Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29002 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. I, 12/11/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 12/11/2018), n.29002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8360/2017 r.g. proposto da:

F.C., (cod. fisc. (OMISSIS)), in proprio e quale genitore

della minore Fa.Ch., rappresentato e difeso, giusta procura

speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Carla Lettere,

con la quale elettivamente domicilia in Roma, alla via Giuseppe

Palumbo n. 3, presso lo studio dell’Avvocato Alessia Lombardi.

– ricorrente –

contro

S.E., (cod. fisc. (OMISSIS)), quale curatore speciale

della minore Fa.Ch., rappresentata e difesa, giusta procura

speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato

Antonella Mastrocola, presso il cui studio elettivamente domicilia

in Roma, al Viale delle Milizie n. 9.

– controricorrente –

e

f.f., (cod. fisc. (OMISSIS)), COMUNE DI ROMA, quale

tutore provvisorio della minore Fa.Ch., PROCURA GENERALE DELA

REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA, Sezione per i

Minorenni, depositata in data 01/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2018 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La Corte di appello di Roma, Sezione per i Minorenni, con sentenza del 14 febbraio/1 marzo 2017, n. 1357, statuendo sui corrispondenti e separati gravami, da essa riuniti, proposti da f.f. e F.C., genitori della minore Fa.Ch., confermò la decisione del tribunale per i Minorenni di quella stessa città che aveva dichiarato lo stato di adottabilità della suddetta minore.

1.1. Quella corte, all’esito di un lungo ed articolato percorso motivazionale descrittivo dell’intero iter giudiziario che aveva coinvolto la f. ed il F. ancor prima della nascita della figlia, proseguendo, poi, successivamente, senza soluzione di continuità, ed alla stregua di quanto emerso dalle numerose relazioni svolte medio tempore da personale dei servizi sociali e dei centri in cui la piccola C. aveva trovato accoglienza, evidenziò: 1) che la f. “…ha reiteratamente posto in essere comportamenti gravemente lesivi del diritto della figlia a crescere serena ed equilibrata. Nei primi due mesi di vita, la portava in giro con sè vagando senza meta da mattina a sera e nutrendola tutto il giorno con il latte preparato una sola volta. L’unica vera preoccupazione al momento dell’inserimento in casa famiglia è stata quella di non poter utilizzare il cellulare per contattare l’esterno. Ha, poi, avuto atteggiamenti aggressivi, con parole volgari, urla nei confronti della figlia, quando la stessa cominciava ad interagire con gli altri bambini la voleva isolare chiudendola in camera. Dopo un periodo di miglioramento, ottenuta la possibilità di effettuare incontri liberi con la figlia, si è ben guardata dal proteggerla facendole, invece, frequentare una persona che, secondo quanto dichiarato dalla bambina, l’avrebbe molestata sessualmente e che, ubriaca, si è presentata con la f. ed ha baciato in bocca e dato pacche sul sedere alla piccola strattonandola e minacciandola. Da quando è uscita dalla casa famiglia (ossia dal 2014) la f., come riferito da ultimo dagli assistenti sociali, non ha continuato il percorso di sostegno psicologico intrapreso. Attualmente non è in grado non solo di comprendere le ragioni che hanno portato alla dichiarazione di abbandono, ma anche di avere un progetto per il futuro della figlia che abbia le pur minime caratteristiche di concretezza e serietà. In tale contesto l’asserzione di volere bene a C. e di esserle profondamente legata, contenuta negli scritti difensivi, oltre a scontrarsi con il reale disinteresse dato dalla totale assenza di richieste di aggiornamenti sullo stato della figlia in occasione dell’ultima visita degli assistenti sociali, si rivela come un’affermazione del tutto priva di riscontri dietro cui si tenta di celare l’assoluto vuoto progettuale. Parimenti la figura della nonna materna, che non ha dichiarato di volersi assumere l’incarico di accudire la nipote o di aiutare la figlia in questo, risulta del tutto estranea alla bambina e, quindi, non può essere considerata ai fini della presente decisione” (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata); che, quanto al F., “.. sussiste una totale assenza di progettualità riguardo al rapporto genitoriale in funzione di una serena crescita di C.. Non può qualificarsi come progetto, e nemmeno come base per poter tentare di valorizzare una legame affettivo che possa essere utile alla minore, il fatto di volere che la bambina stia stabilmente presso terzi mantenendo con la stessa contatti di crescita di imprecisata frequenza per poi, forse, essere cercato una volta che C. sia cresciuta. La prognosi di recupero, al contrario di quanto ritenuto dall’appellante, risulta tanto più sfavorevole se si considera il comportamento tenuto nel corso degli anni…” (cfr. pag. 11-12 della sentenza impugnata); 3) quanto alle condizioni di Fa.Ch., che “l’ultima relazione del novembre 2016 ha attestato un miglioramento della situazione rispetto alla cessazione dell’affidamento eterofamiliare, ma comunque uno stato di fondo preoccupante, con tendenza alla depressione. Il tema della famiglia, infatti, come già evidenziato nella precedente relazione è predominante nel gioco della bambina ma sembra assumere valenze post-traumatiche in quanto connotato da una ripetizione stereotipata di ruoli e situazioni. Anche se la maggior acquisizione identitaria di C. l’ha portata, in alcune occasioni, ad assumere lei stessa un ruolo accudente e protettivo (quando nel gioco ha impersonato la mamma o la sorella maggiore), per la maggior parte del tempo degli ultimi incontri C. ha messo in scena rappresentazioni familiari (con bambolotti o le Barbie) in cui è presente una madre cattiva ed un padre abbandonico o traditore, in quanto deve scegliere tra due figure femminili alternative. Rispetto alle figure di accudimento reali, la bambina ha nominato alcune volte i signori I. – O. e le loro figlie (gli ex affidatari) ma non ha mai nominato i genitori naturali. Ha espresso il permanere di una rappresentazione simbolica di figure genitoriali insensibili, rifiutanti ed abbandoniche, mostrando di essere ancora impegnata nell’elaborazione delle esperienze passate…” (cfr. pag. 18-19 della sentenza impugnata).

