Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28953 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/10/2021, (ud. 09/06/2021, dep. 14/10/2021), n.27953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4777/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– ricorrente –

contro

VERDI’S S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e

difesa, giusta delega a margine del controricorso, dagli avv.ti

Maria Serpieri e Paolo Quattrocchi, con domicilio eletto presso lo

Studio Legale Associato NCTM, in Roma, via delle Quattro Fontane, n.

161;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4264/14/14 della Commissione tributaria

regionale del Lazio depositata in data 25 giugno 2014;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 giugno 2021

dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore generale, Dott. De Augustinis Umberto, che ha chiesto

l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento dei

restanti motivi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Verdìs s.p.a., esercente commercio all’ingrosso di abbigliamento, impugnò l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione, per l’anno d’imposta 2007, Ires, Irap e I.V.A., contestando una serie di rilievi, ed in particolare: costi non inerenti per prestazioni di servizi afferenti manutenzioni, ristrutturazioni e restyling, omessa fatturazione di I.V.A. al 20 per cento su diverse fatture emesse nei confronti di clienti extra UE, cessione extra UE di merce a clienti esteri, note di credito emesse nei confronti della Ken s.r.l. ed elementi negativi di reddito derivanti da rapporti con soggetti domiciliati in paesi a fiscalità privilegiata.

2. La Commissione tributaria provinciale adita accolse il ricorso limitatamente al rilievo relativo ai costi derivanti da rapporti con soggetti domiciliati in paesi a fiscalità privilegiata, respingendolo con riferimento ai restanti rilievi oggetto dell’atto impositivo impugnato.

3. La Commissione tributaria regionale del Lazio, decidendo sull’appello principale dell’Agenzia delle entrate e su quello incidentale della contribuente, rigettò il primo ed accolse il secondo, annullando l’avviso di accertamento.

I giudici di appello, analizzando preliminarmente l’appello dell’Ufficio finanziario concernente il recupero a tassazione dei costi derivanti da operazioni con soggetti residenti in paesi aventi regimi fiscali privilegiati, esclusero la dedotta carenza motivazionale della sentenza di primo grado, sottolineando che i giudici di primo grado, con un percorso argomentativo molto chiaro, avevano ritenuto dimostrata l’effettività delle operazioni poste in essere, nonché l’interesse economico sottostante ad eseguire le operazioni, sulla base della documentazione prodotta (contratti di fornitura, documentazione bancaria, polizze assicurative, registri delle imprese, fatture, prospetti riepilogativi delle operazioni dei singoli prodotti), idonea ad integrare il requisito dell’interesse economico a porre in essere determinate operazioni commerciali. Passando, poi, all’esame dell’appello della contribuente, i giudici di merito ritennero “non esaustiva e congrua” la motivazione della sentenza della C.T.P. in ordine alle contestazioni sollevate. Posto che era onere della contribuente dimostrare documentalmente il sostenimento di costi e la loro inerenza, affermarono che nessuna critica poteva essere mossa alla società che aveva dimostrato in modo circostanziato i costi afferenti le manutenzioni ed il restyling dei punti vendita, che erano da ritenersi inerenti “in quanto volti in modo particolare a consolidare e incrementare i ricavi dei punti vendita”, tenuto conto peraltro che nel campo della moda era necessario, oltre che opportuno, dare una buona immagine ai punti vendita e che “la riconoscibilità dello stile” costituiva elemento imprescindibile per far capire ai clienti la qualità del prodotti e per promuovere e tentare di aumentare il livello delle vendite. Ritennero, inoltre, condivisibile la tesi difensiva della società in ordine agli sconti concessi alla Khen s.r.l. che non potevano essere considerati mere liberalità, ma veri e propri sconti da portare in deduzione a fine anno, come stabilito anche dai principi contabili.

