Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2900 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 03/02/2017, (ud. 23/01/2017, dep.03/02/2017),  n. 2900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13170-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.J., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio dell’avvocato MARIA SONIA VULCANO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIO GARAVOGLIA,

CLAUDIO LUCISANO giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 53/2012 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 18/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2017 dal Consigliere Dott. ZOSO LIANA MARIA TERESA;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale del ricorso (v. sanzioni).

Fatto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La CTR del Piemonte accoglieva l’appello della contribuente S.J. affermando che il recupero delle ordinarie imposte di registro, ipotecarie e catastali relative all’atto di acquisto di un immobile acquistato coi benefici “prima casa” in data 23.5.2001 non era giustificato in quanto il fabbricato non aveva le caratteristiche di lusso, così come affermato dall’ufficio, dato che, pur essendo intervenuta in data 22 febbraio 2001 una variazione catastale che aveva espressamente attribuito all’immobile stesso la qualifica di abitazione di lusso, tale variazione era stata inserita agli atti del catasto solo in data 11 marzo 2002, ragione per cui il fabbricato non poteva considerarsi di lusso al momento della stipula dell’atto.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato a due motivi. Resiste con controricorso la contribuente.

3. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla tariffa, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, nota 2 bis, parte prima. Sostiene che è irrilevante, al fine di affermare che un immobile ha le caratteristiche di lusso e che, quindi, non è applicabile l’agevolazione, il fatto che la situazione di fatto non corrisponda alle risultanze catastali al momento dell’atto.

4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, ed alla tariffa, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, nota 2 bis, parte prima. Sostiene la ricorrente che le caratteristiche di lusso individuate dal D.M. 2 agosto 1969, devono essere valutate dal punto di vista oggettivo e fattuale, essendo irrilevanti eventuali risultanze catastali difformi, sicchè la circostanza che l’immobile al tempo dell’acquisto non risultasse di lusso secondo il catasto non valeva ad esimere l’acquirente dal pagamento delle imposte nella misura ordinaria.

6. Osserva la Corte che entrambi i motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica, sono fondati. Invero la Corte di legittimità ha affermato il principio, che questo collegio condivide, secondo cui il D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 2, convertito con modificazioni dalla L. 5 aprile 1985, n. 118, nel delimitare il proprio ambito di applicazione alle abitazioni non di lusso, rinvia ai parametri fissati dal D.M. 2 agosto 1969, senza alcun riferimento alle categorie catastali. Ne discende che il carattere non di lusso del fabbricato, per l’applicazione dell’aliquota agevolata di registro sulla “prima casa”, deve essere riscontrato sulla sola base dei criteri indicati dal citato D.M., mentre resta priva di autonoma e decisiva rilevanza la classificazione catastale (Cass. n. 22310 del 21/10/2014).

Nel caso che occupa le caratteristiche ” di lusso” del fabbricato secondo i parametri di cui al D.M. 2 agosto 1969 dovevano ritenersi ben note alla contribuente prima della stipula dell’atto, evincendosi un tanto dal fatto che era già stata presentata in catasto la nota di variazione sulla base della consistenza reale dell’immobile.

I presupposti della revoca dell’agevolazione permangono integri anche alla luce dello jus superveniens di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a), il quale, nel sostituire la Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, comma 2 della Parte Prima, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso – non ammesso, in quanto tale, al beneficio “prima casa” – sulla base dei parametri di cui al D.M. LL.PP. 2 agosto 1969.

In forza della disposizione sopravvenuta, infatti, l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalla concreta tipologia del bene e dalle sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie (individuate sulla base del suddetto D.M.), bensì dalla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale A1, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici).

Al fine di allineare allo stesso criterio dell’imposta di registro anche l’agevolazione “prima casa” attribuita con aliquota Iva ridotta, il legislatore è poi intervenuto con il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 33 che, nel modificare il n. 21 della Tab. A, Parte 2, all. al D.P.R. n. 633 del 1972, ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che anche l’agevolazione Iva è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie.

Senonchè, il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modificazione legislativa; e, in particolare, successivamente al 1 gennaio 2014, come espressamente disposto dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 5 cit..

Il trasferimento dedotto nel presente giudizio, antecedente a questo discrimine temporale, continua pertanto ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina; come detto incentrata sui requisiti del citato D.M..

