Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28991 del 11/11/2019

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 11/11/2019), n.28991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16754-2017 proposto da:

G.E., elettivamente domiciliata in PIAZZA COLA DI RIENZO 68,

presso lo dell’avvocato ANDREA ZANELLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA NOCCESI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE TOSCANA CENTRO già AZIENDA USL N.

(OMISSIS), in persona del Commissario e Legale Rappresentante pro

tempore Dott. GO.EM., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE N. 22, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO

LOTTI, rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO PECORINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 758/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 04/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA NOCCESI.

Fatto

FATTO DI CAUSA

1. G.E. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze l’Azienda Unità Sanitaria Locale 10 di Firenze chiedendo il risarcimento del danno, sia iure proprio che ereditario, per la morte della propria madre B.M.L. deducendo che la causa del decesso era imputabile a colpa medica. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello la G.. Con sentenza di data 4 aprile 2017 la Corte d’appello di Firenze, previa CTU, rigettò l’appello.

2. Osservò la corte territoriale, premesso che l’onere della prova circa il nesso causale era a carico dell’attrice, che il CTU, dopo avere escluso che la causa del decesso fosse stata la pancreatite (non di tipo emorragico), aveva evidenziato per un verso che una TAC all’addome, che pure sarebbe stato opportuno effettuare, non avrebbe fornito elementi decisivi ai fini dell’opzione di un nuovo trattamento chirurgico, per l’altro che, benchè l’ipotesi di un terzo intervento chirurgico fosse stata un’ipotesi da considerare, altrettanto valida era stata la scelta attendista dei sanitari, in quanto l’eventuale terzo trattamento chirurgico avrebbe realizzato chances di sopravvivenza quantificabili in misura di poco superiori al 40%, ma vi sarebbe stato un elevatissimo rischio di mortalità perioperatoria. Aggiunse che il CTU medesimo aveva concluso che, pur in presenza di qualche condotta ipoteticamente colposa dei sanitari, era incerta la correlazione causale fra tale condotta ed il decesso, di cui non era stato possibile identificare con precisione la causa, attribuibile genericamente ad uno stato di shock ed insufficienza multiorgano. Osservò quindi che non risultava raggiunta la soglia del “più probabile che non” quanto alla correlazione causale fra la morte e la condotta dei sanitari e che irrilevante era l’ulteriore affermazione del CTU circa l’obiettiva incertezza sulle ragioni effettive della morte, una volta che era stata esclusa la riconducibilità dell’evento ai sanitari.

3. Ha proposto ricorso per cassazione G.E. sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Successivamente alla fissazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c. è stata disposta la trattazione in pubblica udienza. E’ stata presentata memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c.. Osserva la ricorrente che l’incertezza in ordine al nesso causale si ripercuote negativamente sulla struttura sanitaria, su cui incombe il relativo onere probatorio, con conseguente necessità di valutare la colpa dei sanitari, e che il giudice di appello è pervenuto al convincimento dell’assenza del nesso causale argomentando dalla percentuale di possibilità di sopravvivenza che la paziente avrebbe avuto in caso di effettuazione dell’intervento chirurgico, laddove invece avrebbe dovuto chiedersi quante possibilità di sopravvivenza avrebbe avuto la paziente senza essere sottoposta ad intervento e solo qualora le stesse fossero state superiori al 42% avrebbe dovuto ritenere lecita la condotta attendista (ma priva di approfondimenti diagnostici) dei sanitari.

1.1. Il motivo è infondato. La questione posta dal motivo di censura attiene al rapporto fra responsabilità contrattuale nel campo medico e causalità materiale. Negare che incomba sul paziente creditore di provare l’esistenza del nesso di causalità fra l’inadempimento ed il pregiudizio alla salute, come si assume nel motivo, significa espungere dalla fattispecie costitutiva del diritto l’elemento della causalità materiale. Di contro va osservato che la causalità relativa tanto all’evento pregiudizievole, quanto al danno conseguenziale, è comune ad ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, quale portato della distinzione fra causalità ed imputazione.

