n. 9,

è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

COCIF società cooperativa (C.F. e P.I.: (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per

procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati GHINELLI

Maurizio e Luisa Gobbi, elettivamente domiciliata presso lo studio

della seconda in Roma, via Ennio Quirino Visconti n. 103;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna n.

168 del 2009, depositata in data 16 febbraio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26 ottobre 2011 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti gli Avvocati Roberto Afeltra e Francesco Pecora, con delega;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, il quale ha concluso in senso conforme alla relazione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che M.F. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Rimini per il pagamento, in favore della società cooperativa COCIF, della somma di L. 65.513.744, oltre interessi convenzionali al tasso del 23% annuo;

che costituitosi il contraddittorio, con sentenza non definitiva in data 22 dicembre 2000, il Tribunale di Rimini ha rigettato le eccezioni di difetto di legittimazione passiva e di incompetenza territoriale avanzate dal M.;

che, con successiva sentenza definitiva, il medesimo Tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e ha condannato il M. al pagamento della minor somma di Euro 25.777,58, pari a L. 49.912.360, oltre interessi convenzionali nella misura del 23% annuo, se rientranti nel tasso soglia;

che la Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 168 del 2009, depositata il 16 febbraio 2009, ha confermato le sentenze impugnate;

che M.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolando quattro motivi di ricorso, cui ha resistito, con controricorso, l’intimata società;

che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso con il rito camerale, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

“(…) Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto processuale (art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione all’art. 347 del medesimo codice), dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto ininfluente al fine di decidere l’omessa trasmissione del fascicolo d’ufficio di primo grado.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia “violazione falsa applicazione di norme diritto processuale – Difetto di motivazione (insufficienza) su punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 33 c.p.c., artt. 18 e 20 c.p.c”. La Corte d’appello avrebbe errato nell’applicare nel caso di specie l’art. 33 cod. proc. civ., giacchè tale disposizione prevede un criterio inapplicabile ove venga favorito e preferito il foro dell’attore.

Con il terzo motivo, il M. lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Difetto di motivazione (insufficienza e contraddittorietà) su punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1341 c.c., comma 2, art. 1224 c.c., art. 1936 c.c., e segg., alla L. n. 108 del 1998, art. 1, e segg.; all’allegato A al D.M. 22 marzo 1997”.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce “Violazione di legge – Difetto di motivazione (insufficienza e contraddittorietà) su punto decisivo della controversia – Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 342, 187 c.p.c., art. 324 c.p.c.”.

Il ricorso appare inammissibile.

I motivi di ricorso con i quali viene dedotta violazione di norme di diritto, non si concludono con la formulazione del quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile nel caso di specie, essendo stata impugnata una sentenza depositata prima del 4 luglio 2009, e cioè prima della intervenuta abrogazione della citata disposizione.

I motivi sono inammissibili anche nella parte in cui denunciano vizio di motivazione, trovando applicazione il principio per cui “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (Cass., S.U., n. 20603 del 2007). In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).

Nella specie, difettano sia la chiara indicazione del fatto controverso, sia il momento di sintesi che deve accompagnare il motivo di ricorso formulato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5.

Sussistono pertanto le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”;

che il Collegio condivide tale proposta di decisione, non risultando le deduzioni svolte dal ricorrente, sia nella memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ., sia in sede di discussione orale, idonee ad indurre a diverse conclusioni;

che invero, il ricorrente, se da un lato prende atto della insussistenza dei quesiti di diritto relativamente alle censure con le quali ha prospettato violazione di legge, dall’altro sostiene che nella parte in cui vengono denunciati vizi di motivazione il ricorso sarebbe redatto conformemente alle prescrizioni dell’art. 366 bis cod. proc. civ., comma 2;

che tale secondo assunto non appare però accoglibile, dovendosi qui rilevare che il vizio di motivazione è stato denunciato dal ricorrente congiuntamente ai vizi di violazione di legge;

che trova quindi applicazione il principio per cui il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è sì ammissibile, ma esso deve concludersi “con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto” (Cass., S.U., n. 7770 del 2009);

che ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007);

che del resto, le deduzioni del ricorrente, il quale invita il Collegio ad “estrapolare” all’interno del secondo e del terzo motivo singole frasi alle quali potrebbe riconoscersi il valore di enunciazione del fatto controverso e di momento di sintesi, nei sensi indicati, appare contraria allo spirito per il quale il legislatore del 2006 ha previsto che i motivi di ricorso di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., si concludessero con un quesito di diritto e che quelli di cui al n. 5 recassero la chiara indicazione del fatto controverso e la indicazione delle ragioni per le quali la motivazione della sentenza impugnata fosse da ritenersi viziata;

che all’evidenza, la lettura che il ricorrente sollecita in ordine a singoli passaggi del secondo e del terzo motivo, al fine di individuare in essi proposizioni rispondenti alle indicazioni dell’art. 366 bis cod. proc. civ., comma 2, non può essere seguita, pena la vanificazione della portata della citata disposizione, come interpretata in modo condiviso dal Collegio, dalla giurisprudenza anche delle Sezioni Unite di questa Corte;

che si deve solo aggiungere che non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, che all’art. 47 ha abrogato l’art. 366 bis cod. proc. civ., era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che, invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass. n. 22578 del 2009; Cass. n, 7119 del 2010);

che in conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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