Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28993 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. II, 17/12/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 17/12/2020), n.28993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23230/2017 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BAFILE

5, presso lo studio dell’avvocato SIMONA MARTINELLI, rappresentata e

difesa dall’avvocato PELLEGRINO CAVUOTO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

L.G., M.F., rappresentati e difesi

dall’avvocato ANTONIO NAPOLETANO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2409/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PELLEGRINO CAVUOTO difensore del ricorrente che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’avvocato ANTONIO NAPOLETANO difensore dei controricorrenti

che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Co.Pe. ebbe ad evocare avanti il Tribunale di Benevento i consorti L.G. e M.F. chiedendo la risoluzione del contratto di donazione della nuda proprietà dei suoi beni immobili ai convenuti poichè da loro non rispettato il modus apposto alla donazione, nonostante apposita diffida, ed un tanto in forza della clausola risolutiva espressa presente nel contratto.

Resistendo i consorti L. – M., il Tribunale sannita rigettò la domanda attorea e la Co. interpose gravame avanti la Corte d’Appello di Napoli.

Ad esito del giudizio d’appello, sempre opponendosi i consorti L. – M., la Corte partenopea rigettò l’impugnazione osservando come il contratto intercorso tra le parti era da qualificare siccome donazione modale e che il mancato adempimento del modus era da imputare alla condotta della donante e non dei donatari, i quali sino a tale momento avevano adempiuto in modo sufficiente all’obbligo previsto dal modus, secondo una valutazione da correlarsi alla natura liberale dell’atto negoziale.

C.G., in proprio e quale erede della Co., ha interposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi, illustrato anche con note difensive. Resistono con controricorso i consorti L. – M., che anche hanno depositato memoria difensiva.

La lite era dapprima trattata in sezione sesta, ma con ordinanza del 28.11.2018 la causa era rimessa alla pubblica udienza.

All’odierna pubblica udienza sentite le conclusioni del P.G. – rigetto – e dei difensori delle parti, questo Collegio ha deciso la causa siccome illustrato nella presente sentenza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso articolato dalla C. non ha fondamento giuridico e va quindi rejetto.

Con il primo mezzo d’impugnazione la ricorrente deduce violazione della norma portata in art. 1362 c.c., nonchè inadeguatezza della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, posto che il Collegio partenopeo ha ritenuto di confermare la qualificazione del contratto intercorso tra le parti siccome donazione modale, mentre il patto stipulato dalle parti era, invece, da inquadrare in un contratto di natura sinallagmatica, siccome evidente alla sola lettura dell’atto.

La censura s’appalesa inammissibile posto che si compendia nella predicazione di una tesi apodittica alternativa circa l’inquadramento giuridico, in cui inserire il contratto notarile stipulato tra le parti, rispetto a quello, con puntuale motivazione, individuato dal Collegio campano.

Prospettazione di tesi alternativa per giunta fondata sulla postulazione di una motivazione inadeguata.

Viceversa la Corte territoriale ha partitamente esaminato la questione circa il corretto inquadramento giuridico del contratto notarile, stipulato tra le parti, mettendo in risalto all’uopo ed il nomen iuris assegnato dalle parti mediante l’ausilio di professionista qualificato nel settore, nonchè la compatibilità dello spirito di liberalità con l’onere modale di assistenza, siccome specificatamente insegna questo Supremo Collegio nell’arresto richiamato dai Giudici napoletani – Cass. n. 7679/86.

Quindi non solo la norma richiamata a supporto della censura – art. 360 c.p.c., n. 5 – non consente più la deduzione di un vizio di inadeguata motivazione, bensì solo omesso esame di un fatto ovvero, ex n. 4 citato articolo, la nullità per omessa motivazione, ma anche l’argomentazione esposta dal Collegio partenopeo appare adeguata e puntuale.

