Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28953 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 12/11/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 12/11/2018), n.28953

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE – T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10373-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE, DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

FLOTT SPA, in persona del legale rappresentante elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato

LAURA ROSA, rappresentata e difesa dagli avvocati CHRISTIAN

CALIFANO, LORENZO DEL RICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 576/12/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE, di PALERMO, depositata il 20/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della FLOTT s.p.a. (che resiste, con controricorso e memoria), avverso la sentenza della CTR Sicilia indicata in epigrafe, depositata in data 20.2.2017, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso ai fini IRAP ed IVA per l’anno 2009, in seguito ad una verifica fiscale che aveva acclarato la “non genuinità” del contratto di prestazioni di servizi stipulato da Flott s.p.a. con la cooperativa Asprense nel gennaio 2008 – è stata interamente confermata la decisione di prime cure, che aveva accolto in toto il ricorso della contribuente, rigettando l’appello dell’Agenzia.

In particolare, i giudici della CTR hanno ritenuto che la dimostrazione dell’interposizione fittizia di manodopera non potesse desumersi unicamente dalla circostanza che i dipendenti dell’appaltatore utilizzassero per i lavori macchinari ed attrezzature messe a disposizione del committente essendo, per contro, necessario che l’appaltatore non esercitasse il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto e non assumesse il rischio d’impresa. Secondo la CTR l’Ufficio aveva offerto soltanto meri indizi inidonei a comprovare la natura fittizia del rapporto di appalto, non avendo l’Agenzia dimostrato “…che la Cooperativa Aprense aveva di fatto abdicato, in favore della committente, al proprio potere organizzativo/gestionale e gerarchico disciplinare dei propri lavoratori”, nè risultando che tale potere gestionale fosse transitato in capo alla Flott spa. Da ciò derivava la piena liceità del contratto di appalto, anche considerando che i lavoratori occupati presso la detta Cooperativa erano stati assunti e retribuiti dalla medesima.

La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1, e dell’art. 1655 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè i giudici di secondo grado avrebbero errato nel ritenere che, nonostante il lavoro del personale dipendente della Cooperativa Asprense fosse svolto manualmente senza l’utilizzo di alcun macchinario ovvero bene strumentale di proprietà della ditta appaltatrice, la circostanza che l’appaltatore gestisse il personale, riferendogli le istruzioni operative disposte dall’appaltante, risultava di per sè sufficiente a dimostrare la liceità del contratto di appalto di manodopera stipulato.

1. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., poichè i giudici di secondo grado non avrebbero tenuto conto di tutte le circostanze, specificamente eccepite nei gradi di merito dall’Ufficio, in base alle quali quest’ultimo ha riqualificato in mera somministrazione di mano d’opera il negozio stipulato tra la FLOTT s.p.a. e la cooperativa Asprense. In particolare, la censura fa riferimento alle seguenti circostanze: a) la cooperativa aveva operato, sin dalla sua costituzione, ad esclusivo vantaggio della società accertata; b) la realizzazione delle manifatture non avveniva in piena autonomia e con propria organizzazione sociale, poichè il personale facente capo all’Asprense risultava inserito nel ciclo produttivo della FLOTT s.p.a., operando in sinergia con il personale di quest’ultima; c) le modalità con cui veniva determinato il corrispettivo contrattuale e l’omessa indicazione di un termine di durata del contratto, con conseguente neutralizzazione di una qualsiasi forma di rischio d’impresa.

3. I due motivi meritano di essere esaminati congiuntamente e sono entrambi fondati.

Occorre premettere che sulla contribuente grava l’onere di provare che quello intercorso con la cooperativa fosse un reale rapporto contrattuale di appalto, ciò sia ai fini della detraibilità dell’IVA assolta o dovuta, sia ai fini della deducibilità dei costi sostenuti per le prestazioni dei lavoratori formalmente dipendenti della cooperativa appaltatrice, ai fini IRAP (Cass. n. 18808 del 2017). Tocca infatti all’acquirente di beni o al committente di prestazioni di servizi che invochi il diritto di detrazione dell’iva assolta o dovuta provare che ricorrono i presupposti per fruirne (tra varie, Corte giust. 18 luglio 2013, causa C-78/12, “Evita-K” EOOD, punto 37), gravando sulla contribuente l’onere di provare che il contratto concluso con la Flott spa fosse qualificabile come appalto.

