Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28990 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. II, 17/12/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 17/12/2020), n.28990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31625/2018 proposto da:

Q.B., rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO

TREDICINE, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PIETRO DELLA VALLE 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO TUCCILLO,

che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3938/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 23/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Ritenuto che:

– Q.B. evocava, dinanzi al Giudice di pace di Napoli, la Fondiaria Sai (ora UnipolSai Assicurazioni) s.p.a. esponendo di essere perito assicurativo regolarmente iscritto nel Ruolo Nazionale della categoria e di avere in detto ruolo espletato perizia relativa ad un sinistro automobilistico su incarico della convenuta, attività per la quale non aveva ricevuto alcun compenso e pertanto ne chiedeva la condanna al pagamento di una somma di Euro 320,45, oltre accessori, a titolo di competenze professionali;

– instaurato il contraddittorio, nella resistenza della società convenuta che formulava numerose eccezioni, il giudice adito accoglieva la domanda;

– in virtù di appello interposto dalla Fondiaria Sai S.p.A. (oggi UnipolSai Assicurazioni S.p.A.), riproponendo le eccezioni di litispendenza, di continenza e di connessione, nonchè quella relativa alla necessità di riunione dei molteplici analoghi giudizi proposti dal Q., ovvero ancora di improponibilità della domanda in ragione dell’indebito frazionamento di un credito unitario, e comunque l’infondatezza della pretesa, il Tribunale di Napoli, nella resistenza del Q., accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza del Giudice di prime cure, dichiarava improponibile la domanda avanzata dal medesimo Q. nei confronti dell’appellante, osservando che – esclusa la rilevanza che la mancata riunione di cause potesse essere oggetto di motivo di gravame – preso atto di ordinanza di questa Corte emessa di recente tra le stesse parti e della sentenza n. 4090/2017 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, doveva ritenersi sussistente ipotesi di un “frazionamento del credito”, sanzionabile con la improponibilità della domanda;

– avverso la sentenza del Tribunale di Napoli ha proposto ricorso per cassazione il Q., articolato in otto motivi, cui ha resistito con controricorso UnipolSai Assicurazioni S.p.a., eccependo l’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Atteso che:

– in via pregiudiziale va esaminata la richiesta di parte ricorrente di rimettere la trattazione del giudizio in udienza pubblica innanzi alle Sezioni Unite stante il contrasto rilevato tra le sentenze n. 18808/2016, 18809/2016 e 18810/2016 – in cui la Suprema Corte si è pronunciata nel senso di negare l’unitarietà dell’obbligazione accogliendo i ricorsi del Q. e le successive pronunce – in cui il Supremo collegio ha rigettato i ricorsi proposti dallo stesso.

Osserva il Collegio che non sussistono le ragioni di cui all’art. 374 c.p.c., come invece auspicato dal ricorrente, giacchè la questione di diritto su cui si incentra il ricorso è stata già decisa in senso uniforme tra le medesime parti da Cass. Sez. Un. 4315 del 20 febbraio 2020 ed in precedenza dalle ordinanze rese da questa Corte all’esito delle adunanze ex art. 380 bis.1 c.p.c., del 18 ottobre 2017, del 22 marzo 2018 e del 18 giugno 2018, peraltro condividendo il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. Un. 4090 del 16 febbraio 2017.

Per le medesime considerazioni neppure si rende necessaria la trattazione in pubblica udienza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2.

Sempre in via preliminare deve rilevarsi che è inammissibile la produzione da parte del ricorrente degli identificativi di pagamento e dei moduli IES (documenti attinenti alla fondatezza delle censure e delle tesi prospettate nel ricorso, peraltro formati prima dell’inizio della fase di merito e quindi prima della maturazione delle preclusioni istruttorie), atteso che, nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero la nullità della sentenza impugnata, da cui discendono le conseguenze che verranno meglio specificate con riferimento al quinto motivo di ricorso;

– passando al merito del ricorso, con il primo motivo il ricorrente denuncia l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 339 c.p.c., per avere il Giudice di pace pronunciato secondo equità unicamente sulla base del criterio obiettivo del valore della causa, come stabilito dall’art. 113 c.p.c., comma 2. La questione sebbene formulata per la prima volta con ricorso per cassazione è ammissibile, ma destituita di fondamento perchè, se è vero che l’inammissibilità dell’appello attiene ai presupposti dell’impugnazione e, come tale, è rilevabile anche di ufficio in sede di legittimità (Cass. 25 settembre 2017 n. 22256; Cass. 31 ottobre 2005 n. 21110), è altrettanto vero che nel caso in esame la società assicuratrice aveva riproposto il tema dell’abusivo frazionamento del credito già sollevato in primo grado sotto il profilo della violazione dei principi costituzionali del giusto processo e dell’art. 88 c.p.c. (ne dà atto la stessa sentenza impugnata a pag. 2 ove dà conto della riproposizione da parte dell’appellante società di tutte le eccezioni già sollevate in primo grado).