1.2. Concluse, quindi, che Fa.Ch. non potesse “permettersi di attendere i tempi di un rispristino e di un’evoluzione positiva dei rapporti con il padre e con la madre naturali od anche con uno solo di essi”: evoluzione che, comunque, per tutti i vissuti pregressi così come specificamente analizzati dalla medesima corte, appariva “altamente improbabile” (cfr. pag. 19 della decisione impugnata).

2. Avverso la descritta decisione, ricorre F.C., affidandosi a quattro motivi, resistiti solo dal nominato curatore speciale della predetta minore, mentre non hanno spiegato difese il tutore di quest’ultima (Sindaco del Comune di Roma), la f. e la Procura Generale presso la suddetta corte di appello. Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..

2.1. I suddetti motivi prospettano, in sintesi, rispettivamente:

1) “Errore in procedendo”. Si sostiene che la sentenza impugnata “è viziata per contraddittorietà della motivazione, non avendo la corte distrettuale tenuto in considerazione il percorso di recupero intrapreso dal padre che ha sempre manifestato la volontà di prendersi cura della figlia. La suddetta corte ha fondato la propria decisione con riferimento alla figura paterna su una serie di circostanze non riferibili a comportamenti tenuti dal F., ma riconducibili esclusivamente a terze persone, ovvero dando rilevanza al comportamento tenuto in udienza di comparizione delle parti… I Giudici di Appello hanno omesso di verificare l’esistenza di un progetto di vita serio, affidabile e realizzabile accompagnato da elementi oggettivi di riscontro, pur avendo il padre seguito tutte le indicazioni e le misure attivate per il sostegno che, in un primo momento, ben facevano depore per un recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con le necessità della bambina…” (cfr. pag. 6-7 del ricorso). Si aggiunge che “nel vizio di motivazione della sentenza impugnata rientra, inoltre, la parte della sentenza nella quale si richiamano le relazione del Centro Fragosi e dei Servizi Sociali dalle quali emergerebbe che la minore non chiede del padre biologico del quale non sembrerebbe accusare la mancanza, percependolo, invece, come abbandonico e traditore. Ripercorrendo l’intero iter processuale della vicenda ben si evince, invece, che l’elemento negativo secondo il quale il padre non sarebbe per Ch. una figura significativa sia stato indotto dalle fortissime limitazioni che, sin dalla nascita della minore, sono state imposte dal Tribunale e dai Sevizi Sociali ad una frequentazione tra padre e figlia sistematica e programmata nel tempo” (cfr. pag. 6-7 del ricorso);

