Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28983 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 04/10/2019, dep. 08/11/2019), n.28983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5493/2016 r.g. proposto da:

L.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), G.G. (cod.

fisc. (OMISSIS)), G.A. (cod. fisc. (OMISSIS)) e

GI.AN. (cod. fisc. (OMISSIS)), tutti in proprio e quali eredi di

G.M., e Gi.An. anche quale tutore del fratello

G.G.R., nonchè G.F., tutti

rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta a margine

del ricorso, dall’Avvocato Vincenzo Aliperti, con il quale

elettivamente domiciliano in Roma, al Viale della Stazione

Prenestina n. 7, int. 10, presso lo studio dell’Avvocato Patrizia

Mauro;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., (p. iva (OMISSIS)), in persona del

curatore, Dott. C.G., rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avvocato

Genoveffa Sellitti, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla

via Cosseria n. 2, presso il Dott. Alfredo Placidi;

– controricorrente –

e

O.V.; MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore; INA ASSITALIA S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore; CO.FR.SA., in

proprio, nella qualità di amministratore della (OMISSIS) s.p.a., e

quale erede di Co.Tu. e Lo.Ro.; CO.QU. e

CO.MA.TE., entrambe in proprio e quali erede di

Co.Tu. e Lo.Ro.;

– intimati –

avverso la sentenza non definitiva della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI,

depositata in data 09/11/2010;

la sentenza definitiva della MEDESIMA CORTE depositata in data

09/01/2015;

la sentenza della STESSA CORTE depositata il 23/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/10/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con sentenza del 10 luglio 2006, n. 7949, il Tribunale di Napoli, in parziale accoglimento dell’azione di responsabilità verso amministratori e sindaci promossa dal fallimento della (OMISSIS). s.p.a. (dichiarato dal medesimo tribunale l’8 gennaio 1998) L. Fall., ex art. 146: i) condannò, in solido, al pagamento della somma di Euro 413.165,51, oltre interessi legali, gli eredi dell’amministratore Co.Tu. ( Co.Qu., Co.Ma.Te., Lo.Ro. e Co.Fr.Sa.) nonchè quelli del sindaco G.M. ( L.M., G.G., G.A., Gi.An. e G.G.R.), deceduto nel corso del giudizio, ed il sindaco G.F. in proprio; ii) rigettò la domanda nei confronti di G.F., quale erede di G.M.;

respinse le domande verso Co.Fr.Sa., in proprio, e O.V.; iv) dichiarò non luogo a provvedere in ordine alla domanda formulata dall’ O. contro la Milano Assicurazioni s.p.a.; v) dichiarò l’estinzione del giudizio intrapreso dal medesimo O. nei confronti della Assitalia s.p.a.; vi) dichiarò inefficace il sequestro conservativo nei confronti di Co.Fr.Sa. e O.V., e, verso gli altri convenuti, nei limiti eccedenti la pronunciata condanna; vii) statuì sulle spese giudiziali riguardanti i vari rapporti processuali tra le parti.

2. Avverso detta sentenza, un primo appello (n. r.g. 3828/07) fu proposto da L.M., G.G. ed G.A. (in proprio e quali eredi di G.M.) unicamente nei confronti del fallimento attore e di Gi.An., in proprio e quale tutore del fratello G.G.R., con la richiesta di accertare la validità della loro rinuncia all’eredità di G.M., rigettandosi, così, le domande proposte nei loro confronti, previa, altresì, declaratoria di irritualità della documentazione acquisita ex art. 184-bis c.p.c.. Nel giudizio si costituì Gi.An., in proprio e nella indicata qualità, chiedendo dichiararsi la nullità della sentenza di primo grado o, comunque, la sua inopponibilità al fratello interdetto, mai reso edotto della pendenza del processo. Si costituì anche il fallimento, domandando, in via incidentale, la condanna pro quota degli appellanti e di Gi.An., in proprio e nella qualità, al pagamento della maggiore somma di Euro 2.582.284,50.

2.1. Un secondo gravame (n. r.g. 3833/07) fu poi promosso dal fallimento nei confronti di tutte le parti del giudizio di primo grado, chiedendosi la condanna, in solido, dei convenuti al pagamento della predetta maggiore somma di Euro 2.582.284,50.

2.2. La Corte di appello di Napoli, riunite le impugnazioni, ordinò agli appellanti L.M., G.G. ed G.A. di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti del giudizio di primo grado da loro non citate in appello, e cioè gli eredi di Co.Tu. ( Co.Qu., Co.Ma.Te., Lo.Ro.), l’amministratore Co.Fr.Sa. (convenuto in giudizio in proprio e quale erede di Co.Tu.), i sindaci G.F. e O.V., nonchè le società di assicurazione Milano s.p.a. ed Assitalia s.p.a., evocate in giudizio da quest’ultimo.

2.3. Con sentenza “non definitiva” dell’8 ottobre/9 novembre 2010, n. 3679, la medesima corte così decise: i) dichiarò inammissibile, per la mancata integrazione del contraddittorio, l’appello proposto da L.M. G.G. ed G.A.; ii) conseguentemente, dichiarò inammissibili per tardività gli appelli incidentali proposti dal fallimento (18 aprile 2008) e da Gi.An. in proprio e nella qualità (19 febbraio 2008), considerato che la sentenza era stata notificata in data 2 agosto 2007; ii) dichiarò l’estinzione, per intervenuta transazione, del giudizio promosso dal fallimento nei confronti degli eredi di Co.Tu. e nei confronti di Co.Fr.Sa.; iii) dichiarò preclusa la questione della responsabilità di G.F., quale erede del padre M., poichè la sentenza di primo grado non era stata impugnata laddove aveva affermato che il primo aveva validamente rinunciato all’eredità del secondo; iv) confermò l’intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità sociale nei confronti di O.V., in quanto lo stesso era dimissionario fin dal 17 febbraio 1994 ed era stato automaticamente sostituito dal sindaco supplente, mentre non rilevava la mancata pubblicità delle dimissioni; v) confermò il rigetto dell’azione di responsabilità dei creditori nei confronti dello stesso O., precisando che l’azione non era prescritta e che, tuttavia, il breve periodo (30 giugno 1993 – 17 febbraio 1994) in cui lo stesso era rimasto in carica come sindaco non consentiva di ricondurre il dissesto alla sua responsabilità; vi) dalla conferma del rigetto della domanda nei confronti di O.V., fece conseguire il non luogo a provvedere sui motivi relativi alle posizioni dei suoi assicuratori Assitalia s.p.a. e Milano s.p.a.; vii) rigettò le doglianze proposte dal fallimento, mediante la propria impugnazione principale, con riguardo alla quantificazione del danno, affermando, da un lato, l’inutilizzabilità del criterio della differenza tra passivo ed attivo risultati in sede fallimentare, e, dall’altro, per alcune voci di danno (cioè quelli pretesamente derivati dall’occultamento di esposizioni debitorie, da investimenti infruttiferi in partecipate e da irregolarità della tenuta delle scritture nel periodo in cui amministratore era stato Co.Fr.Sa.), la corrispondente mancanza di prova, il cui onere incombeva sul curatore avendo lo stesso spiegato una azione di responsabilità aquiliana; viii) confermò la responsabilità dei sindaci F. e G.M. anche per il periodo successivo alle loro dimissioni (23 febbraio 1996), poichè gli stessi non erano stati sostituiti e, quindi, erano rimasti in carica in regime di prorogatio fino alla dichiarazione di fallimento; ix) infine, ritenuto che la transazione stipulata dal fallimento con Co.Fr.Sa. e con gli eredi di Co.Tu., aveva una incidenza sul residuo debito di G.F. e degli eredi di G.M., rimise la causa sul ruolo per la produzione della predetta transazione.

2.4. Avverso questa decisione, Gi.An., nella qualità di tutore del fratello G.R., propose immediato ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, giudicato, però, inammissibile dalla Suprema Corte con la sentenza n. 10732 del 2015; L.M., G.G. ed G.A., invece, promossero impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., ritenuta inammissibile dalla corte partenopea con sentenza del 16 febbraio 2015, n. 785.