La causalità attiene al collegamento naturalistico fra fatti accertato sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali. Essa attiene alla relazione probabilistica (svincolata da ogni riferimento alla prevedibilità soggettiva) tra condotta ed evento di danno (e fra quest’ultimo e le conseguenze risarcibili), da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale, integrato, se del caso, da quelli dello scopo della norma violata e dell’aumento del rischio tipico, previa analitica descrizione dell’evento (cfr. Cass. sez. U. 11 gennaio 2008, n. 576 pag. 13 e Cass. 11 luglio 2017, n. 17084), mentre su un piano diverso si colloca la dimensione soggettiva dell’imputazione. Quest’ultima corrisponde all’effetto giuridico che la norma collega ad un determinato comportamento sulla base di un criterio di valore, che è rappresentato dall’inadempienza nella responsabilità contrattuale e dalla colpa o il dolo in quell’aquiliana (salvo i casi di imputazione oggettiva dell’evento nell’illecito aquiliano – artt. 2049,2050,2051 e 2053 c.c.).

Che la causalità materiale si iscriva a pieno titolo anche nella dimensione della responsabilità contrattuale trova una testuale conferma nell’art. 1227 c.c., comma 1, che disciplina proprio il fenomeno della causalità materiale rispetto al danno evento sotto il profilo del concorso del fatto colposo del creditore (Cass. 19 luglio 2018, n. 19218; 21 luglio 2011, n. 15991), mentre il comma 2 attiene, come è noto, alle conseguenze pregiudizievoli del danno evento (c.d. causalità giuridica). Ogni forma di responsabilità è dunque connotata dalla congiunzione di causalità ed imputazione. Su questo tronco comune intervengono le peculiarità della responsabilità contrattuale.

1.1.1. Il tratto distintivo della responsabilità contrattuale risiede nella premessa della relazionalità, da cui la responsabilità conseguente alla violazione di un rapporto obbligatorio. Il danno derivante dall’inadempimento dell’obbligazione non richiede la qualifica dell’ingiustizia, che si rinviene nella responsabilità extracontrattuale, perchè la rilevanza dell’interesse leso dall’inadempimento non è affidata alla natura di interesse meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico, come avviene per il danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c. (cfr. Cass. Sez. U. 22 luglio 1999, n. 500), ma alla corrispondenza dell’interesse alla prestazione dedotta in obbligazione (arg. ex art. 1174 c.c.). E’ la fonte contrattuale dell’obbligazione che conferisce rilevanza giuridica all’interesse regolato.

Se la soddisfazione dell’interesse è affidata alla prestazione che forma oggetto dell’obbligazione vuol dire che la lesione dell’interesse, in cui si concretizza il danno evento, è cagionata dall’inadempimento.

La causalità materiale, pur teoricamente distinguibile dall’inadempimento per la differenza fra eziologia ed imputazione, non è praticamente separabile dall’inadempimento, perchè quest’ultimo corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e dunque al danno evento. La causalità acquista qui autonomia di valutazione solo quale causalità giuridica, e dunque quale delimitazione del danno risarcibile attraverso l’identificazione del nesso eziologico fra evento di danno e danno conseguenza (art. 1223 c.c.). L’assorbimento pratico della causalità materiale nell’inadempimento fa si che tema di prova del creditore resti solo quello della causalità giuridica (oltre che della fonte del diritto di credito), perchè, come affermato da Cass. Sez. U. 30 ottobre 2001 n. 13533 del 2001, è onere del debitore provare l’adempimento o la causa non imputabile che ha reso impossibile la prestazione (art. 1218 c.c.), mentre l’inadempimento, nel quale è assorbita la causalità materiale, deve essere solo allegato dal creditore. Non c’è quindi un onere di specifica allegazione (e tanto meno di prova) della causalità materiale perchè allegare l’inadempimento significa allegare anche nesso di causalità e danno evento.

Tale forma del rapporto fra causalità materiale e responsabilità contrattuale attiene tuttavia allo schema classico dell’obbligazione di dare o di fare contenuto nel codice civile. Nel diverso territorio del facere professionale la causalità materiale torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta secondo le regole generali sopra richiamate. Sul punto valgono le seguenti considerazioni.