Difatti la Corte territoriale ha escluso la concorrenza di una condotta di inadempienza agli obblighi d’assistenza assunti poichè era stata la donante a rifiutare la prestazione offerta, sicchè comunque si voglia qualificare il contratto difetta l’inadempimento alla base della chiesta risoluzione.

Con la seconda ragione di doglianza la C. lamenta violazione delle norme ex artt. 793 e 1353 c.c., art. 1362 c.c., nonchè omessa motivazione con riguardo alla condizione risolutiva apposta alla donazione in quanto il Collegio campano ha ritenuto – erroneamente – d’esaminare la questione solo con relazione alla clausola risolutiva espressa e ritenere che la stessa non poteva esser applicata in ipotesi di donazione modale.

Secondo la tesi della ricorrente, l’errore dei Giudici d’appello va individuato nella mancata considerazione che ogni contratto, pure quello di donazione, può esser soggetto a condizione sia risolutiva – come quella di specie – che sospensiva ed il contatto de quo era sottoposto alla condizione risolutiva della mancata assistenza con conseguente restituzione dei beni donati.

Inoltre, erroneamente, la Corte distrettuale ha ritenuto incompatibile con la donazione la clausola risolutiva espressa ed un tanto sulla scorta di insegnamento della Suprema Corte, poichè esiste anche insegnamento di segno contrario preferibile quanto alla soluzione adottata.

La censura mossa s’appalesa per parte inammissibile e per parte priva di fondamento.

Difatti il richiamo alla condizione risolutiva per qualificare giuridicamente la clausola contrattuale afferente il “modus essenziale” si configura siccome novità di questa sede di legittimità, posto che la ricorrente nemmeno deduce quando detta prospettazione fu sottoposta al Giudice d’appello, mentre in atto d’appello formulò specifico motivo di gravame – sub 1 – circa la qualificazione del contratto stipulato tra le parti o come vitalizio ovvero come donazione modale ed ancora con il primo motivo di ricorso espone argomentazione fondata sulla clausola risolutiva espressa e, non già, sull’esistenza di condizione risolutiva.

Inoltre va richiamato l’insegnamento di questa Suprema Corte – Cass. n. 8051/90, Cass. n. 10074/93 – che ritiene possibile alle parti, nella loro libertà, individuare l’adempimento degli obblighi tipici del contratto siccome condizione, ma un tanto, però, implica la proposizione di adeguata prova al riguardo per consentire al Giudice di apprezzare funditus la volontà pattizia espressa in contratto.

Di conseguenza la questione, non già, si risolve in mera qualificazione giuridica bensì in un apprezzamento di fatto, che la Corte partenopea ha motivatamente operato nel caso, sicchè l’argomentazione critica svolta si declina propriamente siccome mera contrapposizione di propria tesi alternativa rispetto alla statuizione adottata dal Giudice del merito.

Quanto poi al citato diverso indirizzo di legittimità in tema di compatibilità della clausola risolutiva espressa con la donazione – Cass. sez. 2 n. 9330/11 – va osservato come l’arresto citato si limita a confermare la possibilità di risoluzione del contrato per inadempimento dell’onere secondo la disciplina posta dall’art. 795 c.c., siccome precisato anche dal Collegio partenopeo che opportunamente richiama il puntuale insegnamento – Cass. sez. 2 n. 14120/14, cui questo Collegio intende dar continuità, che esclude la possibilità di apporre alla donazione una clausola risolutiva espressa.

Difatti, l’arresto citato insegna come, la pattuita clausola di risoluzione espressa – incompatibile – vada intesa come previsione di risoluzione della donazione per inadempimento del modus secondo, però, la particolare disciplina esistente in materia e sempre su richiesta del donante o suoi eredi.

Con la terza ragione di doglianza la ricorrente deduce violazione delle regole giuridiche ex artt. 115 e 116 c.p.c., per omesso esame delle prove documentali acquisite in atti e dell’interrogatorio formale dalla sua dante causa reso.

