Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28982 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/12/2011, (ud. 29/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CENTRO UNIVERSITARIO SPORTIVO (C.U.S.) DI L’AQUILA, in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GEROLAMO BELLONI 88, presso lo studio dell’avvocato PROSPERETTI

GIULIO, rappresentato e difeso dall’avvocato PERSICHETTI ULDERICO

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.S., domiciliata in ROMA, VIA UNIONE SOVIETICA 8,

presso lo studio dell’avvocato CERCHIARA MAURIZIO, rappresentata e

difesa dagli avvocati CAROSI AURELIA, CAROSI MASSIMO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 357/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 02/04/2009 r.g.n. 1241/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato PROSPERETTI GIULIO per delega PERSICHETTI ULDERICO,

udito l’Avvocato CAROSI AURELIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata – riformando la sentenza del Tribunale dell’Aquila n. 567/07 del 21 dicembre 2007 – accoglie l’appello di B.S. e, per l’effetto: 1) condanna il Centro Sportivo Universitario (d’ora in poi: CUS) dell’Aquila a pagare all’appellante Euro 46.472,57 a saldo della retribuzione dovuta per lavoro subordinato ed Euro 5.504,56 a titolo di t.f.r., con gli accessori di legge; 2) dichiara inammissibile la domanda della lavoratrice relativa alla mancata contribuzione previdenziale;

3) condanna il CUS al risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.

La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:

a) è infondata la tesi secondo cui l’onere probatorio incombe esclusivamente sul presunto lavoratore dipendente e deve essere assolto rigorosamente;

b) infatti il criterio di ripartizione dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 cod. civ. deve essere temperato dall’applicazione dei principi di cui agli artt. 414 e 416 cod. proc. civ., secondo cui ciascuna parte ha il dovere di esporre compiutamente i propri assunti;

c) questo è l’ambito nel quale si costituisce il contraddittorio (artt. 99, 100 e 101 cod. proc. civ.) e nel quale al giudice del lavoro è consentito di esercitare il proprio potere-dovere di ricercare la verità materiale, ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ.;

d) nella specie tale ambito è rappresentato dall’esame delle tesi contrapposte delle parti in ordine alla configurazione del rapporto di lavoro in oggetto come subordinato ovvero come autonomo, coordinato, continuativo e prevalentemente personale (art. 409 c.p.c., n. 3);

e) l’unica soluzione logicamente ammissibile rispetto alla suddetta alternativa è quella della configurabilità del rapporto come subordinato;

f) tale configurazione, infatti, è del tutto conforme alle esigenze economiche ed organizzative di un’associazione non riconosciuta che si avvalga di lavoratori per provvedere – nella sede o nelle dipendenze – all’amministrazione dell’associazione, ai contatti e all’erogazione di servizi agli associati e ai fruitori esterni, nonchè alle attività accessorie;

g) il CUS non ha fornito alcuna prova del proprio assunto secondo cui il rapporto sarebbe autonomo, in particolare con riguardo al compenso pattuito e alla prestazione lavorativa richiesta;

h) del resto, il rapporto si è sviluppato come subordinato, anche se il datore di lavoro tenta di sottrarsi a tale conclusione facendo riferimento ad un’organizzazione lavorativa da parte degli stessi lavoratori, con conseguente autonomia delle prestazioni;

i) tale configurazione è fallace;

j) infatti, da un lato, è evidente che, per un ufficio aperto al pubblico, è necessario un coordinamento delle prestazioni lavorative degli operatori (con orari, turni, ripartizione dei compiti etc.);

k) tale coordinamento, in astratto ottenibile anche tramite una cooperativa ovvero in altri modi, non può che ritenersi inserito in un contratto di lavoro subordinato nell’ipotesi, come l’attuale, in cui la prestazione lavorativa non risulti determinata;

