Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28972 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 08/11/2019), n.28972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16848-2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. MARCORA n.

18-20, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FAGGIANI, rappresentato

e difeso dall’avvocato ROBERTO DALLA BONA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, e COMMISSIONE TERRITORIALE PROTEZIONE

INTERNAZIONALE MILANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4601/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 3.11.2014, notificato in data 11.11.2014, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano respingeva l’istanza dell’odierno ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria o in subordine quella umanitaria.

Con ordinanza del 23.11.2015, comunicata il 30.11.2015, il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione proposta da C.A. contro il provvedimento reiettivo della Commissione territoriale.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 4601/2016, la Corte di Appello di Milano dichiarava inammissibile l’impugnazione proposta da C.A. avverso la decisione di prime cure, in quanto il gravame -proposto con ricorso anzichè, sulla base del c.d. diritto vivente del momento, con citazione- non era stato tempestivamente notificato nel termine assegnato dal giudice di appello con il provvedimento di fissazione dell’udienza.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.A. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 101,189 e 190 c.p.c., e la nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 perchè la Corte di Appello avrebbe dovuto accogliere l’istanza di remissione in termini per la notificazione dell’atte di impugnazione che il ricorrente aveva proposto all’udienza di discussione fissata con apposito provvedimento della Corte ambrosiana. In alternativa, qualora la Corte di merito avesse ritenuto di decidere il gravame sulla questione di rito, avrebbe dovuto assegnare alle parti, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., un termine per memorie.

La censura non è fondata.

Va premesso che i precedenti di questa Corte che vengono richiamati nella motivazione della decisione impugnata (Cass. Sez.U, Sentenza n. 2907 de 10/02/2014, Rv.629583; Cass. Sez.6-1, Sentenza n. 26326 del 15/12/2014, Rv. 634474; Cass. Sez.6-1 Ordinanza n. 18022 del 11/09/2015, Rv. 636711; Cass. Sez.6-1 Ordinanza n. 13815 del 06/07/2016, Rv. 640303; Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 14502 del 26/06/2014, Rv. 631621) sono stati superati dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 28575 del 2018, la quale ha affermato il principio secondo cui “nel vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, così come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 27 comma 1, lett. f) l’appello ex art. 702 quater c.p.c. proposto avverso la decisione di primo grado sulla domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale deve essere introdotto con ricorso e non con citazione, in aderenza alla volontà del legislatore desumibile dal nuovo tenore letterale della norma. Tale innovativa esegesi, in quanto imprevedibile e repentina rispetto al consolidato orientamento pregresso, costituisce un overrulling processuale che, nella specie, assume carattere peculiare in relazione al momento temporale della sua operatività, il quale potrà essere anche anteriore a quello della pubblicazione della prima pronuncia di legittimità che praticò la opposta esegesi (Cass., n. 17420 del 2017), e ciò in dipendenza dell’affidamento sulla perpetuazione della regola antecedente, sempre desumibile dalla giurisprudenza della Corte, per cui l’appello secondo il regime dell’art. 702 quater c.p.c. risultava proponibile con citazione” (Cass. Sez. U, Sentenze n. 28575 del 08/11/2018, Rv. 651358; conf. Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 29506 del 16/11/2018, Rv. 651503).

Ne deriva che la motivazione della Corte milanese va corretta, nella parte relativa alla valutazione della tempestività del gravame, dovendosi fare riferimento non già – come aveva ritenuto il giudice di merito nella decisione qui impugnata – alla data della notificazione del ricorso alla parte appellata, ma al solo deposito dell’atto di appello, che nel caso di specie era stato introdotto con ricorso, presso la cancelleria del giudice dell’impugnazione.

Tuttavia ciò non comporta l’accoglimento del motivo in esame, posto che la sentenza della Corte ambrosiana da atto che l’udienza di discussione del gravame era stata fissata con apposito decreto presidenziale e che il ricorrente, comparso a detta udienza, aveva dichiarato di non aver provveduto alla notificazione dell’atto di appello invocando la concessione di un nuovo termine per l’incombente (cfr. pag. 2 della decisione).

Da tanto si ricava che ne momento in cui i C. ha formulato l’istanza di remissione, i termine fissato ne decreto presidenziale -necessariamente anteriore alla data dell’udienza di discussione dell’appello – era già decorso. Sul punto, si deve ribadire il principio secondo cui i termini stabiliti dal giudice per il compimento di un atto processuale hanno in linea generale, ai sensi dell’art. 152 c.p.c., natura ordinatoria, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori o la loro perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta. Ad essi, quindi, non si applica il divieto di abbreviazione e di proroga sancito dall’art. 153 c.p.c. per i termini di natura perentoria. Tuttavia la proroga, anche d’ufficio, dei termini ordinatori è consentita dall’art. 154 c.p.c. soltanto prima della scadenza, sicchè il loro decorso senza la presentazione di un’istanza di proroga o di remissione, determinando gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori, impedisce la concessione di un nuovo termine, salva la dimostrazione che la decadenza si sia verificata per causa non Imputabile alla parte (cfr. Cass., Sez.2, Sentenza n. 1064 de 19/01/2005,, Rv.579172; Cass. Sez.L, Sentenza n. 23227 de 17/11/2010, Rv.615566; Cass. Sez. 1, 14/12/2014, Rv.633721).

Nel caso di specie, al termine indicato nel decreto presidenziale per la notificazione dell’atto di appello e del relativo provvedimento di fissazione dell’udienza di discussione non si estende ope legis la natura perentoria prevista per il rito del lavoro (per tutte, cfr. Cass. Sez. L Ordinanza n. 14839 del 07/06/2018, Rv. 648999) posto che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, applicabile ratione temporis, non è compreso nel secondo capo de decreto stesso (intitolato “Delle controversie regolate dal rito de lavoro”) ma nel terzo (intitolato “Delle controversie regolate dal rito sommario di cognizione”).

Ne consegue che, almeno in linea teorica, potrebbe ipotizzarsi un’estensione al caso di specie del principio della scissione tra edictio actionis e vocatio in ius già sancito da questa Corte per la diversa ipotesi di riassunzione del giudizio interrotto (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 14854 del 28/06/2006, Rv. 589898; principio in seguito ribadito da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5348 de 08/03/2007,. Rv. 595765; Cass. Sez. 1, Sentenza n,6023 de 15/03/2007, Rv. 595763; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16016 del 07/07/2010, Rv. 613832; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13683 del 31/07/2012, Rv. 623590; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 21869 del 24/09/2013, Rv.627694; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7661 de 15/04/2015, Rv. 635238; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2174 del 04/02/2016, Rv. 638947; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9819 del 20/04/2018, Rv. 648428; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6921 del 11/03/2019, Rv. 653223). Anche in quella eventualità, invero, così come nell’ipotesi dell’appello da introdurre con ricorso, si configura un termine nella cui pendenza il giudizio è quiescente e all’interno del quale la parte che vi ha interesse deve compiere una specifica attività finalizzata ad assicurare la prosecuzione del giudizio stesso (rispettivamente, deposito del ricorso per la riassunzione o del ricorso in appello).

L’accostamento tra il regime processuale dell’atto di appello e dell’atto di riassunzione, tuttavia, non esonera il ricorrente -appellante dall’onere di provvedere alla notifica dell’atto introduttivo del gravame e del relativo provvedimento di fissazione nel termine fissato da quest’ultimo: solo laddove l’adempimento sia stato quantomeno tentato, infatti, si potrebbe affermare – in linea con la già richiamata sentenza delle S.U. di questa Corte n. 14854 del 2006, che il vizio da cui sia colpita la notificazione dell’atto di riassunzione o di appello e del relativo decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione, oramai perfezionatasi, o all’introduzione del gravame, ormai verificatasi nel termine perentorio fissato dalla legge, ma impone al giudice, che rilevi la nullità della predetta notificazione, di ordinarne la rinnovazione, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c., entro un termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerebbe l’eventuale estinzione del giudizio o l’improcedibilità del gravame.

Nel caso di specie, dal momento che la notificazione dell’atto di appello e del provvedimento di fissazione dell’udienza di discussione non è stata neppure tentata dall’odierno ricorrente, non si configura un caso di nullità della notificazione, bensì un’ipotesi di inesistenza assoluta, alla quale non può che conseguire la sanzione dell’improcedibilità del gravame.