2) “Errore in procedendo”. Si deduce “la violazione del principio di certezza che, ai sensi della convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, resa esecutiva con L. n. 357 del 1974, deve accompagnare ogni decisione di adozione e che, nella specie, avrebbe reso necessario procedere a consulenza tecnica sulle capacità genitoriale del ricorrente. La sentenza impugnata, infatti, non si fonda, sotto il profilo istruttorio, su una valutazione delle capacità genitoriale aggiornata, al momento della pronuncia, del sig. F., nè definita attraverso una consulenza tecnica di ufficio che garantisca il contraddittorio delle parti nel corso del suo espletamento e la terzietà del soggetto incaricato dall’organo giudicante” (cfr. pag. 8 del ricorso);

3) “Errore di diritto. Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 1”. Si afferma che la corte distrettuale, nel confermare la decisione del giudice di prime cure, “non ha tenuto conto del principio sancito dalla L. n. 184 del 1983, secondo il quale ai minori spetta il diritto di vivere nella famiglia di origine e che la pronuncia sullo stato di adottabilità costituisce l’estrema ratio cui ricorrere solo se il rapporto genitoriale sia tale da arrecare danno al minore nella misura in cui ne ostacoli il sereno e sano sviluppo” (cfr. pag. 9 del ricorso);

4) “Errore di diritto. Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 8”. Si lamenta che la medesima corte “ha ritenuto sussistere lo stato di abbandono materiale e morale della minore nonostante la figura paterna potesse divenire una valida figura genitoriale di riferimento qualora supportata in modo idoneo” (cfr. pag. 10 del ricorso).

3. Entrambi i motivi prospettanti vizi motivazionali sono inammissibili per le considerazioni di cui appresso, agevolmente riferibili a ciascuno di essi.

3.1. La nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza pubblicata l’1 marzo 2017), individua l’oggetto del vizio di cui alla citata norma esclusivamente nell’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

3.2. Costituisce, poi, un “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: 1) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); 3) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

3.2.1. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: 1) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); 3) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. n. 21439 del 2015); 4) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della “domanda” in sede di gravame.

3.2.2. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, peraltro, avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale decisività, in quanto correlata all’interesse all’impugnazione, si addice innanzitutto a quel fatto che, se scrutinato, avrebbe condotto il giudice ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito. Poichè l’attributo si riferisce al “fatto” in sè, la “decisività” asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015).

3.2.2.1. Lo stesso deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto “controverso”, contestato, non dato per pacifico tra le parti, in continuità con la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, già voluta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, così da tenersi ben distinto un tale vizio dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4, il quale, al contrario, non deve aver costituito un “punto controverso su cui la sentenza ebbe a pronunciare”.

3.3. E’ utile rammentare, poi, che Cass., SU, n. 8053 del 2014, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

3.4. Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti, i motivi in esame sono entrambi inammissibili perchè, in primo luogo, non rispettano le appena descritte prescrizioni imposte dalle Sezioni Unite circa le modalità di deduzione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.4.1. In nessuno di essi, infatti, il ricorrente specifica quale sarebbe il “fatto”, come in precedenza definito e delimitato, il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte distrettuale, nè argomenta in ordine alla sua necessaria decisività, ovvero all’essere stato esso oggetto di discussione tra le parti, nè indica puntualmente quando esso sia stato dedotto.

3.4.2. Entrambe le doglianze riguardano, poi, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (soprattutto il primo motivo), e la mancata ammissione della invocata c.t.u. (il secondo motivo), totalmente obliterando che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità (cfr. Cass. n. 7472 del 2017).

