Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28954 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/10/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 14/10/2021), n.27954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19133/2015 R.G. proposto da:

T.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianni Emilio

Iacobelli, con domicilio eletto in Roma, via Panama, n. 74, presso

lo studio dello stesso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 363/45/15 depositata il 16 gennaio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò a T.G. un avviso di accertamento, con il quale, a seguito di indagini bancarie svolte ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7) e sulla base delle presunzioni di cui al n. 2) degli stessi commi, rettificò le dichiarazioni dei redditi e IVA presentate dal contribuente per il periodo d’imposta 2007, accertando le maggiori imposte conseguentemente dovute;

l’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Caserta che, in parziale accoglimento del ricorso del contribuente: a) premesso che questi aveva suddiviso le operazioni bancarie in cinque gruppi (contrassegnati con le lettere a, b, c, d ed e), annullò la ripresa a tassazione nella parte in cui trovava il proprio fondamento nelle operazioni di cui ai gruppi b, c, d ed e, confermandola soltanto nella parte in cui trovava il proprio fondamento nelle operazioni di cui al gruppo a, che il contribuente aveva riconosciuto corrispondere a ricavi non dichiarati; b) statuì che tali ricavi dovessero essere assoggettati, per il 50% – atteso che il contribuente svolgeva attività sia agricola sia di agriturismo – alla tassazione agevolata prevista per gli imprenditori agricoli;

avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Campania (hinc anche: “CTR”), che lo accolse;

in particolare, la CTR: a) con riguardo al primo motivo, con il quale l’Agenzia appellante aveva lamentato “il difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla giustificazione delle operazioni bancarie”, motivò che “3.- A fronte delle specifiche contestazioni dell’Agenzia, non si può ritenere soddisfatto l’onere probatorio incombente sul contribuente. 3.1.- In relazione alle operazioni inserite nel gruppo b), lo stesso contribuente ha riferito in ricorso che i beneficiari dei prelievi che ne sono oggetto sono i fornitori della società Aura Flex s.a.s., che non soltanto non provvede ad enumerare specificamente, ma, in relazione ai quali riconosce la difficoltà, se non l’impossibilità di collegamento coi prelievi, in quanto “…non vi è coincidenza dell’importo pagato con l’importo delle singole fatture in quanto il pagamento delle stesse avveniva a rate…”. Sicuramente errata è allora la sentenza impugnata, là ove ha ritenuto giustificate le operazioni perché riferite “ad effetti intestati alla società Aura Flex s.a.s. di T.A. e C.”, in contrasto col principio affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui la prova liberatoria di cui il contribuente è onerato per vincere le presunzioni legali di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 1, n. 2 è soltanto quella specifica e cioè quella esattamente riferibile a ciascuna movimentazione bancaria oggetto di contestazione fiscale 3.2- Analoghe conclusioni s’impongono per le operazioni inserite nel gruppo c), che il contribuente riferisce a spese per alimentari, abbigliamento e pagamento di bollette, in relazione alle quali nessuna prova specifica è fornita. E va al riguardo precisato che è errata anche l’affermazione della sentenza che esclude l’applicabilità dei D.P.R. n. 600 del 1973, suindicati art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 in ragione del regime di contabilità semplificata di T., non trovando tale affermazione alcun riscontro nelle norme indicate. 3.3- Ad identico risultato conduce l’esame delle operazioni accorpate negli altri gruppi, in relazione alle quali la sentenza impugnata, pure in mancanza di specifica correlazione tra poste e beneficiari, ha sbrigativamente fatto leva su assegni, titoli astratti, e su fatture di acquisto non inequivocamente riferibili agli importi in oggetto”; b) con riguardo al secondo motivo, con il quale l’Agenzia appellante aveva lamentato il “riconoscimento in via equitativa dell’aliquota agevolata di tassazione prevista per l’imprenditore agricolo”, motivò che “4.1- La Corte di Cassazione ha (…) chiarito che, poiché costituisce ius receptum che nei processi tributari in cui viene chiesto il riconoscimento di un’agevolazione fiscale incombe sul soggetto che invoca tale agevolazione l’onere della prova dei relativi presupposti, qualora si controverta sulla natura agricola o commerciale dell’attività svolta dal contribuente è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare il fondamento del trattamento fiscale agevolato preteso, e cioè l’esercizio dell’attività in qualità di imprenditore agricolo. 4.2.- Là dove, nel caso in esame, è la stessa Commissione tributaria provinciale a dar conto del fatto che non è possibile “stabilire in che misura il maggior reddito è agricolo e in che misura è dell’agriturismo”;

avverso tale sentenza della CTR, depositata il 16 gennaio 2015 e non notificata, ricorre per cassazione T.G., che affida il proprio ricorso – notificato il 16/21-22 luglio 2015 – a sei motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