Ora, poichè, come è noto, la parcellizzazione della domanda diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede sia con il principio costituzionale del giusto processo e si traduce in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (v. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007 n. 23726 richiamata in Cass. Sez. Un. 16 febbraio 2017 n. 4090; v. altresì Cass. 27 luglio 2018 n. 19898), nel caso in esame la sentenza del giudice di pace, anche se pronunciata secondo equità, era appellabile in virtù dell’espressa previsione contenuta nell’art. 339 c.p.c., comma 3 (che include, appunto, tra i casi di appellabilità, anche la violazione di norme costituzionali) (v. in termini: Cass. 6 giugno 2019 n. 15398);

– con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione del giudicato che – a dire del Q. – scaturirebbe dalla sentenza n. 19575/2016 del Giudice di pace di Napoli, non impugnata dall’assicurazione e passata in giudicato in data 10 giugno 2018, resa fra le medesime parti e su circostanze analoghe a quelle del ricorso odierno, con rilevanza di giudicato esterno, con la quale è stata negata l’unitarietà del rapporto obbligatorio tra le parti.

La censura è inammissibile.

Osserva il Collegio che la sentenza invocata come giudicato, suscettibile di incidere anche sulla decisione del presente ricorso è una sentenza del giudice di pace di Napoli n. 19575/2016 che lo stesso ricorrente riferisce essere stata pubblicata in data 9 giugno 2016, sostenendo tuttavia che sarebbe passata in cosa giudicata solo in data 10 giugno 2018, e cioè successivamente alla pronuncia di appello in questa sede gravata.

Trattasi però di affermazione evidentemente e consapevolmente erronea (il che rileva anche ai fini dell’applicazione della responsabilità ex art. 96 c.p.c.) che è riferibile alla diversa data dell’attestazione di cancelleria relativa alla mancata proposizione di impugnazione avverso tale sentenza, ma che non coincide invece con la data del passaggio in giudicato.

Infatti, atteso che la richiamata pronuncia del giudice di pace è intervenuta su domanda introdotta nel luglio del 2014, nella vicenda trova applicazione il termine di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c., quale scaturente dalla riforma della L. n. 69 del 2009, così che, avuto riguardo alla data di pubblicazione, la sentenza è passata in giudicato già nel gennaio del 2017, e quindi ben prima della pronuncia in questa sede gravata, resa dal Tribunale di Napoli il 23.04.2018.

Ciò comporta che debba farsi applicazione del principio (Cass. n. 1534 del 2018) secondo cui nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla sentenza impugnata, e che in tal ultima ipotesi, infatti, la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., che invece opera per i documenti formatisi già nel corso del giudizio di merito, come appunto nel caso in cui sia invocata l’efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, e che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (conf. Cass. n. 28247 del 2013; Cass., Sez.Un. 13916 del 2006). Attesa la possibilità di dedurre l’efficacia di tale sentenza già dinanzi al giudice di merito, la sua produzione in questa sede è preclusa, non rientrando tra i documenti di cui è consentito il deposito ex art. 372 c.p.c., determinandosi quindi l’inammissibilità del motivo stesso.

Peraltro, il motivo risulta altresì inammissibile per difetto di specificità, in quanto la sentenza di cui si invoca l’efficacia di giudicato viene richiamata solo sommariamente, senza una precisa indicazione del suo contenuto e della vicenda sulla quale è intervenuta, il che impedisce di poter anche affermare la sua eventuale portata preclusiva rispetto alla questione in questa sede dibattuta;

– con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 274 c.p.c., per non aver considerato il Tribunale l’orientamento giurisprudenziale sull’ammissibilità della riunione dei procedimenti relativi a cause connesse, anche nel giudizio di legittimità (si richiama Cass. n. 22631 del 2011).

Del pari non può essere dato ingresso alla seconda censura.