1) ne consegue che, nella specie, non si ravvisa nè il sinallagma contrattuale del lavoro autonomo nè alcun altro sinallagma contrattuale, data l’indeterminatezza delle reciproche, prestazioni;

m) il lavoratore risulta privo di ogni tutela e assoggettato al potere incondizionato del datore di lavoro che può risolvere ad libitum il rapporto;

n) anche la documentazione prodotta dal CUS (peraltro risalente ad epoca di gran lunga successiva al sorgere del rapporto e riguardante soltanto un piccolo periodo del relativo svolgimento) e il modo in cui è stato risolto il rapporto di lavoro con la S. (estromessa dall’ufficio per mezzo della sostituzione delle serrature delle porte d’accesso, senza alcuna formale comunicazione della risoluzione stessa) confermano la natura subordinata del rapporto;

o) ne consegue che la suindicata risoluzione va considerata come licenziamento nullo, per difetto della forma scritta;

p) il saldo della retribuzione per lavoro subordinato va effettuato sulla base dei conteggi prodotti dalla lavoratrice, non specificamente contestati dal datore di lavoro con riguardo all’esattezza dei calcoli;

q) il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo va commisurato a tre mensilità della retribuzione di fatto, in considerazione della spettanza della tutela obbligatoria e della natura di associazione non avente scopo di lucro della datrice di lavoro;

r) la domanda relativa al mancato versamento dei contributi in questa sede è inammissibile sia perchè non quantificata, sia perchè gli enti previdenziali non hanno partecipato al processo.

2.- Il ricorso del CUS dell’Aquila domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, B. S..

Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi.

1.- Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) omessa valutazione delle risultanze istruttorie e violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, contraddittoria e illogica motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio.

Si sostiene che la Corte d’appello, del tutto erroneamente, ha ritenuto che il CUS non ha fornito alcuna prova sulla qualificazione del rapporto intercorso tra le parti, mentre il Centro aveva assolto ampiamente l’onere probatorio a suo carico attraverso un’articolata prova per testi.

Peraltro, la qualificazione del rapporto controverso effettuata dalla Corte d’appello – in termini di rapporto subordinato – non trova alcun riscontro nel materiale probatorio in atti, in quanto, in particolare, il Giudice d’appello ha fatto un cattivo uso delle prove documentali e ha omesso di valutare le prove testimoniali e soprattutto le deposizioni delle ex colleghe della ricorrente, decisive al fine di risolvere l’alternativa tra la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo ovvero subordinato.

2.- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e mancato esame di un documento.

Si ribadisce che la ratio decidendi della sentenza impugnata è il frutto di “mere, astratte e apodittiche congetture” che non trovano corrispondenza nelle risultanze processuali.

Ciò sarebbe dimostrato in modo eclatante dal mancato esame di una dichiarazione in data 16 luglio 2003, firmata dalla lavoratrice (e debitamente allegata e prodotta dal CUS) relativa alla maturazione, alla suddetta data, di redditi per “prestazioni sportive e dilettantistiche” presso il CUS di Potenza per Euro 3.673,52, con acclusa ricevuta, di pari data, della percezione dallo stesso CUS di Potenza della somma di Euro 370,00 per il mese di maggio 2003, a titolo di “indennità”.

Secondo il ricorrente, data la distanza esistente tra L’Aquila e Potenza, il suddetto documento smentirebbe, da solo, l’assunto della ricorrente dello svolgimento di un rapporto subordinato con orario predeterminato, svoltosi ininterrottamente dal 5 giugno 1995 al 14 ottobre 2003 alle dipendenze del CUS dell’Aquila.

Del resto, la stessa ricorrente non ha mai smentito di avere, nel primo semestre del 2003, percepito contemporaneamente i propri compensi sia dal CUS dell’Aquila sia dal CUS di Potenza.

Se la Corte aquilana avesse tenuto conto del suddetto documento avrebbe potuto accertare facilmente la reale natura del rapporto in oggetto e non avrebbe certamente potuto considerare l’assunto del CUS come sfornito della “benchè minima prova”, come invece ha fatto.

Comunque, si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto, almeno, giustificare la scelta di non tenere conto del documento di cui si è detto.

3.- Con il terzo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 416 cod. proc. civ..

Si rileva che la Corte d’appello ha condannato il CUS dell’Aquila al pagamento del saldo della retribuzione e del t.f.r. in favore della lavoratrice, nella misura dalla stessa indicata, considerando incontestati i conteggi prodotti, quanto all’esattezza dei calcoli.

Viceversa, il CUS dell’Aquila ha ritualmente contestato i conteggi stessi, assumendo che siano stati redatti in base ad una erronea rappresentazione della realtà, sia per il supposto orario di lavoro e le giornate lavorative, sia con riguardo al livello retributivo da riconoscere nell’ambito del c.c.n.l. commercio-terziario.

La Corte d’appello, invece, ha ignorato le suddette contestazioni.

2 – Esame dei motivi.

4.1.- I primi due motivi di ricorso – da trattare congiuntamente, data la loto intima connessione – non sono da accogliere.

Nonostante, il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del primo motivo tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Inoltre, la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 6 giugno 2011, n. 12204; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 24 luglio 2007, n. 16346; Cass. 17 febbraio 2009, n. 3785).

4.2.- Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente, seppur sinteticamente, motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

Nè assume alcun rilievo, in contrario, la presenza, nella motivazione, di alcune espressioni letterali poco felici, in quanto esse hanno un ruolo del tutto marginale e non influiscono sulla esposizione e lo sviluppo delle argomentazioni e sulla chiara intelligibilità della ratio decidendi che sorregge il decisum adottato (arg. ex Cass. SU 22 dicembre 2010, n. 25984 e Cass. 6 aprile 2006, n. 8106).

In particolare, dalla motivazione della sentenza emerge con chiarezza che la Corte d’appello – pur avendo considerato ipotizzabile la astratta configurabilità del rapporto come autonomo (secondo quanto prospettato dal CUS) – è tuttavia pervenuta alla conclusione di considerarlo subordinato sulla base delle risultanze processuali, la cui congrua valutazione ha consentito di ricostruire le concrete caratteristiche del rapporto (sia con riguardo alle sue modalità di svolgimento, sia con riferimento alle mansioni svolte dalla S.) e quindi di affermare la sussistenza di quello che è l’elemento principale del rapporto subordinato, rappresentato dall’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, di cui il Giudice d’appello ha ritenuto confermata emblematicamente la ricorrenza dalle modalità di risoluzione del rapporto (estromissione della lavoratrice dall’ufficio per mezzo della sostituzione delle serrature delle porte d’accesso, senza alcuna formale comunicazione della risoluzione stessa).

Nè va omesso di considerare che – diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente – la Corte d’appello ha dato conto della dichiarazione in data 16 luglio 2003 firmata dalla lavoratrice – che, essendo stata acclusa e riprodotta nel corpo del presente ricorso, è esaminabile da questa Corte – ma l’ha valutata, con motivazione del tutto plausibile, assolutamente irrilevante al fine di dimostrare la natura autonoma del rapporto.

Si tratta, del resto, di un documento il quale, non solo – come si legge nella sentenza – “risale ad epoca ampiamente successiva all’inizio del rapporto” (sorto, il 5 giugno 1995, come riferisce lo stesso ricorrente), ma risulta essere stato compilato per finalità del tutto peculiari (cioè fiscali) e, per quanto riguarda il rapporto di lavoro, caso mai corrobora la tesi della natura subordinata (secondo quanto afferma anche la Corte territoriale) e il penetrante controllo esercitato dal CUS dell’Aquila, tradottosi anche nella richiesta alla S. di spostarsi presso il CUS di Potenza.

4.3.- A quanto fin qui esposto va aggiunto che la valutazione delle risultanze probatorie operata dal Giudice di appello in ordine alla sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro subordinato, oltre ad essere congruamente motivata, risulta anche conforme ai consolidati indirizzi di questa Corte in materia, cui il Collegio intende dare continuità.

La Corte territoriale, infatti, ha individuato come indici sintomatici della sussistenza del rapporto subordinato elementi – quali l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, la strumentalità delle mansioni svolte rispetto alle funzioni del CUS – che sono costantemente considerati determinanti per la qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato dalla giurisprudenza di legittimità.

