Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28969 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 17/12/2020), n.28969

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18590-2019 proposto da:

M.T., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE BRIGANTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 6110/2018 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.T., nativo del Bangladesh, ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, contro il decreto del Tribunale di Ancona del 2 maggio 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costitnione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale: i) opinò che il racconto del M., anche laddove credibile, sarebbe rimasto confinato nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune; negò la protezione sussidiaria, non venendo in rilievo circostanze fattuali riconducibili alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) nè essendo la zona di provenienza del ricorrente interessata da un conflitto armato, come poteva desumersi dalle fonti consultate e specificamente indicate; zii) rifiutò la protezione umanitaria non ravvisando, nella condizione, del M., una situazione di elevata vulnerabilità pure se rapportata all’eventuale rimpatrio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) la nullità del decreto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, art. 11, lett. a), e art. 13, nonchè degli artt. 737 e 135 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, e dell’art. 111 Cost., comma 6, in considerazione delle lacune motivazionali riscontrabili per il rigetto sia della domanda di concessione dello status di rifugiato, sia della richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria (basata sulla non credibilità della narrazione del ricorrente affermata anche per la ritenuta contraddittorietà e insufficienza degli elementi probatori, di cui non si è data giustificazione), sia della domanda di protezione umanitaria, respinta senza l’effettiva valutazione comparativa richiesta da Cass. n. 4455 del 2018. Si precisa che la motivazione del decreto sarebbe solo apparente perchè la non credibilità del racconto del richiedente sarebbe stata affermata in modo apodittico e comunque senza che il tribunale abbia valutato se le Autorità del Paese di provenienza del ricorrente non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi con riferimento ad atti persecutori o a danno grave del tipo di quelli riferiti dall’interessato;

II) l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione, avendo il tribunale trascurato di considerare l’effettiva capacità delle locali istituzioni di offrire idonea protezione ad una persona vittima di vendette da parte di malviventi, il lungo percorso migratorio del richiedente e le fonti internazionali da quest’ultimo allegate;

III) la violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di numerose disposizioni normative, affermandosi che la valutazione di non credibilità è stata compiuta dal tribunale sulla base di una interpretazione delle dichiarazioni non corrispondente a quelle rese, senza esercitare il potere-dovere di cooperazione istruttoria per eventuali riscontri;

IV) la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, art. 47 della Carta dei diritti UE e 46 della Direttiva Europea n. 2013/32, richiamandosi le argomentazioni dei precedenti motivi ed aggiungendosi che il principio di effettività del ricorso non può dirsi rispettato in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice.

2. Il primo motivo è fondato (con conseguente assorbimento di tutti gli altri), quanto al profilo di censura relativo alla mera apparenza della motivazione del decreto impugnato, risolvendosi la stessa in una formula astratta e stereotipata, valevole per un numero indefinito di casi, che non consente di verificare la correttezza del ragionamento logico-giuridico posto a base della decisione (fr. Cass. n. 877 del 2020, resa in situazione assolutamente analoga).

2.1. Tale provvedimento, invero, risulta del tutto privo della sintesi del racconto del richiedente, cioè della concisa definizione del fatto da cui nasce il diritto preteso, – che è un elemento che non può mancare in una sentenza così come in generale in un provvedimento decisorio essendo essenziale per la comprensione del ragionamento logico-giuridico che ha portato alla decisione (cfr. Cass. n. 21373 del 2019, in motivazione; Cass. n. 24940 del 2015; Cass. n. 22845 del 2010) – la cui assenza già rende, di per sè, viziato il provvedimento. A ciò va aggiunto che la maggior parte della sua motivazione si rivela poco appagante in quanto contiene una serie di elementi – come la descrizione della normativa che disciplina le varie forme di protezione internazionale o umanitaria – che non sono essenziali, sicchè il loro inserimento non risulta certamente conforme al suddetto canone della sintesi cui il legislatore chiede al giudice di uniformarsi, attraverso il tratto conciso (art. 132 c.p.c.) e succinto (art. 118 disp. att. c.p.c.) e, quindi, il rispetto dei principi del giusto processo (cfr. Cass. n. 13886 del 2012). Mentre, nelle residue parti che si riferiscono al caso di specie, la stessa è del tutto apodittica, laddove addirittura non gravemente contraddittoria (al punto da configurarsi, sostanzialmente, come apparente) nella misura in cui prima sembra ipotizzare una inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente (cfr. pag. 2, ove si rimarca la contraddittorietà tra quanto da lui riferito innanzi al tribunale ed alla commissione territoriale circa il richiesto intervento delle forze di polizia locali) e poi fonda proprio su queste ultime, considerandole vicende di vita privata e di giustizia comune, il sostanziale rigetto quanto meno delle richieste di protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 5 del 2007, sub art. 14, lett.), ed umanitaria.

2.2. In conclusione, si è al cospetto di una tipica fattispecie di motivazione apparente, ovvero di motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – ed, anzi, come si è detto, sovrabbondante, laddove il tribunale si dilunga nella descrizione della normativa che disciplina le varie forme di protezione internazionale o umanitaria – risulta, tuttavia, costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio (cfr., Cass. n. 9105 del 2017, richiamata, in motivazione, anche nelle più recenti Cass. n. 21373 del 2019 e Cass. n. 877 del 2020, queste ultime rese in fattispecie affatto analoghe a quella odierna).

3. Il ricorso va, dunque, accolto in relazione al motivo esaminato, assorbiti gli altri, ed il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Ancona in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame del merito della controversia.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarandone assorbiti gli altri. Cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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