4. Contro la decisione d’appello ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, con quattro motivi.

La contribuente ha resistito mediante controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., non avendo avanzato istanza di discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la difesa erariale deduce la nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con l’avviso di accertamento aveva contestato l’indeducibilità di costi per Euro 981.215,04, relativi a rapporti con soggetti domiciliati in paesi a fiscalità privilegiata (Hong Kong), a fronte della non tempestiva produzione documentale richiesta in via amministrativa con invito notificato il 31 maggio 2010 e comunque della mancata prova dei presupposti previsti dalle disposizioni richiamate, come esplicitati dalla circolare n. 29 del 23 maggio 2003 e nella risoluzione n. 46 del 2004; in particolare, aveva dedotto, a motivo di gravame della decisione di primo grado, in via preliminare il fatto che la contribuente non aveva prodotto la dichiarazione richiesta con l’invito nel termine di 90 giorni previsto dall’art. 110, comma 11 del t.u.i.r., con conseguente inutilizzabilità della documentazione tardivamente prodotta, e, nel merito, aveva opposto che la documentazione versata non era idonea a dare conto delle condizioni richieste dall’art. 110 ai fini della deducibilità. A fronte di tali specifici motivi di impugnativa, la C.T.R. aveva omesso di pronunciarsi sulla questione della inutilizzabilità, limitandosi a richiamare confusamente le fonti documentali esibite dalla contribuente, per affermarne la idoneità con riferimento alla sola condizione dell’interesse economico.

Quanto, inoltre, ai costi di manutenzione, ristrutturazione e restyling, i giudici regionali ne avevano riconosciuto l’inerenza siccome “volti in modo particolare a incrementare i ricavi dei punti vendita”, mentre sul punto sia nell’avviso di accertamento che in primo grado era stato opposto che la correttezza della contestazione derivava dai contratti di franchising conclusi dalla contribuente con gli affiliati ove era espressamente previsto il riaddebito, non avvenuto nelle fatture riprese a tassazione; peraltro, detti costi erano relativi ad attività non funzionalmente inerente a quella produttiva esercitata, venivano utilizzati da soggetti distinti ed autonomi rispetto alla società contribuente e non erano localizzati nella struttura produttiva della contribuente (non dotata di punto vendita), bensì in unità produttive di soggetti estranei.

In ordine, poi, alla deducibilità degli sconti in favore della Khen s.r.l., la C.T.R. aveva motivato: “tali vantaggi sono legati al raggiungimento di determinati obiettivi”, ma il rilievo era stato formulato facendo riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26. Sul punto, era stato opposto nelle controdeduzioni di primo grado che gli sconti concessi sotto forma di note di credito non avevano dal punto di vista contabile e commerciale alcuna corrispondenza analitica con le fatture, bensì costituivano mere indicazioni generiche rinvenibili nella lettera informale a firma dei legali rappresentanti della società, tra loro collegate perché i rispettivi rappresentati erano legati da vincoli di parentela e perché avevano la medesima sede sociale; peraltro, come risultava dal bilancio della Khen s.r.l., depositato con le controdeduzioni, a fronte degli sconti ricevuti dalla contribuente per Euro 441.000,00, la Khen s.r.l. aveva dichiarato una perdita di Euro 484.661,00 senza alcuna menzione degli sconti tra le voci attive.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura, in via subordinata, la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del t.u.i.r., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto inerenti i costi di manutenzione, ristrutturazione e restyling, ponendo in evidenza che la contribuente ha replicato al mancato riaddebito contestato nell’atto impositivo sostenendo che questo “attiene a precise scelte gestionali della società che dipendono dalla natura delle spese sostenute (per alcune di esse infatti il riaddebito è contrattualmente previsto), dai rapporti commerciali con i gestori e dall’importanza del punto vendita”.

La C.T.R., aggiunge la ricorrente, limitandosi a considerare la questione sotto il profilo della astratta riferibilità oggettiva del costo rispetto all’attività esercitata, era incorsa nella denunciata violazione di legge, in quanto a fronte della ragione fondante la ripresa costituita dal mancato riaddebito di tali costi, non contestato dalla contribuente, aveva ammesso in deduzione costi di fatto sostenuti da soggetti giuridici distinti, non localizzati nella struttura produttiva della contribuente e ad essa non riferibili.

3. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 anche con riferimento all’art. 1321 c.c., nonché vizio di omesso esame su un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Lamenta la ricorrente che la decisione resa dalla C.T.R. in ordine agli sconti in favore della Khen s.r.l. si pone in contrasto con il citato art. 26 che, in caso di riduzione dell’imponibile di un’operazione per la quale sia già stata emessa fattura, consente al cedente di detrarre l’imposta corrispondente alla variazione, prevedendo che si possano verificare vicende patologiche dell’accordo originario o accadimenti prevedibili perché presenti in contratto.

Evidenzia che, laddove si invochi questa seconda specie di presupposti, si impone la presenza di una pattuizione negoziale, che deve essere riferibile ad una singola operazione e non ad una previsione stabilita una tantum a monte e prima degli acquisti.