1.1.2. Se l’interesse corrispondente alla prestazione è solo strumentale all’interesse primario del creditore, causalità ed imputazione per inadempimento tornano a distinguersi anche sul piano funzionale (e non solo su quello strutturale) perchè il danno evento consta non della lesione dell’interesse alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma della lesione dell’interesse presupposto a quello contrattualmente regolato. La distinzione fra interesse strumentale, affidato alla cura della prestazione oggetto di obbligazione, ed interesse primario emerge nel campo delle obbligazioni di diligenza professionale. La prestazione oggetto dell’obbligazione non è la guarigione dalla malattia o la vittoria della causa, ma il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore. Il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l’interesse affidato all’adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute.

Benchè guarigione dalla malattia o vittoria della causa non siano dedotte in obbligazione, esse non costituiscono un motivo soggettivo che resti estrinseco rispetto al contratto d’opera professionale, ma sono tipicamente connesse all’interesse regolato perchè la possibilità del loro soddisfacimento è condizionata dai mutamenti intermedi nello stato di fatto determinati dalla prestazione professionale. L’interesse corrispondente alla prestazione oggetto di obbligazione ha natura strumentale rispetto ad un interesse primario o presupposto, il quale non ricade nel motivo irrilevante dal punto di vista contrattuale perchè non attiene alla soddisfazione del contingente ed occasionale bisogno soggettivo ma è connesso all’interesse regolato già sul piano della programmazione negoziale e dunque del motivo comune rilevante al livello della causa del contratto. Non c’è obbligazione di diligenza professionale del medico o dell’avvocato se non in vista, per entrambe le parti, del risultato della guarigione dalla malattia o della vittoria della causa.

Dato che il danno evento nelle obbligazioni di diligenza professionale riguarda, come si è detto, non l’interesse corrispondente alla prestazione ma l’interesse presupposto, la causalità materiale non è praticamente assorbita dall’inadempimento. Quest’ultimo coincide con la lesione dell’interesse strumentale, ma non significa necessariamente lesione dell’interesse presupposto, e dunque allegare l’inadempimento non significa allegare anche il danno evento il quale, per riguardare un interesse ulteriore rispetto a quello perseguito dalla prestazione, non è necessariamente collegabile al mancato rispetto delle leges artis ma potrebbe essere riconducibile ad una causa diversa dall’inadempimento.

La violazione delle regole della diligenza professionale non ha dunque un’intrinseca attitudine causale alla produzione del danno evento. Aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie non sono immanenti alla violazione delle leges artis e potrebbero avere una diversa eziologia. Si riespande così, anche sul piano funzionale, la distinzione fra causalità ed imputazione soggettiva sopra delineata. Persiste, nonostante l’inadempienza, la questione pratica del nesso eziologico fra il danno evento (lesione dell’interesse primario) e la condotta materiale suscettibile di qualificazione in termini di inadempimento. Il creditore ha l’onere di allegare la connessione puramente naturalistica fra la lesione della salute, in termini di aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie, e la condotta del medico e, posto che il danno evento non è immanente all’inadempimento, ha anche l’onere di provare quella connessione, e lo deve fare sul piano meramente naturalistico sia perchè la qualifica di inadempienza deve essere da lui solo allegata, ma non provata (appartenendo gli oneri probatori sul punto al debitore), sia perchè si tratta del solo profilo della causalità materiale, il quale è indifferente alla qualifica in termini di valore rappresentata dall’inadempimento dell’obbligazione ed attiene esclusivamente al fatto materiale che soggiace a quella qualifica. La prova della causalità materiale da parte del creditore può naturalmente essere raggiunta anche mediante presunzione.

