Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28975 del 04/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/12/2017, (ud. 11/07/2017, dep.04/12/2017),  n. 28975

Fatto

FATTO E MOTIVI

1. Il Tribunale di Roma, pronunciando ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 57, aveva respinto l’opposizione proposta dal Dott. M.G. nei confronti dell’ordinanza che aveva dichiarato la legittimità del licenziamento disciplinare irrogato dalla Croce Rossa Italiana in data 16.7.2012 e aveva accolto la domanda riconvenzionale volta alla condanna del M. al pagamento delle somme percepite a titolo dei corrispettivi percepiti in relazione agli incarichi extralavorativi.

2. Con la sentenza n. 6183 in data 22.7.2015 la Corte di Appello di Roma ha respinto il reclamo proposto dal M. e, per quanto ancora oggi rileva, ha affermato che: non si era consumata decadenza del potere disciplinare dovendo aversi riguardo, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2009, art. 55 bis, alla data di adozione del provvedimento disciplinare e non a quella della sua comunicazione; era emerso, comunque, che il provvedimento era stato spedito al domicilio del M. già in data 17.7.2012, seppur con erronea indicazione del numero civico; dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, non poteva desumersi alcun elemento a sostegno della tesi della incidenza del tempo sulla valutazione della rilevanza disciplinare dei fatti addebitati, dovendo escludersi, in assenza di specifica disposizione di legge, che detto potere debba essere esercitato entro il termine prescrizionale.

3. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto infondate le censure fomulate nei motivi terzo, quarto e quinto del reclamo (sussistenza dello svolgimento di incarichi soggetti ad autorizzazione, giudizio valoriale sulla proporzionalità della sanzione espulsiva) sulla scorta delle seguenti argomentazioni motivazionali: l’espletamento degli incarichi di “medico competente e coordinatore di primo soccorso svolto presso l’Università la Sapienza di Roma” e di “medico competente con funzione di coadiutore presso l’Istituto Superiore di Sanità”, postulava la autorizzazione della datrice di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, nel testo vigente prima delle modifiche introdotte con la L. n. 43 del 2005, trattandosi di attività non riconducibile a quella di formazione diretta ai dipendenti della P.A., avendo lo stesso M. dedotto che essi avevano ad oggetto le attività previste della L. n. 626 del 1994, artt. 16 e 17 (espletamento di accertamenti sanitari, formulazione dei giudizi di idoneità alle mansioni, collaborazione per l’attuazione delle misure di prvenzione); in ogni caso, in relazione a detti incarichi, ove pure sussunti entro la fattispecie della attività formativa diretta ai dipendenti della Pubblica Amministrazione, il D.Lgs n. 165 del 2001, art. 43, nel testo applicabile al tempo di inizio di espletamento degli incarichi stessi, richiedeva l’autorizzazione della datrice di lavoro, autorizzazione richiesta solo per l’incarico da espletarsi presso l’Università la Sapienza nell’anno accademico 2009-2010; pur espungendo le docenze comportanti formazione diretta ai pubblici dipendenti svolte successivamente al 2005, dalla valutazione da effettuarsi nell’indagine volta all’accertamento della legittimità del licenziamento, risultava provato che il M. aveva svolto, senza richiedere la autorizzazione, gli incarichi svolti per la Angelini Ricerche dal 2000, alla data della pronuncia della sentenza, per la SIAE, per l’Istituto Luce spa, per l’Istituto Ricerche Angeletti spa, per Opere Pubbliche spa, per Opere Idriche spa, per Pirelli Managment spa, per Scneider Electric nell’anno 2000 e per Eur spa nell’anno 2002 e l’incarico, ancora in corso di svolgimento alla data della domanda giudiziale, presso il CEIDA, necessitanti di autorizzazione, in relazione ai quali il M. si era limitato a dedurre lo scarso impegno in termini di ore omettendo di allegare la lettera di incarico e articolando una prova per testi generica.

4. La Corte territoriale ha ritenuto che la sanzione risolutiva era da ritenersi proporzionata ai fatti contestati, ai sensi della disposizione contenuta nell’art. 16 del CCNL del comparto, e che la condotta realizzata era di gravità tale da minare irreparabilmente il vincolo fiduciario, avuto riguardo alla sistematica reiterazione della violazione dell’obbligo di richiedere l’autorizzazione, imposto dalla legge a salvaguardia del principio di esclusività della prestazione di lavoro pubblico e di fedeltà del dipendente, al numero degli incarichi lavorativi retribuiti espletati senza la prescritta autorizzazione, alla loro ricorrenza nel tempo e alla loro consistenza, all’elemento soggettivo (la conoscenza degli obblighi e loro violazione escludeva la buona fede), al ruolo ricoperto dal M. all’interno della Croce Rossa (medico del pronto soccorso).

5. La Corte territoriale ha ritenuto che la sentenza oggetto di reclamo doveva essere confermata anche nel capo relativo all’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla Croce Rossa Italiana perchè conseguente all’accertato espletamento di incarichi retribuiti non autorizzati.

6. Avverso tale sentenza M.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso la Croce Rossa Italiana.

Sintesi dei motivi.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, per avere la Corte territoriale ritenuto che la decadenza dall’esercizio del potere disciplinare è impedita dalla tempestiva adozione del provvedimento disciplinare e non dalla sua effettiva comunicazione. Asserisce che l'”irrogazione della sanzione” non si esaurisce con l’adozione del provvedimento disciplinare ma richiede, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, che la volontà dell’Amministrazione sia manifestata al lavoratore e sostiene che l’esigenza di quest’ultimo di avere conoscenza in tempi ragionevolmente certi sarebbe frustrata ove si ritenesse sufficiente la mera adozione del provvedimento e non anche la sua comunicazione, nella specie effettuata ad un indirizzo diverso da quello di esso ricorrente.

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dei principi che regolano la funzione economico sociale del potere disciplinare in punto di rilevanza di condotte risalenti nel tempo. Il ricorrente asserisce che, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, il decorso del tempo non è irrilevante perchè farebbe venir meno la funzione economico sociale del potere disciplinare del datore di lavoro.

9. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per avere la Corte territoriale, in violazione dell’art. 115 c.p.c., ritenuto necessari di prova fatti che erano risultati pacifici. Sostiene che le circostanze di fatto dedotte nel ricorso introduttivo del giudizio relative alla durata ed alla consistenza dell’impegno degli incarichi svolti erano pacifiche sicchè la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere conto di siffatte circostanze e non ritenerle sfornite di prova.

10. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’artt. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5,artt. 2730 e 2734 c.c.. Sostiene che la prova in ordine all’esistenza, alla consistenza e alle caratteristiche dei singoli incarichi avrebbe dovuto essere offerta dalla datrice di lavoro e lamenta che la Corte territoriale avrebbe attribuito natura confessoria al curriculum inviato da esso ricorrente alla datrice di lavoro.

11. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo e sostiene che dalle informazioni fornite dalla Università La Sapienza alla Croce Rossa, allegate alle memoria difensiva avverso la domanda riconvenzinonale, emergerebbe che si era trattato di attività di docenza e deduce che la stessa Croce Rossa aveva prodotto i contratti stipulati tra l’Università ed esso ricorrente.

12. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale dichiarato l’illegittimità (seppure in parte) degli incarichi diretti alla formazione dei pubblici dipendenti presso l’Università La Sapienza, l’Istituto Superiore di Sanità ed altri enti pubblici, in mancanza di reclamo incidentale da parte della Croce Rossa avverso la statuzione del Tribunale contenuta nella sentenza n. 9175/2014 che li aveva dichiarati legittimi.

13. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per avere la Corte territoriale respinto senza alcuna motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, il motivo di reclamo relativo alla domanda riconvenzionale propsta dalla Croce Rossa. Il ricorrente assume che la motivazione non renderebbe comprensibili le ragioni di rigetto del motivo di reclamo con il quale era stata dedotta la genericità dell’affermazione contenuta nella sentenza oggetto di reclamo.

