Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29003 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. I, 12/11/2018, (ud. 17/10/2018, dep. 12/11/2018), n.29003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16132/2014 proposto da:

Sicilcassa S.p.a. in l.c.a., in persona dei commissari liquidatori e

legali rappresentati pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Viale dell’Università n. 27, presso lo studio dell’avvocato Meli

Vincenzo, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune Roccapalumba, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli

avvocati Pecoraro Giovanni e Lomeo Guido, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 420/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/10/2018 dal Cons. Dott. FRANCESCO TERRUSI;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto

del primo motivo, l’accoglimento del secondo, assorbito il terzo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Sicilcassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa ricorre per cassazione nei confronti della sentenza con la quale la corte d’appello di Palermo ha confermato (per la sorte capitale) la domanda di ammissione al passivo proposta dal comune di Roccapalumba in relazione al versamento della somma di Euro 205.191,94, eccedente il capitale mutuato in forza di un contratto ritenuto affetto da nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c..

La corte d’appello ha accertato che tra le parti era stato stipulato un contratto di mutuo senza che fosse previamente intervenuta una dichiarazione di indisponibilità alla concessione da parte della Cassa depositi e prestiti, sicchè la stipulazione aveva violato la norma imperativa dettata dal D.L. 31 agosto 1987, n. 359, art. 9, conv. con modificazioni in L. 29 ottobre 1987, n. 440, art. 9.

La ricorrente ha articolato tre motivi, illustrati da memoria, ai quali il comune ha replicato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo, denunziando la violazione o falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., comma 1, in relazione alle conseguenze della violazione del D.L. n. 359 del 1987, art. 9, la ricorrente censura la sentenza poichè, fuori dai casi in cui la nullità di un contratto sia espressamente comminata, non necessariamente la violazione di norme imperative deve condurre al suddetto esito; ciò può avvenire solo laddove la violazione incida sul sinallagma contrattuale, come deve desumersi per similitudine con la giurisprudenza a dire della ricorrente formatasi sul tema dei mutui fondiari eccedenti il limite di finanziabilità. Richiamando la nota distinzione tra regole di validità e regole di condotta, Sicilcassa sostiene che la norma che si assume violata (abrogata dal D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, ma qui ancora applicabile ratione temporis) imponeva all’ente locale di acquisire la indisponibilità della Cassa depositi e prestiti prima di poter concludere un contratto con un finanziatore esterno; e dunque supponeva solo una regola di condotta per l’ente locale medesimo, col fine di ricercare le più favorevoli occasioni di finanziamento attingendo al libero mercato, ove le condizioni reperite potessero ritenersi più vantaggiose rispetto a quelle che la Cassa depositi e prestiti era disposta a praticare.

2. – Col secondo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., essendo stata omessa la pronuncia in ordine alla domanda subordinata di riconoscimento degli interessi legali sulla somma oggetto del mutuo già goduto dal comune, da portare in compensazione.

3. Col terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, la ricorrente denunzia infine la violazione degli artt. 1282,1284 e 2041 c.c.r essere stata disattesa la domanda di riconoscimento degli interessi al tasso legale sulle somme mutuate.

4 – Il primo motivo è infondato.

A proposito dei mutui degli enti locali, del D.L. n. 359 del 1987, art. 9 (come convertito) così disponeva al primo comma: “i comuni, le province e loro consorzi non possono stipulare contratti di mutuo con istituti diversi dalla Cassa depositi e prestiti se non dopo che la Cassa stessa abbia manifestato la propria indisponibilità alla concessione del mutuo. Tale divieto non si applica ai mutui da assumere con la Direzione generale degli istituti di previdenza del Ministero del tesoro e con l’Istituto per il credito sportivo. La Cassa depositi e prestiti deve comunicare la propria indisponibilità entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione della richiesta. La mancata risposta, trascorso tale termine, equivale a dichiarazione di indisponibilità”.