3.5. A tanto deve soltanto aggiungersi che lo stato di adottabilità di un minore non richiede, come presupposto indispensabile, la mancanza di amore dei genitori per il figlio poichè, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, la situazione di abbandono si caratterizza per il fatto che il minore, anche indipendentemente da una situazione di colpa del genitore, si trova ad essere privo non transitoriamente di “assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi”. Ne consegue che lo stato di adottabilità può essere dichiarato anche quando lo stato di abbandono sia determinato da una situazione psicologica e/o fisica, grave e non transitoria, che renda il genitore, ancorchè ispirato da sentimenti di amore sincero e profondo, inidoneo ad assumere ed a conservare piena consapevolezza delle proprie responsabilità verso il figlio, nonchè ad agire in modo coerente per curarne nel modo migliore lo sviluppo fisico, psichico e affettivo, sempre che il disturbo sia tale da coinvolgere il minore, producendo danni irreversibili al suo sviluppo ed al suo equilibrio psichico (cfr. Cass. n. 3389 del 2005 e Cass. n. 18563 del 2012, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 6755 del 2014).

3.5.1. Nella specie, la corte distrettuale, all’esito di un esaustivo, lineare ed articolato percorso motivazionale, nel quale, avvalendosi delle risultanze delle numerose relazioni svolte medio tempore (l’ultima delle quali risalente al novembre/dicembre 2016, nell’imminenza, quindi, della decisione oggi impugnata, deliberata il 14 febbraio 2017 e pubblicata 11 marzo immediatamente successivo) da personale dei servizi sociali e dei centri in cui la piccola Ch. aveva trovato accoglienza, ha proceduto ad un’accurata valutazione delle personalità di f.f. e di F.C., nonchè delle attuali condizioni della predetta minore, è giunta alla conclusione che quest’ultima “non può permettersi di attendere i tempi di un rispristino e di un’evoluzione positiva dei rapporti con il padre e con la madre naturali od anche con uno solo di essi”: evoluzione che, comunque, per tutti i vissuti pregressi così come specificamente analizzati dalla medesima corte, appariva “altamente improbabile” (cfr. pag. 19 della decisione impugnata).

3.5.2. Trattasi, perciò, come è palese, di giudizio che, in quanto adeguatamente motivato, non è sindacabile in questa sede, mentre, invece, il ricorrente intenderebbe opporgli, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dalla corte: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

4. Parimenti inammissibili sono entrambi i motivi prospettanti vizi di violazione e/o falsa applicazione di legge, e ciò per le ragioni di cui appresso, anche in tal caso agevolmente riferibili a ciascuno di essi.

4.1. Non si è, invero, assolutamente considerato che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

4.2. Nella specie, a fronte della già riportate (cfr. i precedenti p. 1.1. ed 1.2.) rigorose valutazioni della personalità della f. e del F., nonchè delle condizioni psicologiche della loro figlia minore Ch., che si rinvengo nella decisione oggi impugnata, l’odierno ricorrente si è sostanzialmente limitato ad affermare che la corte distrettuale, nel confermare la decisione del giudice di prime cure, “non ha tenuto conto del principio sancito dalla L. n. 184 del 1983, secondo il quale ai minori spetta il diritto di vivere nella famiglia di origine e che la pronuncia sullo stato di adottabilità costituisce l’estrema ratio cui ricorrere solo se il rapporto genitoriale sia tale da arrecare danno al minore nella misura in cui ne ostacoli il sereno e sano sviluppo” (cfr. il terzo motivo, pag. 9 del ricorso), altresì lamentando che la medesima “ha ritenuto sussistere lo stato di abbandono materiale e morale della minore nonostante la figura paterna potesse divenire una valida figura genitoriale di riferimento qualora supportata in modo idoneo” (cfr. il quarto motivo, pag. 10 del ricorso).

4.2.1. Trattasi, dunque, di doglianze che, in ragione del loro carattere assolutamente generico, si risolvono, essenzialmente ed inammissibilmente, nella mera indicazione di disposizioni asseritamente violate, ma affatto carenti della necessaria specificazione di quali sarebbero le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata in contrasto con le individuate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, potendosi anche qui agevolmente richiamare quanto si è precisato in precedenza (cfr. i p. 3.5., 3.5.1 e 3.5.2.) in ordine ai presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore e le argomentate conclusioni raggiunte dalla corte distrettuale nella odierna vicenda.

5. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, potendosi compensare tra le parti costituite le spese del giudizio di legittimità, in ragione della peculiarità della concreta vicenda, altresì rilevandosi che, dagli atti, il processo risulta esente dal contributo unificato, sicchè non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

6. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa interamente tra le parti costituite le spese del giudizio di legittimità.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

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