Argomentare diversamente, e cioè sostenere che anche nell’inadempimento dell’obbligazione di diligenza professionale non emerga un problema pratico di causalità materiale e danno evento, vorrebbe dire implicitamente riconoscere che oggetto della prestazione è lo stato di salute in termini di guarigione o impedimento della sopravvenienza dell’aggravamento o di nuove patologie, ma ciò non è perchè il parametro per valutare se c’è stato inadempimento dell’obbligazione professionale è fornito dall’art. 1176 c.c., comma 2, il quale determina il contenuto della prestazione in termini di comportamento idoneo per il conseguimento del risultato utile. Per riprendere le parole di un’autorevole dottrina della metà del secolo scorso, la guarigione o l’impedimento della sopravvenienza dell’aggravamento o di nuove patologie dipendono troppo poco dalla volontà del medico e dalla collaborazione del malato perchè possano essere dedotte in obbligazione. Lo stato di salute, come si è detto, integra la causa del contratto, ma l’obbligazione resta di diligenza professionale.

La causalità materiale nella disciplina delle obbligazioni non è così soltanto causa di esonero da responsabilità per il debitore (art. 1218 c.c.), e perciò materia dell’onere probatorio di quest’ultimo, ma è nelle obbligazioni di diligenza professionale anche elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio ove risulti allegato il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie. Il creditore di prestazione professionale che alleghi un evento di danno alla salute, non solo deve provare quest’ultimo e le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (c.d. causalità giuridica), ma deve provare anche, avvalendosi eventualmente pure di presunzioni, il nesso di causalità fra quell’evento e la condotta del professionista nella sua materialità, impregiudicata la natura di inadempienza di quella condotta, inadempienza che al creditore spetta solo di allegare.

1.1.3. Una volta che il creditore abbia provato, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie, sorgono gli oneri probatori del debitore, il quale deve provare o l’adempimento o che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Emerge così un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il nesso di causalità materiale che il creditore della prestazione professionale deve provare è quello fra intervento del sanitario e danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie; il nesso eziologico che invece spetta al debitore di provare, dopo che il creditore abbia assolto il suo onere probatorio, è quello fra causa esterna, imprevedibile ed inevitabile alla stregua dell’ordinaria diligenza di cui all’art. 1176, comma 1, ed impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale (art. 1218). Se la prova della causa di esonero è stata raggiunta vuol dire che l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di una nuova patologia è si eziologicamente riconducibile all’intervento sanitario, ma il rispetto delle leges artis è nella specie mancato per causa non imputabile al medico. Ne discende che, se resta ignota anche mediante l’utilizzo di presunzioni la causa dell’evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale, se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l’imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore.

E’ bene rammentare che tali principi si collocano nell’ambito delle regole sull’onere della prova, le quali assumono rilievo solo nel caso di causa rimasta ignota. Si tratta quindi della regola residuale di giudizio grazie alla quale la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento, anche in via presuntiva, della sussistenza o insussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione rispettivamente dei relativi fatti costitutivi o di quelli modificativi o estintivi (Cass. 16 giugno 1998, n. 5980; 16 giugno 2000, n. 8195; 7 agosto 2002, n. 11911; 21 marzo 2003, n. 4126).

1.1.4. Va data così continuità all’orientamento di questa Corte che nel tempo si è consolidato e secondo cui incombe sul creditore l’onere di provare il nesso di causalità fra la condotta del sanitario e l’evento di danno quale fatto costitutivo della domanda risarcitoria, non solo nel caso di responsabilità da fatto illecito ma anche nel caso di responsabilità contrattuale (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392, cui sono conformi: Cass. 26 febbraio 2019, n. 5487; 17 gennaio 2019, n. 1045; 20 novembre 2018, n. 29853; 30 ottobre 2018, nn. 27455, 27449, 27447, 27446; 23 ottobre 2018, n. 26700; 20 agosto 2018, n. 20812; 13 settembre 2018, n. 22278; 22 agosto 2018, n. 20905; 19 luglio 2018, n. 19204; 19 luglio 2018, n. 19199; 13 luglio 2018, n. 18549; 13 luglio 2018, n. 18540; 9 marzo 2018, n. 5641; 15 febbraio 2018, nn. 3704 e 3698; 7 dicembre 2017, n. 29315; 14 novembre 2017, n. 26824; si vedano tuttavia già prima Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; 17 gennaio 2008, n. 867; 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; 26 febbraio 2013, n. 4792; 31 luglio 2013, n. 18341; 12 settembre 2013, n. 20904; 20 ottobre 2015, n. 21177; 9 giugno 2016, n. 11789).

