Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28947 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 17/12/2020), n.28947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11339/2015 R.G. proposto da:

B.L., rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Marello, con

domicilio eletto in Roma, via Germanico n. 172, presso lo studio

dell’avv. Nicola Bultrini;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– intimata/costituita –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia Giulia n. 424/11/14, depositata il 27 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2020

dal Consigliere Enrico Manzon.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 424/11/14, depositata il 27 ottobre 2014, la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia accoglieva parzialmente l’appello proposto da B.L. avverso la sentenza n. 213/2/13 della Commissione provinciale tributaria di Trieste che ne aveva respinto i ricorsi contro gli avvisi di accertamento per imposte dirette ed IVA 2007/2010.

La CTR, per quanto in questo giudizio rileva, osservava in particolare che nella fattispecie, ancorchè limitatamente agli anni 2009/2010, sulla base degli elementi indiziari allegati dall’agenzia fiscale, come ritenuto dalla CTP triestina, si doveva affermare concretizzata un’ipotesi di “abuso del diritto”, consistita nel fatto che B.L. d’intesa con il padre B.D. aveva eluso il pagamento delle imposte dirette e dell’IVA in relazione ai ricavi derivantigli da un’attività di lavorazioni edili in esecuzione di contratti di appalto con un committente terzo (Amministrazione Stabili Tergeste srl) fittiziamente stipulati dal padre, così simulandosi un contratto di sub – appalto, essendone reale esecutore appunto il figlio, che quindi era, pro quota (50%), il titolare effettivo dei redditi e del volume di affari conseguente.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il B. deducendo tre motivi, poi illustrati con memoria.

L’Agenzia delle entrate si è costituita tardivamente al solo fine di poter partecipare alla discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art.39, poichè la CTR ha erroneamente qualificato la fattispecie come ipotesi di “abuso del diritto”, trattandosi invece di un caso che, in astratto, deve considerarsi sussumibile nella previsione normativa della prima disposizione legislativa evocata ossia di un caso di “interposizione fittizia” di persona.

La censura è in astratto fondata, ma, per le ragioni che si esporranno in relazione al secondo ed al terzo mezzo, essendo il dispositivo della pronuncia conforme a diritto questa Corte deve limitarsi a correggerne la motivazione in punto qualificazione giuridica della fattispecie concreta oggetto della controversia.

In effetti è corretto affermare che tale fattispecie non concretizza un’ipotesi di “abuso del diritto” e quindi di elusione fiscale, essendo contestato dall’Ente impositore non l'”uso distorto” di forme giuridiche reali, ma, appunto come sostiene il ricorrente, l’interposizione contrattuale di B.D. al ricorrente figlio stesso.

Va infatti ribadito che “Il mancato versamento delle imposte in relazione ad un negozio qualificato in modo giuridicamente corretto dall’amministrazione finanziaria integra un’ipotesi di evasione fiscale e non già di elusione, che ricorre quando uno strumento negoziale è utilizzato allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale mediante un uso distorto della normativa fiscale, sicchè non possono trovare applicazione le disposizioni di legge ed i principi elaborati dalla giurisprudenza, interna ed unionale, in tema di abuso del diritto” (Cass. n. 27550 del 30/10/2018, Rv. 651065 02), essendo piuttosto al caso di specie riferibile il principio di diritto – esplicativo della correlativa previsione normativa del TU sull’accertamento – secondo il quale “In tema di controllo delle dichiarazioni, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, è valido l’accertamento con il quale il fisco imputa al contribuente i redditi che siano formalmente di un soggetto interposto, quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, risulti che il contribuente ne sia l’effettivo titolare, senza che si debba distinguere tra interposizione fittizia o reale” (Cass. n. 27625 del 30/10/2018, Rv. 651079 – 02).

