Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28974 del 27/12/2011
Cassazione civile sez. lav., 27/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28974
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Presidente –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 10976-2008 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO
ALESSANDRO, GIANNICO GIUSEPPINA, VALENTE NICOLA, giusta delega in
atti;
– ricorrente –
contro
L.A., nella qualità di erede di M.E.,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONCA D’ORO 287, presso lo
studio dell’avvocato GIGLI GIOVANNI, rappresentata e difesa
dall’avvocato LACERRA SALVATORE, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 236/2007 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,
depositata il 18/04/2007 r.g.n. 615/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
22/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;
udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI per delega ALESSANDRO RICCIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ROMANO Giulio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 12/18.4.2007 la Corte di appello di Potenza confermava la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da L.A., nella qualità di erede di M. E., per la condanna dell’INPS al pagamento degli arretrati di pensione spettanti alla de cuius in virtù delle sentenze della Corte Costituzionale n. 495 del 1993 e 240 del 2004; arretrati richiesti con domanda del 27.7.1994 e la cui liquidazione era stata comunicata con nota del 3.4.2001.
Osservava in sintesi la corte territoriale, con riferimento all’eccezione di decadenza del D.P.R. n. 639 del 1970, ex art. 47, che, allorchè, come nel caso, non veniva in contestazione il diritto alla prestazione, ma solo il quantum, trovava applicazione unicamente l’ordinario termine di prescrizione.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’INPS con due motivi. E’ stato depositato controricorso, privo, tuttavia, della prescritta notificazione alla controparte.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 aprile 1979, n. 639, art. 47 come mod. dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 conv. nella L. n. 438 del 1992 e del D.L. n. 103 del 1991, art. 6 conv. nella L. n. 166 del 199, osservando che la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto non applicabile la disposizione del citato art. 47 in quanto oggetto della contestazione non è il diritto, ma il quantum, senza considerare che la prestazione richiesta costituiva, nel caso, un diritto autonomo e, come tale, soggetto alle norme dettate in materia di decadenza. Il ricorso è meritevole di accoglimento.
Ed, al riguardo, va richiamato il principio di diritto affermato dalle SU con la sentenza n. 1691 del 1997, secondo il quale la verifica del rispetto del termine di decadenza sostanziale previsto dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 deve essere compiuta con riferimento alla data di presentazione della domanda amministrativa di integrazione al minimo della pensione, non potendo essere considerato equivalente, agli effetti della disposizione sopra indicata, il provvedimento di liquidazione della pensione non integrata, che non investe di per sè l’autonomo diritto all’integrazione al minimo, ma solo la spettanza del trattamento pensionistico (v. fra le altre successivamente Cass. n. 9209/2003;
Cass. n. 3189/2000; Cass. n. 4784/2000). Quanto, poi, alla rilevanza della comunicazione di liquidazione richiamata in ricorso, deve rammentarsi come le SU, con la sentenza n. 12718 del 2009, abbiano precisato che lo stretto collegamento che, nel regime legale, si realizza fra i termini del contenzioso amministrativo e quelli previsti a pena di decadenza sostanziale impone all’interprete di ritenere “indifferenti” tanto le condotte dell’assicurato che dell’istituto previdenziale che si pongano in contrasto con la rigorosa ed esaustiva predeterminazione dei tempi del passaggio dalla procedura amministrativa all’ordinario processo previdenziale, con conseguente alterazione delle finalità acceleratorie, ed, al tempo stesso, di definitività e certezza delle relative situazioni giuridiche che ne costituiscono giustificazione. E che la medesima esigenza di un adeguato bilanciamento fra finalità pubbliche e tutela dell’assicurato attraverso la rigida e predeterminata articolazione dei termini processuali copre il complesso dei comportamenti che l’ente previdenziale può tenere rispetto alla domanda dell’interessato, si concreti il dovere di provvedere dell’amministrazione in un provvedimento espresso o tacito, tempestivo o tardivo, completo o sprovvisto delle indicazioni (salvo quelle essenziali per la sua validità) per lo stesso previste dalla legge.
Il che si concreta nella regola di diritto che il D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, laddove individua nella “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del processo amministrativo” la soglia (di trecento giorni, risultante dal combinato della L. n. 533 del 1973, art. 7 e della L. n. 88 del 1989, art. 46, commi 5 e 6) oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo non consente lo spostamento in avanti del dies a quo del termine decadenziale, configurandosi come norma di chiusura del sistema, deve trovare applicazione , oltre che nel caso di mancanza di un provvedimento esplicito sulla domanda dell’assicurato, anche in quella di omissione delle indicazioni prescritte dal comma quinto dello stesso articolo e che la relativa disciplina resta insensibile anche agli atti interlocutori dell’Istituto o a provvedimenti dello stesso capaci di assumere carattere decettivo, che, eventualmente, possono incidere sul piano della correttezza della condotta dell’amministrazione pubblica, ma non anche sulla disciplina inderogabile dell’azione giudiziale.
Il ricorso, assorbita ogni altra censura, va, pertanto, accolto con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda proposta dal L. nei confronti dell’INPS. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero processo, avuto riguardo alla complessità del quadro giurisprudenziale, poi culminato nella pronuncia delle SU.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da L. A. nei confronti dell’INPS; compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011