Nel caso di specie, ad avviso della ricorrente, la C.T.R. non ha fatto buon governo della norma, posto che il documento allegato al p.v.c. (all. 1) difetta dei caratteri di sinallagmatic:ità, per essere intercorso tra soggetti formalmente e sostanzialmente collegati e per risolversi in una generica ed onnicomprensiva previsione non altrimenti giustificativa del singolo sconto praticato. In via subordinata, denuncia un vizio di motivazione su un fatto decisivo costituito dalla mancanza di una previsione avente la natura di accordo giustificativo dei singoli sconti.

4. Con il quarto motivo la difesa erariale deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dei principi in materia di appello, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e si duole che la decisione impugnata, pur avendo integralmente accolto l’appello incidentale, non contenga alcuna statuizione in merito ai restanti due rilievi oggetto di contestazione, concernenti l’omessa fatturazione di I.V.A. al 20 per cento nei confronti di un cliente esportatore abituale (rilievo A dell’avviso) e la cessione extra UE di merce nei confronti di clienti con sede al di fuori del territorio comunitario (rilievo B dell’avviso).

5. Il primo motivo è ammissibile.

5.1. Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, “in tema di giudizio di cassazione, trattandosi di rimedio a critica vincolata il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione” (Cass., sez. 1, 24/02/2020, n. 4905); “il principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, richiede per ogni motivo l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto, nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della pronunzia” (Cass., sez. L, 18/08/2020, n. 17224).

Va, pure rammentato che “l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, qualunque sia il tipo di errore (in procedendo o in iudicando) per cui è proposto, non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata” (Cass., sez. 5, 31/05/2011, n. 11984).

5.2. La critica rivolta alla decisione impugnata con il mezzo in esame è puntuale e specifica, atteso che la ricorrente non si è limitata ad una generica tesi difensiva, ma, richiamando gli atti di causa, ha illustrato in modo esaustivo e specifico le contestazioni mosse con l’atto impositivo impugnato e le deduzioni difensive svolte sia in primo che in secondo grado, esponendo in modo chiaro le circostanze di fatto, i punti controversi e le ragioni per le quali si sollecita la cassazione della sentenza.

Neppure si riscontra un difetto di autosufficienza del motivo, poiché risulta specificato anche in quale sede processuale i documenti sui quali si fonda la censura risultano prodotti e ritrascritto il contenuto degli stessi documenti (Cass., sez. 1, 10/12/2020, n. 28184).

5.3. La valutazione del motivo impone una preliminare disamina del più recente orientamento espresso da questa Corte sulle questioni oggetto dei rilievi in contestazione.

5.3.1. In ordine alla indeducibilità dei costi cd. black list, occorre premettere che la disciplina in materia si è strutturata nel tempo attraverso una serie di interventi legislativi successivi che hanno determinato problemi interpretativi anche di diritto transitorio.

Nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2003, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76 prevede: “… 7-bis. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati… 7-ter. Le disposizioni di cui al comma 7-bis non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione…. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 7-bis è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti”.

Negli stessi termini si esprime il D.P.R. n. 917 del 1986 all’art. 110, commi 10 e 11, nel testo in vigore dal 10 gennaio 2004 sino al 10 gennaio 2007.