14. In via preliminare va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente in quanto il ricorso, seppur di non agevole lettura (vi risultano indicate ora premesse sulla vicenda, ora stralci degli scritti difensivi, ora documenti a supporto delle doglianze (la formattazione grafica, che interpone tra le diverse prospettazioni difensive note a piè di pagine, che si sviluppano talvolta anche nella intera pagina successiva a quella del richiamo, nuoce alla chiarezza e alla linearità espositiva e rende laboriosa l’immediata percezione delle premesse, dei fatti, delle critiche), soddisfa, nondimeno, l’esigenza di specificità e di completezza imposta dall’art. 366 c.p.c., n. 4, perchè i diversi motivi in cui è articolato colgono la “ratio decidendi” della sentenza impugnata e la censurano con argomenti astrattamente idonei a confutare il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale. Esame dei motivi

15. Il primo motivo è infondato.

16. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 4, dispone che l’U.P.D. “contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l’eventuale sospensione ai sensi dell’art. 55 ter e prevede, nella sua ultima parte, che “la violazione dei termini di cui al presente comma comporta per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare ovvero, per il dipendente, dall’esercizio del diritto di difesa”.

17. La Corte territoriale nell’affermare che era stato rispettato il termine previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, per la conclusione del procedimento disciplinare, sul rilievo che il provvedimento conclusivo (adozione della sanzione risolutiva del rapporto) era stato adottato il 16.7.2012, e che era irrilevante la circostanza che la lettera raccomandata fosse stata ricevuta dal lavoratore il successivo 21.8.2012, ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte, ed al quale il Collegio ritiene di dare continuità, secondo cui la comunicazione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare si pone fuori del termine previsto per la conclusione del procedimento disciplinare.

18. Va al riguardo osservato che questa Corte ha ripetutamente affermato che la comunicazione all’interessato dell’atto sanzionatorio, per sua natura recettizio, riguarda esclusivamente la fase, successiva, di perfezionamento e di efficacia nei confronti del destinatario della sanzione medesima, e non assume rilievo ai fini del rispetto dell’anzidetto termine di decadenza (Cass. 5637/2009). Il principio, ribadito in recenti pronunce (Cass. 9390/2017, 5317/2017, 19183/2016, 16900/2016), costituisce applicazione della regola più generale secondo la quale in base ai principi generali in tema di decadenza, l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione, demandato ad un servizio, idoneo a garantire un adeguato affidamento, sottratto alla sua ingerenza, sicchè se l’atto ha carattere recettizio, la sua conoscenza (o conoscibilità) da parte del destinatario rileva, esclusivamente, ai fini della produzione degli effetti tipici dell’atto, a meno che essa non sia prevista, nella fonte che contempla la decadenza (legale, o negoziale, o provvedimentale), come elemento costitutivo della fattispecie impeditiva” (Cass. SSUU 12457/2011, 8830/2010.

19. I principi sopra enucleati trovano applicazione anche nei casi, quali quello in esame, in cui viene rilievo la questione della tempestività della conclusione del procedimento disciplinare, e, dunque, della decadenza della pubblica amministrazione, datrice di lavoro, dall’azione disciplinare, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, in quanto nessuna delle disposizioni contenute in detta disposizione prevede che la decadenza dall’esercizio dell’azione disciplinare sia impedita non già dall’adozione del provvedimento sanzionatorio bensì dal fatto che essa sia portata a conoscenza dell’interessato entro il termine di decadenza.

20. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto il ricorrente riconosce l’inesistenza di norme affermative della prescrittibilità del potere disciplinare, concordando per tal via con le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, e si limita a prospettare come auspicabile un intervento correttivo giudiziale che, con applicazione del termine prescrizionale quinquennale, restituisca al potere disciplinare del datore di lavoro una funzione economico sociale. E’ evidente che il motivo si pone fuori dal perimetro del mezzo impugnatorio ricostruito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e, ad un tempo, non tiene conto dei principi ripetutamente affermati da questa Corte in materia di tempestività dell’azione disciplinare e di diritto di difesa del lavoratore nell’ambito del procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (ex multis Cass. 16900/2016, 12213/2016).