Fermo dunque restando il pregresso regime impositivo sostanziale, si ritiene – dando con ciò continuità a quanto stabilito, in identica fattispecie, da Cass. ord. 13235/16 – che una diversa soluzione si imponga invece per quanto concerne le sanzioni applicate con l’atto qui impugnato.

In proposito, si ravvisano i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie: “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato”.

La ricorrenza del principio di legalità e di favor rei in materia tributaria – già ampiamente valorizzato, in presenza di sanzioni amministrative di sostanziale valenza penale, anche ex art. 49 della Carta dei diritti fondamentali UE, e 7 CEDU – si impone, nella specie, sotto il profilo che tali sanzioni vennero inflitte per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche “non di lusso” (sempre secondo i suddetti parametri ministeriali); vale a dire, per aver reso una dichiarazione che, per effetto della modifica normativa, oggi non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento.

In altri termini, il mendacio contestato – costituente l’espresso fondamento della sanzione, così come stabilito dall’art. 1, comma 4, Parte Prima, Tariffa D.P.R. n. 131 del 1986 cit. – non potrebbe più realizzarsi, in quanto caduto su un elemento (caratteristiche non di lusso dell’immobile) espunto dalla fattispecie agevolativa.

E’ vero che la modifica normativa non ha abolito nè l’imposizione (nella specie individuabile nel recupero a piena tassazione dell’agevolazione indebitamente fruita), nè le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa dichiarazione; e tuttavia, è proprio l’oggetto di quest’ultima, costituente elemento normativo della fattispecie, ad essere stato cancellato dall’ordinamento. Tanto che, in base al regime sopravvenuto, l’agevolazione ben potrebbe sussistere (in assenza di iscrizione nelle categorie catastali ostative) anche in capo ad immobili abitativi in ipotesi connotati dalle caratteristiche la cui mancata o falsa dichiarazione ha costituito il motivo della sanzione.

Il che rende del tutto peculiare la presente fattispecie rispetto a quelle con riguardo alle quali è stato affermato che – in difetto di “abolitio criminis” – permane a carico del contribuente tanto l’obbligo del versamento dell’imposta dovuta prima della modificazione normativa, quanto quello sanzionatorio (Cass. 25754/14; Cass. 25053/06).

Va poi considerato come ci si trovi qui di fronte ad una situazione di favore per il contribuente ancor più radicale ed evidente di quella (prevista nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3) del sopravvenire di un regime sanzionatorio semplicemente più mite. Perchè qui non di questo si tratta, ma proprio di riformulazione ex novo della fattispecie legale di non spettanza dell’agevolazione; fondata su un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello, precedentemente rinvenibile, fatto oggetto di mendacio.

In maniera tale che l’amministrazione finanziaria mantiene, come detto, la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito – al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile – dall’immobile trasferito; senza però avere titolo per applicare delle sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non sono più rilevanti; non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti.

In definitiva, l’applicazione dello jus superveniens induce al parziale accoglimento del ricorso, limitatamente alla non debenza delle sanzioni applicate con l’atto opposto.

Conclusione, quest’ultima, che deriva da una scelta interpretativa di favore suscettibile di essere attuata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio; e quindi anche in sede di legittimità (tra le altre: Cass. 1856/13; Cass. 4616/16; Cass. 16679/16 e Cass. ord. 13235/16 cit.).

Ciò perchè, stante l’avvenuta contestazione da parte del contribuente della legittimità della revoca dell’agevolazione, è per ciò solo escluso che sia divenuto definitivo il provvedimento di irrogazione delle sanzioni che da tale revoca consegue. Nè – trattandosi di eliminazione delle sanzioni, e non di loro rimodulazione all’esito di una determinata opzione per il regime più favorevole concretamente applicabile – si richiedono accertamenti fattuali di sorta.

10. Il ricorso va, dunque, accolto e l’impugnata sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ed il ricorso originario della contribuente va rigettato. Va altresì dichiarato che le sanzioni non sono applicabili. Le spese processuali dei giudizi di merito si compensano tra le parti per le alterne vicende processuali e quelle di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Dichiara non applicabili le sanzioni. Compensa le spese processuali relative ai giudizi di merito e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali di questo giudizio, spese che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017

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