A decorrere dal 10 gennaio 2007, la L. n. 296 del 2006, all’art. 1, comma 301, modificando la prescrizione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110 ha previsto che: “10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea aventi regimi fiscali privilegiati…. 11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. Le spese e gli altri componenti negativi deducibili ai sensi del primo periodo sono separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi…”.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 5, 10/06/2016, n. 11933; Cass., sez. 5, 28/02/2017, n. 5085; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27613; Cass., sez. 5, 21/05/2020, n. 9338), la materia e’, quindi, regolata dai seguenti principi: a) con decorrenza dal 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della L. n. 296 del 2006 (art. 1, comma 1364), dell’art. 1, i commi 301 e 302 di tale legge – il primo, modificando del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 110, il comma 11 e il secondo aggiungendo al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, il comma 3-bis – hanno mutato la disciplina della (in)deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione Europea ed aventi regimi fiscali privilegiati – ove non sia provato che i contraenti esteri svolgano effettiva attività commerciale, che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico, che le stesse abbiano avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, che i costi non siano stati separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi – “degradando la separata indicazione dei costi da presupposto sostanziale della relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale, passibile di corrispondente sanzione amministrativa, pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non (separatamente) indicati nella dichiarazione” (sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, nuovo comma 3-bis); b) in ordine al regime transitorio dettato dalla L. n. 296 del 2006, citato art. 1, comma 303 anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione di costi in esame poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge non comportano, di per sé stesse, l’applicazione del regime di assoluta indeducibilità dei costi medesimi (e di connessa sanzionabilità D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 1, comma 2), in quanto degradate a violazioni di carattere formale, soggette alla sanzione proporzionale suddetta, alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio, e dunque, già assoggettate al rigoroso regime di indeducibilità) si cumula, in forza dell’ultima parte del comma 303 citato, la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 8, comma 1, (che, per i vizi formali della dichiarazione, prevede la sanzione amministrativa da Euro 258,00 ad Euro 2.065,00); c) tale lettura della disciplina di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303 – che appare l’unica idonea a garantire la tenuta sul piano della razionalità – non viola il principio di legalità, posto che, sotto il profilo sanzionatorio e degli effetti che ne conseguono, il regime introdotto dalla normativa sopravvenuta e’, nel suo complesso, certamente meno gravoso, per il contribuente, rispetto a quello previgente (Cass., sez. 5, 27/02/2015, n. 4030; Cass., sez. 5, 27/03/2015, n. 6205; Cass., sez. 5, 28/10/2015, n. 21955; Cass., sez. 5, 1/04/2016, n. 6338; Cass., sez. 5, 6/04/2016, n. 6651; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27613).

5.3.2. Anche con riguardo all’inerenza dei costi si registra un mutamento nell’orientamento di questa Corte.

Si e’, infatti, affermato (Cass., sez. 5, 11/01/2018, n. 450) che il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa, e non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili, ed esprime “la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale”, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico, e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo.

La nozione di inerenza, dunque, implica quella di congruità, sicché deve escludersi la deducibilità di costi sproporzionati o eccessivi, in quanto non inerenti (Cass., sez. 5, 30/05/2018, n 13596), attenendo alla compatibilità, coerenza e correlazione dei costi non ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi (Cass., sez. 5, 17/01/2020, n. 902; Cass., sez. 5, 12/11/2019, n. 29179; anche Cass., sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12738).

Si è quindi descritto compiutamente il riparto dell’onere della prova in materia di inerenza ed il contenuto della stessa, precisando (Cass., sez. 5, 17/07/2018, n. 18904) che l’inerenza integra un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, quindi con natura qualitativa, cosicché spetta al contribuente l’onere della prova “originario”, che quindi si articola ancora prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa. Solo quando l’Amministrazione ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati oppure riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare gli elementi allegati, può contestare l’inerenza con due modalità. Da un lato, può contestare la carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e quindi la loro insufficienza a dimostrare l’inerenza, mentre dall’altro può addurre l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non è correlato all’impresa.

5.3.3. Quanto, poi, alla (in)deducibilità delle note di credito emesse nei confronti di altra società, l’applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 richiede una duplice condizione: a) che venga praticato al cessionario o committente, dal cedente o dal prestatore, uno sconto sul prezzo della vendita effettuato; b) che la riduzione del corrispettivo al cliente sia il frutto di un accordo, il quale può essere documentale, o verbale, e persino successivo, purché del medesimo sia fornita la prova, da parte dei soggetti interessati, mediante la trasfusione del patto stesso in note di accredito, emesse da una parte a favore dell’altra, con l’allegazione della causale che, volta per volta, abbia giustificato gli sconti medesimi (Cass., sez. 5, 12/12/2011, n. 26513; Cass., sez. 5, 5/03/2007, n. 5006 ha precisato che la detrazione dell’imposta non spetta ove il giudice di merito accerti in fatto che non si trattava di sconti ma di un premio di fine anno, ossia di un contributo autonomo riconosciuto indistintamente a fine esercizio al cliente al raggiungimento di un determinato fatturato o comunque per incentivarlo a futuri acquisti; Cass., sez. 5, 5/03/2007, n. 5006). Spetta, pertanto, al giudice di merito valutare il contenuto degli accordi negoziali fra il contribuente ed i suoi clienti.

6. Tanto premesso, il motivo in esame, che si sostanzia nella denuncia del carattere meramente apparente della motivazione della sentenza impugnata riguardo ai rilievi afferenti l’indeducibilità dei costi cd. black list, dei costi di manutenzione, ristrutturazione e restyling, nonché degli sconti praticati in favore della Khen s.r.l., è fondato.