2.5. Nelle more, con sentenza “definitiva” del 9 gennaio 2015, n. 121, la medesima corte napoletana, dopo aver ampiamente richiamato i contenuti della sua precedente pronuncia “non definitiva”: i) evidenziò che occorreva procedersi (cfr. pag. 12) “..unicamente alla quantificazione del danno addebitabile ai sindaci, condebitori non transigenti, F. e G.M., deceduto in data (OMISSIS). Attesa l’inammissibilità dell’appello proposto da L.M., G.G., G.A., quali eredi di G.M. (…), è divenuta incontrovertibile la sentenza nella parte in cui ha affermato la loro legittimazione passiva, attesa l’inefficacia della rinunzia all’eredità del 3/03/2004 per accettazione dell’eredità da parte degli stessi, che sono rimasti nel possesso del bene ereditario della casa familiare e non hanno proceduto alla redazione d’inventario (…). Del pari inammissibile è stato dichiarato l’appello incidentale tardivo proposto da Gi.An., in proprio e nella qualità di tutore del fratello G.G.R., rimasto contumace, quest’ultimo, in primo grado, del pari passivamente legittimati nella loro qualità di eredi di G.M.”; ii) rimarcò che (cfr. pag. 13), “…Come già stabilito dalla sentenza non definitiva (…), deve escludersi che il danno possa essere determinato nella differenza tra attivo acquisito al fallimento e passivo fallimentare, accertato al momento della notifica della citazione. La sentenza ha rigettato anche gli altri motivi di appello relativi alla determinazione del danno proposti dalla curatela e ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha quantificato il danno in complessive Euro 413.165,51, somma rappresentante la caparra confirmatoria (all’epoca, di Euro 800.000.000), versata dalla società ((OMISSIS) s.p.a. in bonis. Ndr) per l’acquisto, non perfezionatosi, della quota del 50% di un immobile di proprietà dei fratelli Tu. e Co.Ga., appostata nell’attivo corrente dei bilanci 1991 e 1992 e tra le immobilizzazioni materiali nei bilanci successivi, fino al 1996, e di fatto perduta, come stabilito dalla sentenza con decisione non specificamente censurata…”; iii) stabilì, quindi, “in accoglimento del relativo motivo di appello proposto dalla curatela”, che la somma di Euro 413.165,51, dovuta a titolo di risarcimento del danno, dovesse essere rivalutata dalla data del fallimento (8.1.1998) al 20.4.2009, data della transazione, secondo gli indici ISTAT, in Euro 521.486,06; che, da tale somma, doveva essere sottratta la somma di Euro 385.000,00, versata in via transattiva alla curatela dai condebitori solidali Co.; che doveva affermarsi la responsabilità solidale di G.F. e degli eredi di G.M., pro quota (1/3 L.M. e 1/4 dei residui 2/3 ciascuno dei figli) relativamente alla somma così ottenuta di Euro 136.486,06, la quale doveva essere rivalutata dal 20.4.2009 all’attualità, secondo gli indici ISTAT, in Euro 148.748,54; che su tale somma sarebbero stati dovuti gli interessi che, in adesione all’insegnamento della Suprema Corte (…), si stabilirono, al fine di compensare il lucro cessante da ritardato pagamento della somma liquidata e sulla base del notorio, nella media del 3% dal 20.4.2009 alla data di pubblicazione della presente sentenza. Da tale data al saldo sarebbero stati, altresì, dovuti gli interessi legali sulla somma rivalutata; iv) condannò, dunque, in parziale riforma della sentenza di primo grado, G.F., nonchè L.M., G.G., G.A., Gi.An. e G.G.R., eredi di G.M., secondo la propria quota ereditaria, in solido, al pagamento in favore della curatela del fallimento (OMISSIS) s.p.a., della somma di Euro 148,748,54, oltre interessi come precisati in motivazione.

3. L.M., G.G. ed G.A., in proprio e quali eredi di G.M., Gi.An., in proprio, quale erede di G.M. ed in qualità di tutore del germano G.G.R., nonchè G.F., hanno oggi proposto ricorso per cassazione – nei confronti del fallimento (OMISSIS) s.p.a., di O.V., della Milano Assicurazioni s.p.a., di INA Assitalia s.p.a., di Co.Fr.Sa. (in proprio e nella qualità di amministratore della (OMISSIS) s.p.a. nonchè quale erede di Co.Tu. e Lo.Ro.), di Co.Qu. e di Co.Ma.Te. (entrambe in proprio e quali eredi di Co.Tu. e Lo.Ro.) – contro: a) la sentenza “non definitiva” n. 3679/2010, resa dalla Corte di appello di Napoli nelle cause riunite recanti i nn. 3828/2007 e 3833/2007 r.g.; b) la sentenza n. 121/2015, pronunciata dalla medesima corte distrettuale, che ha definito i predetti giudizi; c) la sentenza n. 785/2015 di quella stessa corte, avente ad oggetto l’impugnazione per revocazione della citata sentenza n. 3679/2010.