1.1.5. In conclusione va affermato ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto: “ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione”.

1.2. Con l’ulteriore argomento contenuto nel motivo di censura la ricorrente prospetta una responsabilità per omissione dei sanitari e denuncia che il giudice di appello avrebbe dovuto procedere al relativo giudizio controfattuale. La corte territoriale ha affermato che l’esistenza di una patologia addominale era soltanto ipotetica e che comunque, anche ammettendo l’esistenza di una tale patologia, la scelta attendista dei medici fu altrettanto valida di quella dell’esecuzione dell’intervento chirurgico perchè, a fronte della realizzazione di chances di sopravvivenza quantificabili in misura di poco superiore al 40%, vi era un elevatissimo rischio di mortalità perioperatoria. Il giudizio di fatto del giudice di merito non è stato quindi nel senso che vi era un 40% di possibilità di sopravvivenza se l’intervento chirurgico fosse stato eseguito, ma è stato nel senso che non era stata accertata l’esistenza di patologia addominale, sicchè la possibilità di sopravvivenza conseguente all’intervento va valutata non rispetto ad un dato accertato, ma rispetto ad una semplice ipotesi (e cioè ove ammessa l’esistenza della patologia addominale). Non essendo stata accertata la premessa fattuale della condotta medica che avrebbe sortito l’esito positivo per la paziente, non ricorreva per il giudice di merito il presupposto per il giudizio controfattuale richiesto dalla valutazione della responsabilità per omissione.

In secondo luogo, e tale aspetto concerne non il giudizio di diritto ma l’indagine fattuale del giudice di merito, questi ha accertato che non poteva aversi rilevanza sul piano dell’efficienza naturalistica dell’omissione perchè l’identificata possibilità di sopravvivenza era comunque controbilanciata dall’elevatissimo rischio di mortalità perioperatoria, al punto che, ma trattasi di profilo rilevante non sul piano causale ma di quello soggettivo del rispetto delle leges artis, opportuna era stata la scelta attendista dei sanitari.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c.. Osserva la ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello secondo cui il CTU aveva riconosciuto l’esistenza della responsabilità solo con l’affermazione che pur in presenza di qualche condotta ipoteticamente colposa dei sanitari era incerta la correlazione causale fra tale condotta ed il decesso, in altri luoghi dell’elaborato della consulenza vi era il riconoscimento dell’omesso approfondimento diagnostico da parte dei sanitari e che in violazione dell’art. 115 vi era un palese errore di percezione delle risultanze della CTU (su cui Cass. n. 9356 del 2017).

3. Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo e controverso. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha omesso di esaminare il fatto confermato dal CTU di omesso approfondimento diagnostico, ascrivibile a colpa dei sanitari, e che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, il CTU non aveva escluso l’ipotesi della pancreatite acuta, limitandosi a sostenere che non era stata di contenuto emorragico.

4. I motivi secondo e terzo, in quanto afferenti al profilo dell’inadempimento della prestazione sanitaria, devono intendersi assorbiti una volta che sia stato escluso il nesso di causalità, il quale integra una questione pregiudiziale rispetto a quello del rispetto delle lese artis. Il terzo motivo è comunque inammissibile con riferimento alla circostanza della pancreatite sia perchè la denuncia di vizio motivazionale attinge non un fatto, ma la valutazione del CTU, sia perchè tale valutazione risulta contemplata dalla motivazione.

5. L’assestamento in corso della giurisprudenza sulla questione del nesso causale costituisce ragione per compensare le spese processuali.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 – quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara in parte inammissibile il terzo motivo e per il resto assorbito il ricorso.

Dispone la compensazione delle spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone che in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle persone fisiche riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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