T.G. ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del controricorso sollevata dal ricorrente nella memoria, atteso che tale atto rispetta i requisiti di chiarezza e di specificità e il principio di autosufficienza;

con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3, per la “(n)ullità insanabile dell’avviso di accertamento impugnato in I grado per mancata allegazione della delega del Direttore provinciale alla sottoscrizione dello stesso da parte dei funzionati designati” (in particolare, da parte del “Capo Area Imprese” che sottoscrisse l’atto “per delega del Dirigente dell’Agenzia delle Entrate di Caserta”), “nullità (che) è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”;

con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, per l'”inesistenza giuridica dell’atto impositivo per carenza del potere dirigenziale del delegante o di chi ha sottoscritto l’avviso di accertamento, in mancanza della sua qualifica di dirigente”, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015 e considerato che “il soggetto che ha delegato la sottoscrizione dell’avviso di accertamento: “Direttore Provinciale Dott. P.P.”, non sembrerebbe, come risulta da un elenco dei dirigenti decaduti, pubblicato su internet, tra gli altri sul sito “(OMISSIS)”, essere dotato dei poteri per sottoscrivere gli avvisi di accertamento perché, si presume, incaricato di “funzioni dirigenziali” e non “dirigente” a seguito di concorso pubblico”;

con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 42 la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., “in relazione all’omesso esame delle prove documentali agli atti dei due gradi di giudizio nell’accoglimento del primo motivo di appello”, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., la violazione degli artt. 2727,2728 e 2729 c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c., e la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 54 sotto i profili che: a) la CTR “con violazione del principio del prudente apprezzamento della prova ha fondata la decisione impugnata su indimostrate asserzioni della controparte, omettendo qualsivoglia esame di tutte prove documentali prodotte dal ricorrente in primo grado e correttamente valutate dal giudice di prima istanza, con ciò violando gli artt. 115 e 116 c.p.c.”; b) “la documentazione agli atti dei due gradi di giudizio comprovava che il ricorrente aveva dato prova autentica delle operazioni contestate (…) dimostrando in modo specifico, così come richiesto dal D.P.R. n. 600 (…), art. 32 che tratta vasi di somme o giustificate per il pagamento di fatture o per spese personali e familiari o che non avevano rilevanza alcuna sul reddito in quanto di natura non reddituale”, sicché, “(c)on tale documentazione (doc dal n. 4 al n. 16 e dal n. 19 al n. 23 allegati al ricorso di I grado) il contribuente aveva soddisfatto il requisito previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (…) necessario per vincere la presunzione “iuris tantum” di cui alla richiamata norma”, “con prova documentale”, tenuto anche conto che “(l)’onere della prova che incombe D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32 (…) afferisce alla dimostrazione della sola “provenienza” delle somme”; c) la CTR “avrebbe dovuto convenire che le presunzioni, operate dall’Ufficio, assumevano l’aspetto di semplici “congetture”, non confortate dai requisiti di cui all’art. 2729 c.c. (..) necessari per assurgere al rango di prova”, considerato che “le movimentazioni bancarie in assenza di altri idonei elementi di prova, non costituendo autonomamente indici di maggiore reddito, giammai possono costituire da sole quegli “elementi e circostanze di fatto certi” che giustificano il ricorso all’accertamento”, richiedendo “ulteriori accertamenti e riscontri oggettivi idonei ad edificare prove di primo grado”; d) la CTR ha “accetta(to) quale prova contro il contribuente esclusivamente le argomentazioni addotte dall’Amministrazione ma senza esaminare (…) la documentazione sulla base della quale erano stati effettuati i rilevi nei confronti del contribuente (..) valutandola) secondo il prudente apprezzamento”;

con il quarto motivo, il ricorrente – per il caso in cui “la (…) Corte dovesse ritenere non sussistere i vizi di cui al motivo che precede” denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti”, sotto il profilo che, “per le stesse ragioni sopra richiamate”, la CTR ha “omesso (l’)esame di dati obiettivi costituiti dalle risultanze processuali che attestavano la bontà delle giustificazioni fornite delle ricorrente all’Ufficio”, avendo “azzerato la realtà processuale, oggetto di contraddittorio tra le parti, obliterando gli elementi acquisiti”;

con il quinto motivo, il ricorrente, con riguardo “all’accoglimento dell’appello in merito alle operazioni bancarie del gruppo A”, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti”, sotto il profilo che “per detto gruppo a) 11.3 di operazioni lo stesso ricorrente riconosceva quale vendita di prodotti agricoli” “e la prova che tratta vasi per intero di operazioni agricole stava nel fatto che gli incassi dell’agriturismo erano stati interamente fatturati, mentre per la vendita di prodotti agricoli non vi era nessuna fattura emessa”;