3.1. Ha resistito, con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., la sola curatela fallimentare, formulando, pregiudizialmente, eccezioni di: i) inammissibilità del ricorso di Gi.An. avverso la sentenza “non definitiva” n. 3679/2010, per avere questi consumato il proprio potere di impugnazione; inammissibilità del ricorso di L.M., G.G. ed G.A., avverso la medesima decisione, per violazione dell’art. 361 c.p.c., per omessa formulazione della riserva di impugnazione contro la predetta decisione; iii) giudicato circa la menzionata sentenza n. 3679/2010, con conseguente improcedibilità della impugnazione avverso la successiva sentenza definitiva n. 125/2015 per i profili coperti da giudicato; iv) inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6. Ha, poi, argomentato, comunque, l’infondatezza di tutti i motivi.

3.1.1. Non hanno, invece, svolto difese, rimanendo solo intimate, tutte le altre parti destinatarie della notifica del ricorso.

4. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:

I) “Nullità della sentenza e/o del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la corte ritenuto – erroneamente l’omessa integrazione del contraddittorio”. Si contestano la sentenza non definitiva, n. 3679/2010, e quella n. 785/2015, che avevano dichiarato l’inammissibilità, rispettivamente, dell’appello proposto da L.M., G.G. ed G.A. (in proprio e quali eredi di G.M.), e della impugnazione per revocazione dagli stessi successivamente proposta contro la decisione di quel gravame, e si assume che, diversamente da quanto da quest’ultima ritenuto, gli appellanti avevano proceduto a notificare il proprio gravame a tutte le parti convenute nel giudizio di primo grado. Pertanto, stante la regolarità delle notifiche e l’avvenuta ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio, il loro appello non poteva essere dichiarato inammissibile, ma doveva essere deciso nel merito, sicchè, non essendo ciò avvenuto, doveva dichiararsi “la nullità della sentenza di secondo grado”, con rimessione ad altra sezione della corte di appello e/o decisione delle questioni, specificamente riproposte, che erano rimaste assorbite dalla pronuncia di inammissibilità;

II) “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo della responsabilità dei sindaci dimissionari; falsa applicazione degli artt. 2400,2401 e 2385 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5”. Muovendosi dalla premessa che “Sia la sentenza non definitiva n. 3679/2010, che quella che definisce il giudizio n. 125/2015, affermano (che) “la sentenza di primo grado ha riconosciuto la responsabilità dei sindaci M. e G.F…., ha ritenuto che gli stessi, dimissionari dal 23.02.1996 e mai sostituiti, siano rimasti in carica in regime di prorogatio fino alla dichiarazione di fallimento e siano quindi responsabili degli atti e delle omissioni compiute dopo la loro cessazione in ossequio al principio generale della continuità della funzione di vigilanza consacrato dall’art. 2400, ma ritenuto applicabile dalla dottrina e dalla giurisprudenza anche nel regime previgente pur in assenza di una norma ad hoc per i sindaci”..”, si rimarca che “…Con riferimento, quindi, al collegio sindacale, dimessosi ma non sostituito dall’assemblea il Tribunale partenopeo come la Corte di appello hanno ritenuto di seguire la corrente di pensiero che, prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto societario, affermava l’applicazione analogica dell’art. 2385 c.c., comma 2, anche all’organo di controllo. Si tratta del cd. regime della prorogatio, in applicazione del quale anche i sindaci scaduti (o dimissionari) resterebbero in carica fino alla ricostruzione dell’organo. Tale tesi, secondo la decisione impugnata, troverebbe la sua logica ed il suo fondamento “nel principio espressione di una regola comune agli organi essenziali della società, in virtù della quale la società non deve restare priva, neppure per un breve periodo di tempo, nè dell’organo gestorio, nè di quello di controllo”..”. Un siffatto assunto interpretativo viene contestato e si chiede (cfr. pag. 19 del ricorso) che “la sentenza della Corte di appello su tale punto” sia “..riformata per giungere alla conclusione della non applicabilità della prorogatio alle dimissioni dei sindaci F. e G.M., con la conseguenza che le azioni intraprese dalla curatela devono intendersi infondate e devono condurre alla riforma del capo in cui si dispone la condanna al pagamento stante l’assenza di responsabilità in capo ai sindaci dimessi, anche perchè le operazioni illecite e/o illegittime si riferiscono ad epoche antecedenti la nomina dei sindaci G.”.

5. Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che, come si è già riferito, Gi.An., nella qualità di tutore del fratello G.G.R., ebbe già a proporre immediato ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Napoli n. 3679 del 2010, e che quel ricorso fu dichiarato inammissibile, da questa Suprema Corte, con la sentenza del 25 maggio 2015, n. 10732.

5.1. Ne consegue, dunque, che, almeno in relazione a detta sentenza non definitiva, Gi.An., quanto meno nell’appena indicata qualità, ha consumato il proprio potere di impugnazione, risultando l’odierno ricorso proposto (da lui oggi anche in proprio e quale erede di G.M.), nel febbraio 2016. In parte qua, pertanto, il ricorso è certamente inammissibile ai sensi dell’art. 387 c.p.c. (cfr., ex multis, Cass. n. 14214 del 2018; Cass. n. 22929 del 2017; Cass. n. 24332 del 2016; Cass. n. 18604 del 2014; Cass. n. 7344 del 2012).

6. Ancora in via pregiudiziale, va osservato che il primo motivo di ricorso prospetta un error in procedendo, tacciando di erroneità, innanzitutto, la sentenza non definitiva n. 3679/2010 della corte partenopea laddove aveva dichiarato l’inammissibilità del gravame proposto da L.M., G.G. ed G.A. (in proprio e quali eredi di G.M.) sul presupposto che gli appellanti non avevano proceduto a notificare detta impugnazione a tutte le parti convenute nel giudizio di primo grado, altresì non adempiendo a quanto successivamente ordinatogli dalla medesima corte ex art. 331 c.p.c..

6.1. E’ noto, però, che, ai sensi dell’art. 361 c.p.c. (come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 3 applicabile, giusta l’art. 27, comma 2 medesimo decreto, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati dalla sua data – 2.3.2006 – di entrata in vigore), “I. Contro le sentenze previste dall’art. 278 e contro quelle che decidono una o alcune delle domande senza definire l’intero giudizio, il ricorso per cassazione può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso, e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa. II. Qualora sia stata fatta la riserva di cui al precedente comma, il ricorso deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio, o con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro altra sentenza successiva che non definisca il giudizio. III. La riserva non può farsi, e se già fatta rimane priva di effetto, quando contro la stessa sentenza da alcuna delle altre parti sia proposto immediatamente ricorso”.

6.1.1. Orbene, nella specie l’odierno ricorso non riporta alcunchè, – così evidentemente violando il principio cd. di autosufficienza, oggi desumibile dal combinato disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4-6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – quanto all’avvenuta rituale e tempestiva formulazione, da parte degli odierni ricorrenti, della riserva di impugnazione della citata sentenza non definitiva della corte napoletana n. 3679 del 2010, dovendosi, in proposito, ricordare, da un lato, che, come sancito da Cass. n. 31153 del 2017, “il ricorso per cassazione con cui venga impugnata, unitamente alla sentenza definitiva del grado di appello, quella non definitiva precedentemente emessa, è inammissibile ove la parte ricorrente…. non indichi di avere compiuto la dichiarazione di riserva ex art. 361 c.p.c., precisandone, altresì, modalità e tempi”; dall’altro, che, come ribadito da Cass. n. 22880 del 2017, “l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso”).