6.1. Infatti, va ribadito il principio che si ha motivazione apparente quando la motivazione, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., sez. U., 3/11/2016, n. 22232; Cass., sez. 23/05/2019, n. 13977).

6.2. L’impugnata sentenza della C.T.R.. – la cui motivazione, con riguardo alla indeducibilità dei costi cd. black list, si esaurisce nelle affermazioni che “…sul punto si ritiene che non è stata violata nessuna norma, ma al contrario non può essere trascurato il fatto che il convincimento dei primi giudici è stato operato dalla idoneità di tutta la documentazione presentata….atta ad integrare uno degli elementi posti dalla stessa norma, ossia l’interesse economico a porre in essere determinate operazioni commerciali…”, – rientra in tale grave anomalia argomentativa, concretizzando, perciò, un caso di motivazione apparente.

Le suddette affermazioni, infatti, non estrinsecano il ragionamento che ha indotto il giudice di appello al convincimento che la società contribuente avesse fornito la prova che le operazioni poste in essere rispondevano a un suo effettivo interesse economico, atteso che esse, da un lato, neppure indicano in cosa tale interesse consistesse, dall’altro, si riferiscono alla documentazione prodotta dalla società in modo complessivo, affermandone in modo assertivo la valenza probatoria (nel senso dell’apparenza della motivazione “meramente assertiva o riferita complessivamente alle produzioni in atti” Cass., sez. 3, 30/05/2019, n. 14762).

Inoltre, la C.T.R. trascura totalmente di considerare le specifiche contestazioni che erano state avanzate dall’Ufficio con riguardo alla documentazione prodotta dalla controparte che, nel rispetto del principio dell’autosufficienza, sono state riportate nel ricorso per cassazione – ed in particolare l’inutilizzabilità della documentazione perché tardivamente prodotta oltre il termine di 90 gg. previsto dall’art. 110, comma 11 del t.u.i.r. e l’insufficienza della medesima documentazione a dare conto della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 110 del t.u.i.r. ai fini della deducibilità, a fronte della mancata produzione delle iscrizioni alle locali camere di commercio convalidate da organi consolari italiani, necessarie per dare dimostrazione dell’effettivo esercizio di attività delle società operanti nei paesi black list, e della dedotta inidoneità delle fatture di acquisto a provare l’effettiva esecuzione delle operazioni e la sussistenza di un interesse economico.

6.3. Analogamente la decisione incorre nella denunciata violazione di difetto assoluto di motivazione laddove riconosce la deducibilità dei costi di manutenzione, ristrutturazione e restyling, perché “volti in modo particolare a consolidare e incrementare i ricavi dei punti di vendita”, posto che la Commissione regionale si è limitata a valorizzare, ai fini della prova della inerenza dei costi, la sola circostanza che nel campo della moda è necessario “dare una buona immagine ai punti vendita”, al fine di far conoscere ai possibili clienti la qualità del prodotto ed aumentare il livello delle vendite, senza soffermarsi sulle deduzioni specifiche della Agenzia delle entrate, svolte nelle controdeduzioni depositate nel giudizio di merito e riportate nel ricorso per cassazione in omaggio al principio di autosufficienza, finalizzate a sottolineare che detti costi non erano riferibili all’attività di produzione della società contribuente.

6.4. La carenza assoluta di motivazione è ravvisabile pure nella statuizione di deducibilità degli sconti praticati in favore della società Khen s.r.l., con la quale la C.T.R. in modo estremamente sintetico si limita ad affermare che gli sconti non possono essere considerati mere liberalità, ma “veri e propri sconti” da portare in deduzione a fine anno, omettendo, tuttavia, qualsiasi valutazione in merito all’accordo tra la contribuente e la società Khen s.r.l., emergente dalla lettera firmata dai legali rappresentanti delle due società prodotta nella fase di merito, al fine di verificare se lo stesso fosse idoneo a giustificare i singoli sconti, alla luce della contestata commistione di interessi fra le due società e della mancata annotazione degli sconti nel bilancio della Khen s.r.l..

7. L’accoglimento del primo motivo di ricorso consente di dichiarare assorbiti i restanti motivi.

8. Conclusivamente, va accolto il primo motivo, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, che, attenendosi ai principi sopra richiamati, dovrà provvedere al riesame, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

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