Osserva la C. come la Corte partenopea non ebbe a valutare correttamente le prove da lei offerte, interpretandone erroneamente le risultanze specie con relazione ai documenti, che comprovavano come molte spese per il suo mantenimento, effettuate prima della sua lettera di risoluzione, erano state da lei sopportate e non dai resistenti obbligati, ed alle affermazioni fatte dalla Co. nel corso del suo formale interrogatorio.

La censura articolata si rivela priva di pregio poichè non indica quale regola di diritto posta dagli artt. 115 e 116 c.p.c., in tema di valutazione delle prove sia stata violata, limitandosi la ricorrente a rilevare l’omesso apprezzamento delle proprie dichiarazioni difensive – ma è principio consolidato che nessuno può far prova a favore di se stesso con propria dichiarazione – nonchè il mancato apprezzamento delle prove documentali da lei dimesse in causa.

Viceversa il Collegio partenopeo ha apprezzato tutto il materiale probatorio versato in atti, semplicemente, valorizzando gli elementi ritenuti di maggior valenza rispetto ad altri e segnatamente ha ritenuto non adeguate a sovvertire la valutazione, desunta dalle testimonianze, le prove addotte dalla Co. specie per la sua – sottolineata – scelta di vivere da sola stante la sua, all’epoca, autosufficienza ovvero per aver impedito agli onerati d’eseguire la prestazione che offrivano.

Dunque, ex art. 116 c.p.c., il Collegio campano, secondo il suo prudente apprezzamento, ha valutato il compendio probatorio versato – art. 115 c.p.c. – in atti dalle parti, restando precluso un nuovo apprezzamento di merito in sede di legittimità.

Con il quarto mezzo d’impugnazione la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1453 e 2043 c.c., ed art. 345 c.p.c., poichè la Corte vesuviana erroneamente ebbe a ritenere nuova in appello la domanda di risarcimento danni, mentre detta pretesa, come dalle conclusioni presenti nella citazione originaria d’avvio lite, era già stata avanzata.

La doglianza è priva di fondamento posto che non si correla con l’effettiva motivazione sul punto espressa dalla Corte partenopea, la quale ha puntualmente esaminata la questione – assieme ad altre domande nuove proposte con l’appello – e sottolineato come al riguardo concorreva una mutazione del petitum e della causa petendi rispetto alla prospettazione iniziale – v’era stato inadempimento all’onere con ogni conseguenza anche in tema di ristoro danni -.

Difatti, come s’evince anche dalla riproduzione in ricorso dell’originarie conclusioni fissate in atto di citazione di primo grado, inizialmente la richiesta risarcitoria risulta correlata “all’inesecuzione del modus da parte dei donatari”, sicchè rigettata la domanda fondata sull’accertamento che i donatari erano inadempienti al modus nemmeno poteva sussistere il danno conseguente e del quale solo era richiesto il ristoro.

In sede di citazione d’appello, come riprodotto in ricorso, la domanda risarcitoria era mutata poichè richiesta anche “nella denegata ipotesi di rigetto della domanda di risoluzione od annullamento del contratto” quindi veniva formulata nuova domanda poichè il risarcimento danni chiesto risultava assolutamente svincolato dall’inadempienza al modus apposto alla donazione.

Comunque la soluzione adottata in ordine ai precedenti motivi d’impugnazione rende la questione superata in assenza della risoluzione del contratto.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della C. alla rifusione in favore dei consorti L. – M. delle spese di questo giudizio di legittimità, tassate in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario ex tariffa forense siccome indicato in dispositivo.

Concorrono in capo al soggetto ricorrente le condizioni di legge per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere ai consorti L. – M. le spese di questa lite di legittimità liquidate in Euro 5.200,00 oltre agli accessori di legge ed al rimborso forfetario ex tariffa forense tassato nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – se dovuto – per il ricorso a norma D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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