6.1.2. Osserva, inoltre, il Collegio, che ad un risultato diverso dall’inammissibilità nemmeno potrebbe giungersi ove si applicasse il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in assenza di riserva di gravame avverso la sentenza non definitiva di appello nel termine fissato dall’art. 361 c.p.c., si verificherebbe non la decadenza del soccombente dal potere di impugnare la sentenza, ma, più semplicemente, la preclusione circa la facoltà di esercizio dell’impugnazione differita. Ne conseguirebbe, quindi, che la sentenza non definitiva potrebbe sempre essere correttamente impugnata entro gli ordinari termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. (cfr. Cass. n. 21417 del 2014, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 31153 del 2017). Infatti, la sentenza non definitiva di appello contro la quale è rivolta la doglianza in esame è stata pubblicata il 9 novembre 2010 ed impugnata, unitamente alla sentenza definitiva, il 16 febbraio 2016, ben oltre, perciò, la scadenza del cd. termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c..

6.2. Decisiva, comunque, appare l’ulteriore circostanza che l’odierno ricorso specificamente espone (cfr. pag. 8) che Gi.An., nella qualità di tutore del fratello G.G.R., ebbe già a proporre, avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Napoli n. 3679/2010, immediato ricorso per cassazione, dichiarato inammissibile, da questa Suprema Corte, con la sentenza del 25 maggio 2015, n. 10732. E’ palese, pertanto, che pure se una rituale e tempestiva riserva fosse stata, in thesi, proposta, la stessa, ai sensi dell’art. 361 c.p.c., comma 3, avrebbe certamente perso ogni efficacia per effetto della descritta impugnazione immediata di Gi.An. nella indicata qualità, con conseguente inammissibilità, per tardività, del (motivo di) ricorso oggi proposto contro la medesima pronuncia da tutti gli odierni ricorrenti, in proprio e nella qualità da ciascuno di essi spesa.

6.3. Analoga inammissibilità colpisce, poi, la censura de qua laddove ascrive anche alla sentenza n. 785/2015 della stessa corte distrettuale – che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione per revocazione, ex art. 395 c.p.c., pure proposta da L.M., G.G. ed G.A. (in proprio e quali eredi di G.M.), contro la citata decisione n. 3679/2010 della corte partenopea – il medesimo errore consistito nel non aver rilevato che, diversamente da quanto da quest’ultima ritenuto, gli appellanti avevano proceduto a notificare il proprio gravame ed il successivo ordine di integrazione ex art. 331 c.p.c. a tutte le parti convenute nel giudizio di primo grado.

6.3.1. Invero, l’indicata sentenza n. 785/2015, da un lato, invocando il disposto dell’art. 402 c.p.c. -“con la sentenza che decide la revocazione il giudice decide il merito della causa…” – ha ritenuto (cfr. pag. 2) inammissibile la domanda di revocazione “non avendo gli attori in revocazione indicato le conclusioni di merito da esaminare da questa Corte, ad esito del giudizio di revocazione”; dall’altro, ha opinato (cfr. pag. 2-3) che “anche nel merito, la domanda sarebbe infondata”, e ciò perchè: i) “nella fattispecie, non è dato rilevare in alcun modo nella sentenza impugnata che la decisione della inammissibilità dell’appello fosse stata determinata dal mancato esame del fascicolo di parte n. (OMISSIS) e dei documenti in esso contenuti, nè che detto fascicolo di parte non fosse stato presente al momento della decisione e non fosse stato esaminato dalla Corte, in uno con i documenti ivi presenti. La Corte ha infatti motivato semplicemente affermando non avere gli appellanti provveduto alla disposta integrazione del contraddittorio, ma non ha affermato che non era agli atti il fascicolo di parte; ben potrebbe infatti il fascicolo essere stato presente, ma privo di una o di tutte le notifiche effettuate ad integrazione, ovvero essere queste ultime state effettuate non ritualmente. In effetti, sono gli attuali attori ad affermare che la pronuncia di inammissibilità è dipesa dalla mancata presenza del loro fascicolo, ma tale affermazione è priva di riscontri oggettivi, mancando qualsiasi certificazione di cancelleria in ordine al mancato ritrovamento di detto fascicolo di parte; anche la “richiesta di ritrovamento di fascicolo di parte” depositata in data 2.5.2011 è irrilevante, in quanto da un lato non esclude che il fascicolo di parte sia andato smarrito in un momento successivo alla decisione, e dall’altro indica come smarrito il fascicolo n. (OMISSIS) e non quello n. (OMISSIS) che si assume invece smarrito. In definitiva, manca agli atti la prova dell’errore, nel senso che non è accertato con carattere di assoluta evidenza e sulla base degli atti che effettivamente le notifiche ad integrazione del contraddittorio fossero presenti nel fascicolo di parte e questo non fosse stato esaminato dalla Corte perchè andato smarrito”; ii) “peraltro, dalla documentazione relativa alle notifiche integrative, prodotte in questa sede in copia e rilevabili dal fascicolo d’ufficio, si rileva come l’integrazione del contraddittorio fosse avvenuta solo a Co.Fr.Sa., Co.Qu., co.te., Assitalia s.p.a. e Milano Assicurazioni s.p.a., e non anche a Lo.Ro. e O.V.”.