21. L’esame del sesto motivo di ricorso, con il quale è dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. e del giudicato costituito dalla statuizione contenuta nella sentenza n. 9175/74 del Tribunale, che non sarebbe stata gravata di appello, ha carattere logicamente pregiudiziale rispetto all’esame dei motivi dal terzo al quinto, con i quali sono censurate le statuizioni relative alla qualificazione degli incarichi di docenza. Esso è infondato.

22. Va rilevato che effettivamente l’affermazione contenuta nella sentenza n. 9175, secondo cui gli incarichi di formazione e di docenza svolti in favore di pubblici dipendenti non necessitavano di autorizzazione ai sensi dell’art. 53, comma 6, lett. f bis), non risulta oggetto di censura da parte della Croce Rossa, per quanto si desume anche dallo storico della lite riportato nella sentenza oggi impugnata.

23. Ma la Corte territoriale, diversamente da quanto prospetta il ricorrente, ha solo preso in esame gli incarichi di docenza ai pubblici dipendenti svolti prima della introduzione, ad opera della L. n. 43 del 2005, della lett. f bis) all’art. 53, comma 6 ed ha, correttamente ritenuto che questi necessitavano, per potere essere espletati, dell’autorizzazione ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6, lett. f), applicabile “ratione temporis” ed ha accertato che l’autorizzazione non era stata richiesta.

24. La Corte territoriale, ai fini della formulazione del giudizio valoriale in ordine alla proprorzionalità della sanzione espulsiva ed alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento, ha espunto, comunque, le docenze, espletate successivamente all’entrata in vigore della L. n. 43 del 2005, comportanti formazione diretta ai pubblici dipendenti ed ha valutato gli incarichi espletati per la Angelini Ricerche dal 2000, in corso alla data della pronuncia della sentenza, per la SIAE, per l’Istituto Luce spa, per l’Istituto Ricerche Angelettispa, per Opere Pubbliche spa, per Opere Idriche spa, per Pirelli Managment spa, per Scneider Electric nell’anno 2000 e per Eur spa nell’anno 2002, per il CEIDA, per l’espletamento dei quali non era stata richiesta, nè tampoco era intervenuta, la prescritta autorizzazione. Non emerge, quindi, alcuna pronunzia officiosa in violazione dei limiti del giudicato interno.

25. Il terzo motivo è infondato perchè la Corte territoriale ha rilevato che: gli incarichi non comportanti docenze ai pubblici dipendenti (per la Angelini Ricerche dal 2000, alla data della pronuncia della sentenza, per la SIAE, per l’Istituto Luce spa, per l’Istituto Ricerche Angeletti spa, per Opere Pubbliche spa, per Opere Idriche spa, per Pirelli Managment spa, per Scneider Electric nell’anno 2000 e per Eur spa nell’anno 2002, per il CEIDA) risultavano ammessi dal M., il quale nel ricorso introduttivo del giudizio si era limitato a dedurre (e tanto trova conferma in quanto esposto nel ricorso per cassazione, pg. 7 punti 5 e 6) lo scarso impegno in termini di ore richiesto per l’espletamento di tali attività; il ricorrente aveva omesso di allegare la lettera di incarico e nel curriculum indirizzato alla datrice di lavoro aveva riferito che gli incarichi erano ancora in corso; la prova articolata nel ricorso in ordine alla consistenza dell’impegno da essi richiesto era generica e comunque nemmeno supportata dalle singole lettere di incarico. Va rilevato che non risulta che nel ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente avesse indicato per ciascun incarico la durata e il numero di ore ad essi dedicate, essendosi limitato ad affermare che essi erano stati svolti nel tempo libero e nel rispetto dei tempi di riposo e non avevano pregiudicato l’attività lavorativa svolta alle dipendenze della Croce Rossa (pg. 6, 7, 8 del ricorso per cassazione). Il motivo è inammissibile nella parte in cui, al di là del titolo della rubrica, sollecita un nuovo esame del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. SSU 24148/2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).

Il quarto motivo è infondato.

26. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, nel disporre che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza, prevede che, in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

27. Deve ritenersi che nei casi in cui è contestata in sede disciplinare la violazione del divieto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, la Pubblica Amministrazione datrice di lavoro, sulla quale, a norma della L. n. 604 del 1966, art. 5, grava l’onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, può limitarsi a provare, nel caso in cui la giusta causa sia costituita dalla violazione del divieto di espletare incarichi privi dell’autorizzazione, l’avvenuto espletamento di incarichi non autorizzati nella loro oggettività. Grava, invece sul pubblico dipendente, che, ai fini del giudizio di proporzionalità deduca la scarsa rilevanza dell’inadempimento, l’onere di allegare e dimostrare, secondo la regola generale in tema di onere probatorio, la durata, la consistenza in termini quantitativi e qualitiativi dell’impegno richiesto dall’espletamento degli incarichi non autorizzati.

28. Il quinto motivo è inammissibile perchè, al di là del titolo delle rubrica, le doglianze formulate dal ricorrente sollecitano una nuova, inammissibile, lettura del materiale istruttorio (Cass. SSU 24148/ 2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208 /2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007; 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005), che pone la denuncia fuori dal perimetro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile “ratione temporis” (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 22.7.2015).

29. Il ricorrente, infatti, dolendosi dell’omesso esame della lettera del 6.11.2013, contenente la risposta dell’Università la Sapienza alla richiesta di informazioni richieste dalla datrice di lavoro, in realtà sollecita il riesame del materiale istruttorio in ordine al contenuto ed alle caratteristiche dell’incarico di “medico competente” presso l’Università “La Sapienza”. Egli, infatti, mette in discussione I’ accertamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata, che la Corte territoriale ha tratto dalle stesse deduzioni del M., evidenziando che questi aveva riferito che l’attività svolta era relativa alle attribuzioni previste dalla L. n. 626 del 1994, artt. 16 e 17 e rilevando che ciascuna delle attività indicate in dette disposizioni puntualmente valutate) non erano sussumbili entro l’attività formativa. La Corte territoriale, ha, inoltre, precisato che siffatti incarichi, ove pure riferiti all’attività di formazione in favore di pubblici dipendenti, postulavano, prima della riforma introdotta dalla L. n. 43 del 2005, l’autorizzazione della datrice di lavoro, autorizzazione richiesta dal ricorrente solo per l’incarico relativo all’anno accaddemico 2009/2010.

30. Va anche rilevato che alla lettera dell’Università la Sapienza di Roma in data 6.11.2013, non può attribuirsi il valore decisivo, nel senso che la lettera se esaminata avrebbe determinato un esito diverso della controversia, preteso dal ricorrente in quanto, come evidenziato nel precedente punto 3, la Corte nella formulazione di giudizio valoriale sulla proporzionalità della sanzione risolutiva e sulla gravità della condotta, ha “espunto” le docenze comportanti formazione diretta ai pubblici dipendenti ed ha considerato gli incarichi espletati per la Angelini Ricerche dal 2000 alla data della pronuncia della sentenza, per la SIAE, per l’Istituto Luce spa, per l’Istituto Ricerche Angeletti spa, per le Opere Pubbliche spa, per le Opere Idriche spa, per la Pirelli Managment spa, per la Scneider Electric nell’anno 2000 e per la Eur spa nell’anno 2002 e l’incarico, ancora in corso di svolgimento alla data della domanda giudiziale, presso il CEIDA.

31. Il settimo motivo, che addebita alla Corte territoriale di non avere spiegato le ragioni per le quali era stato disatteso il motivo del reclamo con il quale era stata dedotta la nullità della sentenza per genericità, è infondato. La Corte territoriale ha, infatti, implicitamente esaminato il motivo di reclamo, in quanto ha confermato la statuizione relativa all’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla Croce Rossa, spiegando che essa trovava fondamento sull’avvenuto espletamento da parte del ricorrente degli incarichi retribuiti, rispetto ai quali la Corte territoriale ha accertato l’assenza della autorizzazione, pur essendo questa necessaria.

32. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente.

33. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2017

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