Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28968 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 17/12/2020), n.28968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18314-2019 proposto da:

O.R., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE UNIVERSITA’

11, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO BENZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRA BALLERINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1854/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 21 novembre/4 dicembre 2018, la Corte di Appello di Genova respinse il gravame proposto da O.R., cittadino nigeriano, contro l’ordinanza, resa, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15 dal tribunale di quella stessa città l’8 settembre 2017, reiettiva della sua domanda volta ad ottenere una delle forme di protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria; rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari).

1.1. In particolare, quella corte ritenne sostanzialmente non credibili le dichiarazioni del richiedente e, comunque, i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste inidonei a consentirne l’accoglimento.

2. Avverso questa sentenza O.R. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Erronea, contraddittoria e carente motivazione della ordinanza impugnata in ordine alla valutazione della mancata sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Error in procedendo per mancata istruttoria di ufficio. Violazione di legge. Errata e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14. Errata e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16”. Si ascrive alla corte genovese di non aver approfondito l’esame delle numerose situazioni di conflitto esistenti in Nigeria e che, integrando un elevato profilo di rischio, avrebbero dovuto portare all’accoglimento della richiesta dell’ O. di riconoscimento della protezione sussidiaria;

II) “Violazione dell’art. 2 Cost. ed art. 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 (ratificato con la L. n. 881 del 1977), in relazione, in particolare, all’art. 5, comma 6, T.U. Immigrazione, ed al D.P.R. n. 399 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter). Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32. Violazione dell’art. 19 del T.U. Immigrazione. Omesso esame della domanda di protezione umanitaria”. Si imputa alla corte distrettuale di non aver indagato le particolari condizioni di vulnerabilità oggettive e soggettive in cui versa il ricorrente.

2. Il primo motivo è complessivamente inammissibile.

2.1. In relazione al denunciato vizio motivazionale, infatti, lo stesso fa riferimento ad una nozione di tale vizio (“erronea, contraddittoria e carente motivazione…”) non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis), atteso che tale mezzo di impugnazione può concernere esclusivamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, e postula l’esatto adempimento degli specifici oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014, qui, invece, rimasti assolutamente inosservati.

2.2. La censura, per il resto, si risolve in una generica critica all’accertamento fattuale operato dalla corte ligure, indicandone le fonti utilizzate, quanto alla situazione socio politica del Paese (Nigeria, Delta State), cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (Dott. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass. SU, n. 34476 del 2019).

3. Parimenti inammissibile è il secondo motivo, fin da ora precisandosi che il suo esame avverrà sulla base della disciplina, afferente la cd. protezione umanitaria, anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018, giusta quanto recentemente sancito da Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461.

3.1. Giova premettere che, come ribadito, tra le ultime, da Cass. n. 252 del 2019, la protezione umanitaria – secondo i parametri normativi qui ritenuti applicabili – è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 23604 del 2017). A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (cfr Cass. n. 4455 del 2018. In senso sostanzialmente conforme si vedano anche Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461).

3.2. Fermo quanto precede, nella specie non sussiste, innanzitutto, il denunciato omesso esame di domanda, posto che la corte genovese ha chiaramente scrutinato, e respinto, con motivazione congrua, la domanda dell’odierno ricorrente volta al riconoscimento della protezione umanitaria.

3.3. Costituisce, poi, principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (dì: Cass. n. 16700 del 2020). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (tfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

3.3.1. Nella specie, la corte territoriale, dopo aver ricordato i requisiti di legge per il riconoscimento della protezione umanitaria, ha sostanzialmente condiviso la valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente, già affermata sia dalla Commissione che dal tribunale di prime cure, con valutazione in fatto, qui evidentemente non sindacabile (se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità –

Cass., SU. n. 8053 del 2014 – in cui è oggi prospettabile, giusta il già richiamato testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Vizio motivazionale, nella specie, peraltro non denunciato). Inoltre, ha specificamente escluso che l’appellante fosse un soggetto vulnerabile (“non risultando delle peculiari condizioni di salute o di altra natura che possano arrecargli grave pregiudizio in caso di suo rientro nel Paese di origine”), evidenziando, peraltro, che questi nemmeno aveva legami familiari in Italia o ivi svolgeva attività lavorativa o avesse in corso un processo di integrazione sociale.

3.3.2. Le argomentazioni del motivo in esame investono, invece, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione umanitaria), mirando, affatto inammissibilmente, ad una sua rivalutazione in questa sede Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass. SU, n. 34476 del 2019).

3.4. Infine, come affermato, ancora di recente, da Cass. n. 231 del 2019, il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, però, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui all’art. 5, comma 6, del T.U. Immigrazione, che, nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (Cfr. Cass. n. 4455 del 2018. In senso sostanzialmente conforme si vedano anche Cass., SU, 13.11.2019, nn. 29459-29461). Infatti, la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015), altresì ricordandosi che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua ritenuta inattendibilità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo.

4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronunce sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta stesso art. 13, il comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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