con il sesto motivo (indicato nel ricorso con il n. 7), il ricorrente per il caso in cui “la (…) Corte dovesse ritenere non sussistere i vizi di cui al motivo di diritto che precede” “per le stesse ragioni”, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riguardo “all’omesso esame delle prove documentali agli atti dei due gradi di giudizio”;

il primo motivo è inammissibile perché, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, le forme di invalidità degli atti tributari, anche ove indicate dal legislatore con il nomen di nullità, non sono rilevabili d’ufficio e non possono, quindi, essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione (ex plurimis, Cass., 09/11/2015, n. 22810);

tale principio è riferibile anche all’ipotesi – che viene qui in rilievo – della nullità dell’avviso di accertamento per essere stato (asseritamente) sottoscritto da un soggetto diverso da quelli indicati nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1 (Cass., 24/06/2016, n. 13126, relativa proprio a una fattispecie di mancanza della delega a sottoscrivere l’atto), per la quale, del resto, vale anche l’espressa previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 61, comma 2 (secondo cui “(l)a nullità dell’accertamento a sensi dell’art. 42, comma 3 (..) deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado”);

poiché nella specie non è stato neppure dedotto che la nullità ora prospettata dal ricorrente fosse stata eccepita quale motivo del ricorso introduttivo avverso l’avviso di accertamento, ogni indagine in proposito e’, dunque, ormai preclusa;

anche il secondo motivo è inammissibile per ragioni identiche a quelle che si sono affermate in relazione all’inammissibilità del primo motivo;

il motivo in esame sarebbe, comunque, infondato, alla luce dell’ormai pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui, “(i)n tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito dalla L. n. 44 del 2012” (Cass., n. 22810 del 2015, 26/02/2020, n. 5177);

il terzo e il quarto motivo, data la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente;

essi sono fondati, nei limiti e nei termini che seguono;

la giurisprudenza di questa Corte è ormai pacifica nel senso che, “(Un tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili” (Cass., 29/07/2016, n. 15857; nello stesso senso, Cass., 04/08/2010, n. 18081, 30/12/2015, n. 26111);

da ciò consegue l’infondatezza del terzo profilo del terzo motivo (riassunto sopra sub c), atteso che, qualora l’accertamento si fondi sulle movimentazioni dei conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’amministrazione finanziaria è soddisfatto “attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti”, con la conseguenza che contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – non sono richiesti “ulteriori accertamenti e riscontri oggettivi”;

quanto agli altri profili del terzo motivo e al quarto motivo, questa Corte è altresì orientata nel senso che, “(i)n tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione” (Cass., 03/05/2018, n. 10480, 30/06/2020, n. 13112);

più nel dettaglio, secondo la stessa giurisprudenza, “in materia di accertamenti bancari, all’onere probatorio gravante sul contribuente che vuole superare la presunzione legale posta dalle predette disposizioni a favore dell’erario – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici -, di fornire non una prova generica, ma una prova analitica (sul punto, vedi Cass. 26111 del 2015 e la copiosa giurisprudenza ivi richiamata) idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014), corrisponde l’obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, e, dall’altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica”;

la CTR non ha adempiuto questi ultimi due obblighi;

la sentenza impugnata, infatti, non ha compiuto una verifica dell’efficacia dimostrativa degli elementi giustificativi offerti dal contribuente in relazione a ogni singola operazione, ma ha considerato le movimentazioni bancarie, piuttosto, soltanto per gruppi;

da ciò consegue la fondatezza dei motivi, con esclusione del solo terzo profilo del terzo motivo;

il quinto motivo è inammissibile, avendo il ricorrente omesso di indicare – nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “dato”, testuale o extratestuale, da cui risulti l’esistenza del “fatto” il cui esame sia stato omesso, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra Ve parti, e la “decisività” del fatto stesso (ex plurimis, Cass., 08/10/20:14, n. 21257);

anche il sesto motivo è inammissibile giacché il mancato esame di documenti può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omesso esame di un fatto decisivo (Cass., 28/09/2016, n. 19150), vizio con riguardo al quale vale quanto detto in relazione al quinto motivo;

in conclusione, il terzo e il quarto motivo devono essere accolti nei limiti e nei termini sopra esposti, mentre il primo, il secondo, il quinto e il sesto motivo devono essere dichiarati inammissibili, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, affiinché riesamini la vicenda processuale in conformità agli enucleati principi di diritto e provveda, altresì, a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

accoglie il terzo e il quarto motivo, nei limiti e nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibili il primo, il secondo, il quinto e il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

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