Dunque in questo senso deve essere corretta la motivazione della sentenza impugnata.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, dell’art. 2697 c.c., poichè la CTR, indipendentemente dalla qualificazione giuridica della fattispecie concreta (abuso del diritto o interposizione fittizia), comunque non ha correttamente applicato la regola dell’onere probatorio, sostanzialmente esonerandone l’agenzia fiscale, con particolare riguardo all’ipotesi patrocinata (interposizione fittizia) in ordine all’esistenza del contratto dissimulato, alla disponibilità (possesso) del reddito da parte dell’interponente ed alla consapevolezza del contraente terzo di assumere obblighi, anche, nei confronti dell’interponente.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 2697, e 2729 c.c., poichè la CTR ha basato il proprio convincimento soltanto sulle dichiarazioni di terzi (destinatari delle prestazioni di servizi de quibus) acquisite in sede istruttoria preprocessuale, così ad esse attribuendo valore di prova piena, invece che di meri indizi, come invece sancito dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e codificato nelle evocate disposizioni legislative.

Le censure, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondate.

Quanto al primo mezzo va ribadito che “La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5” (Cass. n. 19064 del 05/09/2006, Rv. 592634 01).

Nel caso di specie la CTR triestina non ha, erroneamente, ascritto l’onere di provare il fondamento delle pretese creditorie erariali al contribuente piuttosto che all’agenzia fiscale, bensì, correttamente, l’ha ritenuto a carico di quest’ultima, peraltro affermandone l’assolvimento ed argomentando adeguatamente al riguardo (in merito si sarebbe dovuta dunque spiegare la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – v. Cass. n. 13395 del 29/05/2018, Rv. 649038-01 – che non è stata proposta e che del resto non sarebbe stata ammissibile, stante la preclusione per “doppia conforme” ex art. 348 ter c.p.c.).

Quanto al secondo mezzo a ben vedere esso “maschera” una censura di merito ossia richiede, inammissibilmente una “revisione” del giudizio probatorio – fattuale operato dal giudice tributario di appello.

La CTR triestina ha chiaramente mostrato di conoscere la giurisprudenza di questa Corte, alla quale si è espressamente richiamata, ed ha quindi fatto applicazione del principio di diritto secondo il quale “Nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice” (Cass. n. 9080 del 07/04/2017, Rv. 643624 – 01).

Ed infatti ha, coerentemente e puntualmente, osservato che “Le testimonianze dei condomini rivestono i caratteri delle presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee ad essere poste a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, unitamente agli altri elementi acquisiti (dichiarazioni rese nel 2012 da due conoscenti di B.D. sulla sua inabilità al lavoro da circa otto anni; la medesima calligrafia, con i medesimi, errori, nelle fatture esaminate; il volume d’ affari di B.L. triplicato nel 2011, a causa del procedimento penale instauratosi per reati fiscali a carico di B.D.)”.

Non è dunque affatto vero che, in concreto, il giudice tributario di appello non abbia considerato anche “altri elementi” al fine di comporre il quadro indiziario e quindi fondare la presunzione semplice (ancorchè non di abuso del diritto, ma di interposizione fittizia) basante le riprese fiscali di cui agli avvisi di accertamento impugnati.

E che tale giudizio di merito sia stato compiuto adeguatamente lo evidenzia a contrario il fatto che la stessa CTR triestina ha escluso che tale prova presuntiva potesse considerarsi integrata per due delle annualità fiscali oggetto della lite (2007 – 2008), limitandola al 2009 – 2010.

Sicchè in definitiva, come detto, in realtà il ricorrente chiede a questa Corte un sindacato – che le è inibito – sul giudizio di fatto, non essendo stata proposta alcuna censura sulla motivazione della sentenza, peraltro non proponibile per il detto vincolo preclusivo della “doppia conforme”.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese stante l’assenza di reale difesa da parte dell’agenzia fiscale intimata, che si è limitata a costituirsi tardivamente ai soli fini dell’eventuale partecipazione alla discussione della causa.

PQM

La corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA