Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28964 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 08/11/2019), n.28964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20189/2018 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria

civile della Suprema Corte di Cassazione rappresentato e difeso

Dall’avvocato Marciano Giuseppina;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1150/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 2 marzo 2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di S.E., cittadino della Nigeria, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non evidenziando il racconto del richiedente – lo stesso sarebbe scappato per evitare di subire la stessa sorte dei fratelli, morti per effetto di riti magici praticati dal proprio nonno – alcuna forma di persecuzione per motivi di sesso, razza, religione, come indicati dalla Convenzione di Ginevra, trattandosi di allegazioni prive di rilievo giuridico, per lo più riconducibili a credenze popolari.

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno per la sua vita ed incolumità fisica in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato ritenuto comunque meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione S.E. affidandolo a due motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7,8 e 14 per omesso esame circa un fatto decisivo della controversia nonchè irriducibile contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione in merito all’attuale situazione sociale, politica ed economica della Nigeria e sulla sua pericolosità sociale.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello di Milano, nel disattendere la sua domanda, ha effettuato un’indagine imprecisa sulla situazione in Nigeria, suo paese di provenienza.

2. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha accertato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella zona sud della Nigeria e, segnatamente nell'(OMISSIS) (regione di provenienza del richiedente), area non interessata dai conflitti che flagellano invece le zone del Nord Est e del Centro Nord del paese, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32.

Lamenta il ricorrente che il giudice di secondo grado ha omesso di comparare la situazione individuale del richiedente con quella vissuta prima della partenza, cui si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, nonchè l’incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali.

4. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Se è pur vero che tale indirizzo è stato messo in dubbio dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11749/19, che ha, peraltro, rimesso alle Sezioni Civili non solo la valutazione della retroattività o meno del D.L. n. 113 del 2008, ma anche lo scrutinio sui principi elaborati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018, nel caso di specie, tuttavia, non è necessario sospendere il presente giudizio ed attendere la decisione del Supremo Collegio, atteso che la domanda del ricorrente non possiede i requisiti per un suo accoglimento neppure con i parametri elaborati nella citata sentenza n. 4455/2018.

In primo luogo, non è sufficiente per il ricorrente aver dedotto genericamente che le condizioni socio-economiche e sanitarie del Paese d’origine non consentono un livello sufficientemente adeguato ed accettabile di vita.

Sul punto, questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Orbene, anche nel ricorso per cassazione il ricorrente non ha allegato, sotto il profilo fattuale, assolutamente nulla in ordine alla sua vicenda personale, limitandosi genericamente a dolersi di un’asserita mancata comparazione da parte della Corte d’Appello dei due contesti di vita nel paese d’origine e in quello d’accoglienza, ma senza aver dimostrato di aver fornito ai giudici di merito quegli elementi di natura fattuale idonei a porli in condizione di poter effettuare la lamentata (omessa) comparazione.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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