Infatti, come rilevato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4315/2020 (intervenuta a definizione di analogo ricorso proposto dal Q.) il motivo di appello del quale il ricorrente si duole non è stato proposto dal medesimo (che non risulta abbia nemmeno impugnato la sentenza del giudice di pace) da UnipolSai, sicchè il ricorrente non è legittimato a dolersi del mancato accoglimento di un motivo di appello altrui. Peraltro la censura, anche in punto di merito, non supera lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass., Sez. Un., 21 marzo 2017 n. 7155). Il Tribunale di Napoli ha deciso la questione di diritto inerente alla mancata riunione dei giudizi in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del ricorso non offre elementi per mutare tale orientamento. In tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice, e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2015 n. 2245; Cass. 30 marzo 2018 n. 8024). L’omessa riunione non rileva nemmeno sotto il profilo dell’art. 151 disp. att. c.p.c., trattandosi di norma non presidiata da espressa sanzione di nullità e la cui violazione può essere prospettata in sede di impugnazione soltanto deducendo il pregiudizio che la mancata trattazione unitaria delle controversie connesse ha causato in termini di liquidazione delle spese, ai sensi del comma 2 di tale disposizione (Cass. 10 marzo 2014 n. 5457);

– con il quarto motivo il Q. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 111 Cost., in quanto i periti assicurativi, a fronte della natura economica della loro prestazione, esercitata in modo stabile e con struttura organizzativa indipendente dalla impresa assicurativa committente, rientrerebbero nella nozione funzionale di impresa delineata dalla giurisprudenza comunitaria; nè deporrebbe in senso contrario l’esistenza tra le parti di un mandato continuativo, che, ad ogni modo, non eviterebbe che il perito assuma in proprio il rischio imprenditoriale derivante dall’attività peritale svolta.

E’ inammissibile anche la quarta doglianza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto la considerazione che l’attività del perito assicurativo rientri nell’ambito della nozione comunitaria di impresa non dimostra alcuna specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata (conf. Cass., Sez. Un., n. 4315 del 2020);

– con la quinta censura si lamenta la violazione della L. 4 dicembre 2017, n. 2, art. 19 quaterdecies, che ha modificato della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 bis, relativamente all’equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati.

Esso denuncia la violazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 bis (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), inserito da D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, art. 19 quaterdecies, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172, in tema di equo compenso degli avvocati nei rapporti professionali regolati da convenzioni ed aventi ad oggetto lo svolgimento di attività in favore di imprese bancarie e assicurative. Il D.L. n. 148 del 2017, stesso art. 19 quaterdecies, dispone che della L. n. 247 del 2012, citato art. 13 bis, si applica, in quanto compatibile, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui alla L. 22 maggio 2017, n. 81, art. 1, ovvero ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile.

Il motivo è inammissibile perchè prospetta in cassazione una questione di diritto nuova, limitandosi a trascrivere le norme di legge, senza specificare che la stessa torni immediatamente applicabile al caso di lite e non implichi indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito;

– con il sesto motivo è denunciato “l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, oggetto di discussione tra le parti e avente carattere decisivo”. Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il Q. avesse accettato, per facta concludentia, un’offerta di compenso molto inferiore a quello previsto dalle tariffe professionali, essendo tale circostanza già oggetto di espressa contestazione in giudizio, ed ora comunque smentita attraverso la presentazione, in forza dell’art. 372 c.p.c., della documentazione IES dell’anno 2010, dalla quale si evincerebbe che il ricorrente percepiva importi differenti per i vari incarichi affidatigli e mai pari ad Euro 40,00.

Anche il quinto motivo di ricorso è inammissibile, in quanto si fonda su documenti prodotti, come premesso, in violazione dei limiti di cui all’art. 372 c.p.c., ed invoca, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un nuovo e più favorevole esame del fatto dell’accettazione, da parte del Q., del compenso offerto in importo medio di Euro 40,00 a pratica, fatto preso in considerazione dal Tribunale di Napoli. Il ricorrente assume che l’avvenuta accettazione di tale compenso costituisse circostanza contestata, ma non osserva l’onere, prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente il contenuto saliente dei propri atti difensivi, da cui dedurre l’erronea applicazione del principio di non contestazione;

– con il settimo motivo viene denunciata la violazione del giudicato implicito con riferimento alle sentenze n. 18808/2016, n. 18809/2016 e n. 18810/2016 di Codesta Corte.

Il settimo motivo è inammissibile in quanto richiama l’efficacia preclusiva asseritamente derivante dal giudicato intervenuto a seguito di alcune precedenti pronunce di questa Corte, di cui, in maniera del tutto generica richiama il numero senza riportare con precisione nè il contenuto delle medesime nè il contenuto delle sentenze di merito sulle quali le stesse sono intervenute.

Inoltre, rileva la circostanza che trattasi di pronunce che hanno disposto la cassazione con rinvio delle decisioni di merito gravate, il che non determina evidentemente l’immediato passaggio in giudicato di queste ultime, senza che nulla venga dedotto in merito alla sorte dei relativi giudizi di rinvio;

– con l’ottavo motivo è lamentata, infine, l’erronea interpretazione dei principi nomofilattici espressi dalle Sezioni Unite nelle pronunce del 15.11.2007 n. 23726 e del 13.02.2017 n. 4090.

