Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2895 del 07/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/02/2020, (ud. 09/10/2019, dep. 07/02/2020), n.2895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24823-2018 proposto da:

C.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SARDEGNA 50,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RICCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LJUDMILA MASARACCHIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2985/18/2018 della COMMISSIONE TRIBTUARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata il

09/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PIERPAOLO

GORI.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 2985/18/17 depositata in data 9 agosto 2017 la Commissione tributaria regionale della Sicilia sez. staccata di Catania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 400/3/11 della Commissione tributaria provinciale di Catania che aveva parzialmente accolto il ricorso di C.N. relativo all’avviso di accertamento per II.DD. e IVA 1999. La ripresa traeva origine da controlli incrociati che, in relazione all’attività di impresa di riparatore di mezzi agricoli, oltre che di bracciante, sia pure in modo non costante e discontinuo negli anni, per il periodo di imposta avevano portato a determinare maggiori imposte sulla base di un accertamento induttivo puro del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, lett. d), ed art. 42;

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, -, il contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), e art. 41, per non aver la CTR, nel confermare la decisione di primo grado e così in parte l’accertamento dell’Agenzia, tenuto conto in ossequio al principio di capacità contributiva, dell’incidenza dei costi correlati ai maggior ricavi accertati;

– Con il secondo motivo di ricorso – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, -, il contribuente lamenta la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 241 del 1990, art. 3, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, per non aver la CTR, chiarito l’iter giuridico per l’accoglimento solo parziale del ricorso, senza indicazione dell’aliquota e delle imposte liquidate, al netto delle detrazioni e del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni, ferma restando la nullità dell’avviso per mancata riproduzione e produzione in giudizio delle fatture emesse dal ricorrente e reperite presso terzi;

– In primo luogo va osservato che i motivi non sono inammissibili come eccepito in via preliminare dall’Agenzia, perchè non diretti ad una mera rivalutazione del merito, ma a censurare le ivi indicate previsioni di legge che si assumono violate.

– Premesso che è condivisibile la motivazione della CTR sulla assoluta genericità delle contestazioni del contribuente in punto di carenza motivazionale dell’avviso con riferimento ai controlli incrociati al fine della verifica della corrispondenza delle fatture emesse con quelle rinvenute presso altra società e la eventuale alterazione delle stesse, la Corte reitera l’insegnamento secondo cui “In tema di accertamento induttivo cd. puro, l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anzichè quello netto.” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26748 del 23/10/2018, Rv. 651111 – 01; conforme a Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3995 del 19/02/2009 (Rv. 606915 – 01);

– Inoltre, la Consulta insegna che: “In caso di accertamento induttivo, si deve tenere conto – in ossequio al principio di capacità contributiva – non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati” (Corte Cost. n. 225 del 2005);

– Nel caso di specie, la sentenza opera una ricostruzione del fatto e del processo dettagliate, e dà atto dell’applicazione al contribuente di un metodo di accertamento analitico c.d. puro e della necessità di tener conto anche delle componenti negative di reddito nella ricostruzione dei maggiori ricavi, ed afferma pure che di questi è stato tenuto conto. Inoltre, la CTR ha condiviso le conclusioni cui era pervenuto il primo giudice “dopo aver svolto un adeguato ragionamento: (…) (sulla) ammissione di costi; (…) sui costi ammissibili, derivanti dall’attività di riparazione mezzi agricoli”.

– La CTR conferma così la sentenza della CTP di Catania che aveva riconosciuto costi nella misura del 15%. Quindi, i giudici di merito hanno tenuto conto dell’incidenza dei costi e li hanno quantificati come richiesto dalla Corte Costituzionale, nel rispetto del principio di capacità contributiva;

– Il secondo motivo, attinente alla motivazione dell’avviso di accertamento pè in parte inammissibile e in parte infondato. Le censure erano state portate avanti al giudice d’appello, e disattese dalla CTR come generiche, per aver l’avviso fatto riferimento ad un p.v.c. della G.d.F. che, invece, nella specie non sarebbe stato allegato nè conosciuto. Premesso che la CTR afferma che il p.v.c. sarebbe stato redatto dall’Agenzia delle entrate (un mero errore materiale), il giudice di appello afferma espressamente anche che il contribuente conosce il p.v.c. e questo è un accertamento in fatto non contestato, tale da rendere inammissibile il profilo di censura in esame. Quanto alle fatture, è sufficiente che siano indicati gli estremi, a maggior ragione in quanto l’emittente è lo stesso ricorrente, ai fini della adeguatezza della motivazione dell’atto impositivo;

– Pertanto, il ricorso va rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2020

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