6.3.2. In questa sede, nessuna puntuale contestazione è stata mossa avverso la ritenuta ragione di inammissibilità, in riferimento all’art. 402 c.p.c., individuata dalla corte distrettuale e costituente, all’evidenza, autonoma ratio decidendi, dovendo, così trovare applicazione il principio secondo cui, se la corrispondente motivazione della decisione sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la statuizione adottata sul punto, l’omessa o infondata impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua, della decisione medesima (cfr., ex multis, Cass. n. 15075 del 2018, in motivazione; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).

6.3.2.1. In ogni caso, l’affermazione degli odierni ricorrenti secondo cui, diversamente da quanto ritenuto dalla corte napoletana, gli appellanti avevano proceduto a notificare il proprio gravame ed il successivo ordine di integrazione ex art. 331 c.p.c. a tutte le parti convenute nel giudizio di primo grado, è palesemente rivolta ad un inammissibile nuovo accertamento fattuale, qui precluso, circa le diverse conclusioni (relativamente a chi era effettivamente risultato destinatario delle predette notificazioni) esposte, sul punto, dal giudice a quo.

6.4. Quanto fin qui detto in ordine alla complessiva inammissibilità del motivo in esame, con le relative conseguenze da tanto derivanti in termini di formazione di giudicato, sui corrispondenti punti, della sentenza di primo grado, impedisce, dunque, qualsivoglia riesame delle questioni rimaste assorbite come oggi richiamate dai ricorrenti (cfr. pag. 10-15 del ricorso).

7. Parimenti inammissibile è, nel suo complesso, il secondo motivo di ricorso, e ciò per la decisiva considerazione che l’affermazione della sussistenza della responsabilità dei sindaci, e le ragioni poste a suo fondamento, sono contenute nella più volte citata sentenza non definitiva n. 3679/2010 (cfr. pag. 18 e ss.), leggendosi, in quella successiva, definitiva, n. 121/2015 che occorreva procedersi (cfr. pag. 12) “..unicamente alla quantificazione del danno addebitabile ai sindaci, condebitori non transigenti, F. e G.M., deceduto in data (OMISSIS). Attesa l’inammissibilità dell’appello proposto da L.M., G.G., G.A., quali eredi di G.M. (…), è divenuta incontrovertibile la sentenza nella parte in cui ha affermato la loro legittimazione passiva, attesa l’inefficacia della rinunzia all’eredità del 3/03/2004 per accettazione dell’eredità da parte degli stessi, che sono rimasti nel possesso del bene ereditario della casa familiare e non hanno proceduto alla redazione d’inventario (…). Del pari inammissibile è stato dichiarato l’appello incidentale tardivo proposto da Gi.An., in proprio e nella qualità di tutore del fratello G.G.R., rimasto contumace, quest’ultimo, in primo grado, del pari passivamente legittimati nella loro qualità di eredi di G.M.”.

7.1. E’ evidente, dunque, che investendo, sostanzialmente, la doglianza predetta la statuizione sull’an della responsabilità dei sindaci, la stessa è ormai preclusa, per il principio del ne bis in idem, dal giudicato formatosi per effetto della inammissibilità dell’impugnazione oggi solo proposta della suddetta sentenza non definitiva.

8. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità tra le sole parti costituite a carico dei ricorrenti, in solido tra loro, giusta il principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, in via solidale, da parte dei medesimi ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna L.M., G.G. ed G.A., in proprio e quali eredi di G.M., Gi.An., in proprio, quale erede di G.M. ed in qualità di tutore del germano G.G.R., nonchè G.F., in solido tra loro, al pagamento, nei confronti della curatela controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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