Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28985 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 12/11/2018), n.28985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSTO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19529-2017 proposto da:

B.M. elettivamente domiciliata in ROMA VIA LAURENTINA

3/S, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA D’ANIELLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO CAMPANATI;

– ricorrente –

Contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/09/2018 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 24 gennaio 2017, la Corte d’Appello di Roma, in sede di rinvio da Cass. n. 21413/2015, confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da B.M. intesa alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra essa ricorrente e Poste Italiane s.p.a. per il periodo dal 1 giugno al 30 settembre 1999 ed all’accertamento della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti con condanna della società alla riammissione in servizio di essa lavoratrice ed al pagamento in suo favore delle retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto fino alla effettiva ricostituzione dello stesso; che, ad avviso della Corte territoriale, il contratto doveva ritenersi risolto per mutuo consenso emergendo dagli atti elementi di fatto che, ad una valutazione complessiva, consentivano di considerare prodotti, nel caso di specie, gli effetti di cui all’art. 1372 c.c., comma 1;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la B. affidato a tre motivi cui resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la Corte d’appello omesso di valutare il telemessaggio n. 67 del 4 ottobre 1999 con il quale il sindacato Slp Cisl aveva diffuso i contenuti minatori di una circolare del direttore centrale delle risorse umane di Poste Italiane nella quale si disponeva di non concludere contratti a termine con soggetti che avevano in atto un contenzioso con la società, circolare che poteva aver indotto la lavoratrice a procrastinare l’inizio del giudizio; peraltro, gli elementi individuati nell’impugnata sentenza come indicativi del mutuo consenso alla risoluzione del rapporto erano equivoci e non significativi;

– con il secondo motivo viene dedotta violazione dell’art. 1372 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo il giudice del gravame posto a base della decisione elementi affatto diversi da quelli richiesti dall’art. 1372 c.c. come interpretato dalla giurisprudenza ritenendo l’avvenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso senza accertare la sussistenza di una reale e concreta volontà estintiva in capo alle parti;

– con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto i fatti del processo dovevano far presumere l’esatto contrario di quanto ritenuto nella sentenza impugnata;

che tutti i motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati:

– sono inammissibili alla luce di quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. s.u. 27 ottobre 2016 n. 21691), in continuità con altre più risalenti pronunce, secondo cui la valutazione della durata rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola che fissa il termine nonchè di altri elementi convergenti nel senso della individuazione di una volontà di estinguere il rapporto di lavoro è un giudizio che attiene al “merito della controversia” e che, se immune da vizi logici e giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità. Ed infatti tutti i motivi, nonostante il richiamo contenuto nelle intestazioni del secondo e del terzo a violazione di legge, finiscono anche con il sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede; invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003). Peraltro, il primo motivo, non presenta alcuno dei requisiti richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione (così come interpretato da Cass. SU n. 8053 del 07/04/2014) di questa Corte finendo con il lamentare non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) bensì di un documento peraltro anche privo del carattere della decisività;

– sono infondati in quanto la Corte territoriale ha accertato, senza incorrere nelle denunciate violazioni di legge ed in applicazione della regola iuris dettata nella sentenza rescindente, con valutazione dei fatti a lei riservata, che il lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l’esercizio dell’azione era indicativo della volontà di risolvere il rapporto di lavoro essendo l’inerzia accompagnata da altri comportamenti socialmente tipici, rivelatori di una volontà in tal senso e ciò sulla premessa corretta che era onere del datore di lavoro provare che con un comportamento concludente la parte avesse inteso risolvere il rapporto di lavoro (cfr. Cass. 04/08/2011 n. 16932 e successivamente Cass. 10/04/2017 n. 10027); che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

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