La stessa norma aggiungeva, al comma 2che: “I contratti di mutuo di cui al presente articolo con enti diversi dalla Cassa depositi e prestiti e dalla Direzione generale degli istituti di previdenza del Ministero del tesoro devono, a pena di nullità, essere stipulati in forma pubblica e contenere le seguenti clausole e condizioni:

a) ammortamento per periodi non inferiori a cinque anni, ove non diversamente previsto con il decreto di cui al comma 3, con decorrenza dal 1 gennaio dell’anno successivo a quello della stipula del contratto;

b) la rata di ammortamento deve essere comprensiva, sin dal primo anno della quota capitale e della quota interessi;

c) indicare esattamente la natura della spesa da finanziare col mutuo e ove necessario, avuto riguardo alla tipologia dell’investimento, dare atto dell’intervenuta approvazione del progetto esecutivo, secondo le norme vigenti al momento della deliberazione dell’ente mutuatario;

d) prevedere l’utilizzo del mutuo in base ai documenti giustificativi della spesa ovvero sulla base di stati di avanzamento dei lavori secondo quanto previsto dalla L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 19, ove disposizioni legislative non dispongano altrimenti. Per gli enti locali soggetti al sistema di tesoreria unica di cui alla L. 29 ottobre 1984, n. 720, i pagamenti a valere sulle somme rivenienti da mutui e riversate nell’apposita contabilità speciale aperta presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato, sono eseguiti dai tesorieri solo se i relativi titoli di spesa sono corredati da una dichiarazione del legale rappresentante dell’ente, attestante che la somma è riferita al pagamento di stati di avanzamento dei lavori, secondo quanto previsto dalla L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 19, ovvero attestante il rispetto delle modalità previste dal contratto di mutuo nei casi in cui il mutuo stesso non sia stato concesso per la realizzazione di opere pubbliche”.

E’ il caso di sottolineare, inoltre, che il terzo comma a sua volta stabiliva che spettasse al ministro del Tesoro, con proprio decreto, determinare periodicamente le condizioni massime applicabili ai mutui da concedere agli enti locali territoriali o altre modalità tendenti a ottenere una uniformità di trattamento.

5. – Contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, la ratio della disposizione non era da individuare semplicemente nella necessità di consentire la ricerca di più favorevoli occasioni di finanziamento da parte dell’ente locale, sebbene nell’intendimento di porre un argine all’indebitamento con soggetti diversi dalla Cassa depositi e prestiti.

In tal senso rileva giustappunto il coordinamento tra i due commi – primo e secondo: l’uno implicante un divieto di ordine generale a contrarre con istituti diversi dalla Cassa depositi e prestiti, se non dopo la ricezione del diniego di questa entro un congruo termine (“non possono stipulare contratti di mutuo con istituti diversi”); l’altro supponente la nullità (testuale) dei contratti posti in essere con enti diversi dalla Cassa depositi e prestiti finanche ove questa avesse manifestato (espressamente o tacitamente) la propria indisponibilità, se non stipulati in forma pubblica e non contenenti le clausole e le condizioni indicati dalle legge.

Trattandosi di un limite (e anzi di un divieto) a contrarre, direttamente stabilito dalla legge, non può sostenersi che la violazione fosse relegabile nel contesto delle mere regole di condotta.

7. – Parte ricorrente pone a fondamento della diversa tesi due argomenti: il primo sarebbe rappresentato dalla similitudine coi principi evinti dall’orientamento formatosi in tema di mutui fondiari eccedenti il limite di finanziabilità (Cass. n. 26672-13); il secondo andrebbe associato al discrimine, appunto, tra norme di validità e norme di comportamento come consolidato dalle Sezioni unite di questa Corte sul tema dell’intermediazione finanziaria (Cass. Sez. U. n. 26724-07).

Tuttavia nessuno degli argomenti appare centrato.