Infine, non si ravvisa alcun profilo di violazione dell’art. 101 c.p.c., posto che la sentenza qui impugnata dà anche atto che la Corte di Appello, prima di decidere, “ha invitato la difesa di parte ricorrente a prendere posizione in merito alla correttezza del rito adottato” (cfr. ancora pag.2 del provvedimento impugnato). Nella fattispecie viene in rilievo un vizio di natura squisitamente processuale, e quindi in ultima analisi una questione di puro diritto, in relazione alla quale non si configurerà alcuna nullità della sentenza anche qualora il giudice decida la causa senza averla preventivamente segnalata alle parti; solo ove si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente potrebbe dolersi della decisione, perchè la violazione del dovere di preventiva indicazione lederebbe le sue facoltà difensive (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 20935 del 30/09/2009, Rv. 610517). Va pertanto ribadito che solo in presenza di una questione nuova, rilevata d’ufficio per la prima volta in sede di decisione, che comporti nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, modificando il quadro fattuale della controversia, la mancata segnalazione da parte del giudice comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti, così private dell’esercizio del contraddittorio e delle connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione decisiva ai fini della deliberazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10062 del 27/04/2010, Rv.612587). Viceversa, “… le questioni di esclusiva rilevanza processuale, siccome inidonee a modificare il quadro fattuale ed a determinare nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, non rientrano tra quelle che, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2, (nel testo introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 13), se rilevate d’ufficio, vanno sottoposte alle parti, le quali, per altro verso, devono avere autonoma consapevolezza degli incombenti cui la norma di rito subordina l’esercizio delle domande giudiziali” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 19372 del 29/09/2015, Rv. 636520).

Nella fattispecie, la Corte territoriale pur non essendovi tenuta ha comunque invitato la parte ricorrente, presente in udienza, ad argomentare sulla questione della correttezza del rito, in tal modo assicurando, anche oltre la norma di cui all’art. 101 c.p.c., la piena esplicazione del contraddittorio in necessaria contemperazione con le concorrenti esigenze del c.d. giusto processo.

Da tutto quanto precede deriva il rigetto del primo motivo di ricorso, previa la correzione della motivazione della sentenza impugnata nei termini appena esposti.

Con la seconda censura, invece, il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, art. 12 disp. gen., artt. 325,326 e 327 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente applicato alla fattispecie il termine breve di cui all’art. 702-quater c.p.c. facendolo decorrere dalla comunicazione, a cura della cancelleria, del provvedimento conclusivo del giudizio di primo grado. Ad avviso del ricorrente la comunicazione prevista dall’art. 19, comma 9-bis non equivale a quella di cui all’art. 702 quater c.p.c. e dunque il termine “breve” di 30 giorni potrebbe applicarsi, ai sensi dell’art. 325 c.p.c., soltanto dalla data della notificazione del provvedimento a cura della parte interessata, dovendosi in caso contrario far ricorso al termine “lungo” di sei mesi previsto dall’art. 327 c.p.c.

Anche questa doglianza non è fondata.

Risulta invero dalla sentenza impugnata che la decisione di prima istanza è stata comunicata con avviso telematico a cura della cancelleria in data 30.11.2015 (cfr. pag. 1, nella parte conclusiva). Da tale momento decorre il termine di 30 giorni previsto a pena di decadenza dall’art. 702-quater c.p.c., da ritenere certamente applicabile al giudizio in esame in virtù del fatto che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 è compreso, come già affermato in occasione dello scrutinio del primo motivo di censura, nel capo intitolato “Delle controversie regolate dal rito sommario di cognizione”.

Sul punto, va ribadito il principio secondo cui “E1 manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – per asserita violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost. – dell’art. 702-quater c.p.c., nella parte in cui stabilisce che l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione è appellabile entro il termine breve di trenta giorni dalla sua comunicazione ad opera della cancelleria, trattandosi di una scelta discrezionale del legislatore, ragionevolmente in linea con la natura celere del procedimento, nè lesiva del diritto di difesa, in quanto il detto termine decorre dalla piena conoscenza dell’ordinanza, che si ha con la comunicazione predetta ovvero con la notificazione ad istanza di parte” (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 11331 del 09/05/2017, Rv. 644180).

La comunicazione del provvedimento a cura della cancelleria a mezzo posta elettronica certificata è pertanto ritenuta, per precisa scelta legislativa, equipollente alla notificazione e idonea ad assicurare la piena conoscenza della decisione da parte del soggetto che avrebbe interesse ad impugnarla.

Nè è possibile ipotizzare, nel caso in cui il provvedimento sia stato comunicato a mezzo posta elettronica certificata dalla cancelleria, lo spazio per un recupero del più ampio termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1 “… poichè la decorrenza del termine per proporre tale mezzo di impugnazione dal deposito dell’ordinanza è logicamente e sistematicamente esclusa dalla previsione, contenuta nell’art. 702 quater c.p.c., della decorrenza dello stesso termine, per finalità acceleratorie, dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza medesima” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14478 del 06/06/2018, Rv. 648976).

Da tanto deriva il rigetto anche del secondo motivo.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva in questo giudizio da parte del Ministero intimato.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi Testo Unico di cui al D.P.R, n. 115 del 2002, dell’art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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