In tale contesto, peraltro, viene considerato come “indefettibile” l’elemento del vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro (che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato), mentre solo quando tale elemento non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (sia perchè si tratta di mansioni estremamente elementari ripetitive e predeterminate nelle loro modalità, sia perchè, all’opposto, si tratta di mansioni di livello particolarmente elevato perchè di natura intellettuale, professionale o creativa) e del relativo atteggiarsi del rapporto, si ritiene necessario fare riferimento a criteri complementari e sussidiari – come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell’osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell’assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale – che, benchè isolatamente considerati siano privi di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione stessa (ex plurimis: Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. SU, 3 giugno 1999, n. 379; Cass. 17 aprile 2009, n. 9254; Cass. 19 aprile 2010, n. 9252; Cass.29 marzo 2004, n. 6224).

La Corte aquilana, inoltre, ha attribuito carattere prevalente all’accertamento della sussistenza degli indicati elementi rispetto alla volontà contraria asseritamente – secondo il CUS, peraltro facendo principale riferimento al documento poco probante di cui si è detto – manifestata dalle parti, così conformandosi, anche da questo punto di vista, al costante orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, occorre far riferimento ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento della prestazione, piuttosto che alla volontà espressa dalle parti, eventualmente anche in una scrittura privata dalle stesse sottoscritta, ben potendo le qualificazioni riportate nell’atto scritto risultare non esatte, per mero errore delle parti o per volontà delle stesse, che intendano usufruire di una normativa specifica o eluderla, salvo restando che l’interpretazione di tale atto scritto, rientra nella valutazione degli elementi probatori, che è attività istituzionalmente riservata al giudice del merito, insindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (vei, per tutte: Cass. 27 luglio 2009, n. 17455; Cass. 15 giugno 2009, n. 13858; Cass. 9 marzo 2009, n. 5645; Cass. 9 marzo 2011, n. 5552; Cass. 9 giugno 2000, n. 7931).

Va, inoltre, considerato che, ai suddetti fini, la prestazione di attività lavorativa onerosa all’interno dei locali dell’azienda, con materiali ed attrezzatura proprie della stessa e con modalità tipologiche proprie di un lavoratore subordinato, in relazione alle caratteristiche delle mansioni svolte (quali quelle assegnate, nella specie, alla lavoratrice), comporta una presunzione di subordinazione, che è onere del datore di lavoro vincere (Cass. 6 settembre 2007, n. 18692).

A fronte di questa situazione, le doglianze mosse dal ricorrente – principalmente incentrate sulla svalutazione, da parte della Corte territoriale, del suindicato documento, sottoscritto dalla lavoratrice – si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice di merito in senso contrario alle aspettative del medesimo ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio (oltretutto basata su di un presupposto erroneo, visto che del documento in oggetto la Corte aquilana ha tenuto conto), del tutto inammissibile in sede di legittimità, come si è detto.

5.- Il terzo motivo non è fondato.

5.1.- In base a un consolidato orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, nel rito del lavoro, il convenuto ha l’onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall’attore, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., comma 1, e dell’art. 416 c.p.c., comma 3, e tale onere opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poichè la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all’attore di conseguire rapidamente pronuncia riguardo al bene della vita reclamato. Ne consegue che la mancata o generica contestazione in primo grado rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile (vedi, per tutte: Cass. 18 febbraio 2011, n. 4051;

Cass. 10 giugno 2003, n. 9285; Cass. 19 gennaio 2006, n. 945).

Nella specie, da quanto risulta dallo stesso ricorso, la contestazione effettuata dal CUS dei conteggi elaborati dall’attrice è stata del tutto generica con riferimento all’esattezza dei calcoli, essendosi il CUS limitato a contestare, sul punto, i conteggi stessi “diffusamente ed illimitatamente”, ma senza dedurre specifiche censure, formulate invece soltanto sugli aspetti afferenti il presupposto del credito azionato.

Ne consegue che la decisione adottata al riguardo dalla Corte d’appello è da considerare del tutto corretta, in quanto basata su di una interpretazione dell’art. 167 c.p.c., comma 1, e dell’art. 416 c.p.c., comma 3, conforme alla giurisprudenza di questa Corte.

3 – Conclusioni.

6- In sintesi il ricorso va respinto. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 29 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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