Anche l’ottavo motivo è inammissibile.

La decisione del Tribunale di Napoli qui impugnata è conforme a diritto, sulla base del principio enunciato da Cass., Sez. Un, 16.02.2017 n. 4090, secondo il quale le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2.

Nel caso in esame, come peraltro confermato anche da Cass., Sez. Un., n. 4315 del 2020, il Tribunale di Napoli ha accertato l’esistenza di un rapporto negoziale complesso tra la compagnia assicurativa e il ricorrente, in esecuzione di una moltitudine di incarichi per la liquidazione dei sinistri. La regolamentazione e le modalità di svolgimento di tale rapporto risultavano invariate per l’intera durata dello stesso, non risultando alcuna specifica contrattazione in relazione all’affidamento dei singoli incarichi come alla determinazione dei relativi compensi. Quanto al contrario interesse del ricorrente ad una trattazione unitaria, la quale avrebbe dato vita ad un processo difficilmente gestibile e dalla durata non preventivabile, trattasi di affermazione che mira a contestare l’apprezzamento in fatto operato dal giudice di merito, che ha ritenuto che ricorressero i presupposti per l’abusivo frazionamento del credito e l’assenza di elementi che impedissero la trattazione unitaria delle varie domande separatamente proposte.

Quanto invece alla dedotta violazione dell’art. 101 c.p.c., valga osservare che la questione dell’abusivo frazionamento risultava posta all’attenzione del giudice da una specifica deduzione della controparte del Q., il che esclude che si tratti di questione rilevata d’ufficio, per la quale sia invocabile la norma de qua.

Quanto alla generica prospettazione di interesse alla tutela processuale frazionata facendo riferimento al “rischio di prescrizione” (peraltro scongiurabile già mediante costituzione in mora, ex art. 2943 c.c., comma 4), occorre rilevare che lo stesso è dedotto senza specificare, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nè quando tale interesse fosse stato esplicitato nel corso del giudizio di merito, nè quali elementi fossero stati dedotti a sostegno del rilievo (decorrenza del termine di prescrizione e relativa scadenza in riferimento alla singole prestazioni oggetto della molteplici cause).

Nè va trascurato che la sentenza impugnata ha altresì rilevato che per effetto di numerose sentenze, sia di merito che di questa Corte, intervenute tra le medesime parti ed aventi ad oggetto la questione dell’abusivo frazionamento del credito, fosse intervenuto un giudicato esterno, circa l’accertamento dell’abusività del frazionamento del credito vantato del ricorrente, affermazione questa che non risulta essere stata oggetto di una specifica censura nel motivo in esame.

Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza in favore della controricorrente, nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Considerata la palese inammissibilità e la manifesta infondatezza dei motivi, il Collegio ritiene che la condotta processuale del ricorrente sia connotata da colpa grave, tale da integrare un “abuso del processo” (secondo la nozione enucleata da Cass., Sez. Un., n. 22405 del 2018; v. anche Cass. n. 29462 del 2018; Cass. n. 10327 del 2018; Cass. n. 19285 del 2016) per il quale va comminata la sanzione prevista dall’art. 96 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis, mediante la condanna del Q. al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controricorrente.

Non deve qui provvedersi sull’istanza di revoca dell’ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato avanzata dal Pubblico Ministero, potendosi a tal fine fare rinvio al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4315 del 2020, a mente del quale detto potere nel giudizio civile spetta, per il giudizio di cassazione, al giudice del rinvio ovvero – in mancanza di rinvio – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato, e ciò avvalendosi della conoscenza della decisione del giudice di legittimità a seguito della trasmissione disposta ex art. 388 c.p.c..

Pur risultando il ricorrente Q.B. ammesso in via provvisoria al patrocinio a spese dello Stato in forza di Delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, e non essendo in questa sede possibile la revoca, trattandosi di decisione che compete al giudice di merito, deve qui darsi unicamente atto della sussistenza delle condizioni – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – per l’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, ancorchè l’effettiva debenza sia condizionata alla sussistenza dell’obbligo di versare il contributo unificato iniziale, anche quando il mancato versamento sia legato ad una causa successibile di venir meno, come nel caso di revoca dell’iniziale ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. Sez. U. n. 4315/2020).

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; condanna Q.B., ai sensi dell’art. 96 c.p.c., u.c., al pagamento in favore di UnipolSai Assicurazioni p.a. della ulteriore somma di Euro 1.000,00;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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