Va poi detto che il D.Lgs. n. 276 del 2003, non ha eliminato la figura della somministrazione irregolare di manodopera già vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, (Cass., sez. un., n. 22910 del 26 ottobre 2006, che si riferisce, in motivazione, appunto alla disciplina introdotta nel 2003). Il contratto di somministrazione di manodopera irregolare, schermato da quello di appalto, dunque, è comunque affetto dal vizio di nullità, irradiandosi tale vizio anche sul contratto fra lavoratore e somministratore, con intuibili conseguenze ai fini dell’IVA e dell’IRAP (Cass. n. 18808 del 2017).

L’individuazione della fattispecie astratta emerge dall’applicazione della nozione di appalto assunta dall’art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 276 del 2003, a norma del quale, nel testo vigente all’epoca dei fatti, «ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonchè per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa». La sussistenza dell’appalto è identificata, come chiarito da questa Corte, “in virtù del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, dalla combinazione dell’indice dell’assunzione del rischio d’impresa e di quello dell’eterodirezione, in seno alla quale senz’altro assume rilievo preminente il secondo. Ciò in quanto, per aversi appalto, è necessaria soltanto l’organizzazione ad impresa dell’appaltatore, ma non è anche indispensabile che il fornitore sia munito dei requisiti che identificano l’imprenditore. L’organizzazione di mezzi può infatti essere predisposta anche per l’esecuzione, occasionale, di un singolo contratto di appalto, non richiedendo, in conseguenza, l’esercizio in forma professionale dell’attività dell’appaltatore” cfr. Cass. n. 18808 del 2017.

Peraltro, in relazione all’importanza del dato dell’eterodirezione questa Corte, nella pronuncia citata, ha richiamato l’orientamento formatosi sotto la disciplina previgente, in base al quale l’operatività del divieto d’interposizione (oggi tradottosi in somministrazione irregolare) sussisteva ogni qual volta, in capo all’appaltatore, restino i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione, volta ad un risultato produttivo autonomo (tra varie, Cass. 28 marzo 2013, n. 7820, nonchè, in relazione alla riforma introdotta dal D.Lgs. n. 276 del 2003, Cass. pen. n. 27866 del 2015, cit.).

Orbene, nel caso specifico, i giudici della C.T.R. hanno affermato che sussistevano meri indizi per ritenere che i lavoratori non fossero sotto il potere organizzativo dell’appaltatore, essendo mancata la prova che la cooperativa avesse abdicato in favore del committente il proprio potere organizzativo gestionale e gerarchico sul personale dalla stessa regolarmente retribuito.

Orbene, in questo modo la CTR ha mostrato, per l’un verso, di ritenere come sostanzialmente dirimente la sola questione attinente all’assenza di prova circa il mancato esercizio di poteri gestionali, senza invece preoccuparsi dell’onere della prova – come detto a carico della contribuente – in ordine all’esistenza dei presupposti per fruire della deduzione dei costi e della detrazione IVA e, per altro verso. Per altro verso, il giudice di appello ha omesso di esaminare gli elementi che l’Ufficio aveva dedotto per dimostrare l’assenza del rischio d’impresa, specificamente correlati alla circostanza, oggetto di discussione fra le parti, che la cooperativa, dalla data della sua costituzione, aveva operato esclusivamente a vantaggio della società verificata, neutralizzando il pericolo di perdite una volta garantita contrattualmente la certezza dei ricavi e dei costi in ragione dell’inserimento del personale in via esclusiva nel ciclo produttivo della FLOTT.

E’ poi totalmente mancata una chiara verifica della sussistenza di una “etero direzione” dei lavoratori da parte dell’appaltatrice, poichè la C.T.R. ha formulato un giudizio incompleto in ordine alla natura fittizia del rapporto, tralasciando l’esame degli elementi indicati dall’ufficio – e riportati nel secondo motivo di censura- per conclamare l’esistenza dell’interposizione che non appaiono inidonei secondo una valutazione prognostica ex ante ad incidere sul giudizio al quale era tenuto il giudice di appello.

Il giudice di merito, infatti, avrebbe dovuto verificare la sussistenza nella vicenda concreta dei presupposti che potessero giustificare la qualificazione del rapporto in termini di contratto di appalto sulla base di un’analisi specifica degli elementi addotti, per farne poi derivare la legittimità dell’attività di detrazione dell’IVA e di deduzione dei costi. In assenza di tale verifica, non venendo in discussione l’accertamento di fatto del giudice di merito ma, semmai, il deficit motivazionale che integra tanto il vizio di falsa applicazione di legge, che quello di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio correttamente prospettati dall’ufficio, la censura va accolta.

Sulla base delle superiori considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi esposti anche in memoria dalla controricorrente, il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.T.R. della Sicilia in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. della Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in cancelleria il 12 novembre 2018

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