Non il primo, per l’essenziale ragione che questa sezione ha recentemente sottoposto a revisione critica l’orientamento al quale la ricorrente allude, che reputava valido il contratto di mutuo fondiario che pur fosse stato stipulato in violazione del limite di finanziabilità. Sicchè al riguardo il riferimento della ricorrente è inattuale: “in tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità del D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 38, comma 2, è elemento essenziale del contenuto del contratto e il suo mancato rispetto determina la nullità del contratto stesso (con possibilità, tuttavia, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario ove ne sussistano i relativi presupposti), e costituisce un limite inderogabile all’autonomia privata in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato, volto a regolare il quantum della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ed agevolare e sostenere l’attività di impresa” (Cass. n. 17352-17, Cass. n. 19016-17, Cass. n. 13286-18).

Non il secondo, poichè – come questa sezione ha già sottolineato proprio nella ripetuta sentenza n. 17352-17 – la distinzione tra regole di validità e regole di condotta deve essere intesa nello specifico senso indicato dalle sezioni unite; il qual senso è esattamente opposto a quanto ritenuto da Sicilcassa.

7. – E’ certamente vero che nella nullità del contratto per contrarietà a norme imperative (cosiddetta “nullità virtuale”) deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altamente stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, ma riguardanti il comportamento dei contraenti (la quale può essere fonte di responsabilità: v. Cass. n. 25222-10 e Cass. n. 8462-14).

Non è men vero, però, come le sezioni unite hanno ben chiarito nella citata prima decisione, che l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418 c.c., comma 1, è più ampia di quanto dovrebbe desumersi dal mero riferimento della norma al contenuto del contratto; nel senso che rientrano in ciò la cui violazione comporta la nullità cd. virtuale sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto.

Ove il contratto sia concluso in difetto per esempio di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalle legge, o in mancanza della rimozione di situazioni dalla stessa legge previamente ritenute impedienti, è naturale inferire che la violazione non attenga in sè alla condotta della parte, ipoteticamente a base di una responsabilità, ma alla stessa possibilità di stipulare validamente il contratto.

E allora, come le sezioni unite hanno efficacemente rilevato, “se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa”.

In tal senso non può revocarsi in dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni di natura pubblicistica, alle quali, nelle dianzi ritenute circostanze, è legato il divieto di stipulazione.

8. – Il caso di specie è in certo senso emblematico, giacchè in base all’art. 9 del D.L. citato non si è trattato di violare norme di comportamento afferenti alla concreta modalità di una trattativa o alle modalità di attuazione degli obblighi discendenti dal contratto per una delle parti (queste sì fonte di responsabilità), ma del fatto che il contratto di mutuo sia stato stipulato con un ente diverso dall’unico col quale il comune avrebbe dovuto previamente interloquire (la Cassa depositi e prestiti), in una situazione in cui, dunque, essendo mancata l’interlocuzione, la stipulazione del mutuo a condizioni di libero mercato era radicalmente impedita.

9. – Il secondo motivo è invece fondato.

Risulta dal ricorso, e non è smentito dalla difesa del comune, che in appello Sicilcassa aveva riproposto anche la domanda finalizzata a ottenere l’accertamento della somma corrispondente all’ammontare degli interessi legali, al tasso vigente pro tempore, su quanto era stato erogato al comune di Roccapalumba, onde opporre il relativo credito in compensazione.

Tale domanda, veicolata mediante apposito motivo di gravame avverso la decisione di primo grado che nulla aveva statuito sul punto, non risulta esaminata dalla corte d’appello; nè la medesima può considerarsi implicitamente respinta – come invece paventato dalla difesa del comune – poichè nessuna incompatibilità emerge tra essa e l’unica che, in aggiunta al profilo di nullità del mutuo, la Corte d’appello ha scrutinato, che è quella relativa agli interessi legali infondatamente (a dire della stessa corte) pretesi dal comune sulle somme reclamate a titolo di indebito.

10. – Il terzo motivo è assorbito.

L’impugnata sentenza va dunque cassata in relazione al secondo motivo di ricorso.

Segue il rinvio alla medesima corte d’appello, la quale, in diversa composizione, provvederà a esaminare l’afferente censura nonchè a regolare le spese anche riguardanti il giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Palermo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

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