Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28944 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 17/12/2020), n.28944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3153/2014 R.G. proposto da:

C.S., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Augello,

con domicilio eletto in Roma, via Ulpiano n. 29, presso lo studio

dell’avv. Pietro Morrone;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– intimata costituita –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione staccata di Catania n. 464/34/12, depositata il 13

dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2020

dal Consigliere Enrico Manzon.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 464/34/12, depositata il 13 dicembre 2012, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, avverso la sentenza n. 194/9/10 della Commissione provinciale tributaria di Catania, che aveva accolto il ricorso di C.S. contro l’avviso di accertamento imposte dirette ed IVA 2003.

La CTR osservava in particolare che le dichiarazioni rese in sede di istruttoria amministrativa dal contribuente e da F.A. costituivano una base probatoria adeguata a fondare le pretese creditorie erariali, riguardanti l’omessa contabilizzazione e dichiarazione della somma di Euro 100.000 che, a mezzo assegni, il secondo aveva affermato aver corrisposto al primo a titolo di compensi per prestazioni professionali; rilevava inoltre la CTR siciliana che queste considerazioni erano assorbenti delle ulteriori difese ed eccezioni prospettate dalle parti.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il C. deducendo tre motivi, poi illustrati con memoria.

L’Agenzia delle entrate si è costituita tardivamente al solo fine di poter partecipare alla discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 (e 3), – il ricorrente – articolando due censure di legittimità, autonome e distinte – per un verso, denuncia la nullità della sentenza impugnata e la violazione/falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, poichè la CTR non ha pronunciato sulla sua eccezione – riproposta in appello anche quale contestazione dei motivi dell’agenzia fiscale appellante – di invalidità dell’avviso di accertamento impugnato perchè emesso ante tempus ossia prima dello scadere del termine di 60 giorni dalla comunicazione del PVC assegnato dalla disposizione legislativa evocata al contribuente per la formulazione eventuale di difese; per altro verso, configura tale eccezione come censura per violazione della evocata disposizione legislativa “statutaria”.

La prima censura è infondata.

Va infatti dato seguito al consolidato principio di diritto secondo il quale “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 – 01).

Nel caso di specie risulta evidente che, pronunciandosi sul meritum causae, il giudice tributario di appello abbia rigettato, appunto implicitamente, l’eccezione de qua.

Anche la seconda censura è infondata.

Va anzitutto rilevato in fatto che, diversamente da quanto afferma il ricorrente, soprattutto con le allegazioni esplicative della memoria depositata nelle more del giudizio, nel caso di specie non vi è stato accesso presso il contribuente, se non (il 13 ottobre 2008) al limitato ed ininfluente fine di comunicargli personalmente un invito a comparire, poi ottemperato il giorno successivo.

Questo – non altro – è scritto nel PVC allegato documentale n. 2 al ricorso, nè altrimenti si evince dal doc. 3 allegato al ricorso stesso, posto che in ogni caso trattasi di un PVC redatto a fini non fiscali (ma di sanzione amministrativa L. n. 197 del 1991, ex art. 1, comma 1, L. n. 197 del 1991, ex art. 5, comma 1: emissione di assegni “al portatore” per valore superiore ad Euro 12.500) e che quindi non può considerarsi rilevante in relazione all’eccezione in esame.

Diversamente da quanto afferma il ricorrente, nel caso in questione deve dunque affermarsi che l’avviso di accertamento impugnato è conseguito ad una verifica c.d. “a tavolino”, senza accesso presso il contribuente verificato.

Ne consegue in diritto la piena applicabilità dei principi di diritto affermati dalle SU di questa Corte, secondo i quali “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”” (Cass., Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605 – 01) e “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604 – C)1).

Pacifico quindi che l’avviso di accertamento de quo è stato emesso ante tempus (10 dicembre 2008; consegna del PVC al contribuente il 14 ottobre 2008), ciò tuttavia non viola la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, quanto alle imposte dirette (non armonizzate) ed implica la necessità che il contribuente offra invece la c.d. “prova di resistenza” relativamente all’IVA (armonizzata).

Quanto a quest’ultima può ritenersi che, pur sempre per implicito, in virtù delle proprie considerazioni di merito il giudice tributario di appello abbia escluso che in sede procedimentale il contraddittorio con il contribuente avrebbe potuto indurre l’agenzia fiscale a non emettere l’avviso di accertamento impugnato ovvero ad emetterlo in termini diversi e più favorevoli al contribuente stesso.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 – 3, – il ricorrente si duole di omesso esame di un fatto decisivo controverso e violazione/falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 241 del 1990, art. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, poichè la Commissione tributaria regionale, valorizzando ai fini decisorii elementi probatori acquisiti in sede istruttoria dalla Polizia tributaria, tra i quali principalmente le dichiarazioni di F.A., contenuti in appositi PVC che non erano stati nè trasfusi nè allegati all’atto impositivo impugnato nè prodotti in giudizio, ha così appunto violato le norme regolanti il contenuto motivazionale di detto atto e comunque omesso di esaminare la correlativa eccezione del ricorrente stesso.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 – 3, – il C. lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo controverso e la violazione/falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c., poichè la CTR non ha esaminato nella globalità le, contrastanti, dichiarazioni rese dal F. e da egli medesimo nel procedimento istruttorio.

Le censure, da esaminare congiuntamente per connessione, sono per certi versi inammissibili e comunque infondate.

In primo luogo va denegata la sussistenza dei dedotti vizi motivazionali, dovendosi ribadire che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).

E’ evidente che la sentenza impugnata non è affetta dalle gravi deficienze argomentative che, dopo la novella del paradigma impugnatorio dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, possono condurre alla sua cassazione.

Infatti la CTR siciliana ha chiaramente affermato che da un lato il F. ha dichiarato alla GdF di avere corrisposto nell’annualità fiscale de qua la somma complessiva di Euro 100.000 a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali, d’altro lato che il C. ha confermato di avere svolto prestazioni professionali per conto del F. in quella stessa annualità.

Sulla base di queste dichiarazioni “paratestimoniali” il giudice tributario di appello ha quindi affermato la sussistenza di indizi che, per gravità – precisione – concordanza, rendevano ammissibile la presunzione semplice che D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39,D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 56, fondava le pretese creditorie erariali.

Motivazione stringata dunque, ma essenziale e sicuramente non omessa.

Ovviamente non sono sindacabili in questa sede e nei termini proposti le scelte di merito in ordine alla rispettiva attendibilità delle due “versioni” del titolo della dazione di denaro in questione, pacificamente avvenuta, ed in particolare l’omessa – esplicita -considerazione della giustificazione, alternativa a quella del F., data dal C. ossia che non di pagamento di prestazioni professionali si trattasse, ma di mera cortesia di cambio degli assegni ricevuti dal F. e conseguente restituzione delle valute ricavate.

Va in tal senso dato seguito al principio di diritto che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 01) ed a quello analogo secondo il quale “Al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. n. 8767 del 15/04/2011, Rv. 617976 – 01).

Quanto poi al profilo del secondo, complesso, mezzo relativo alla carenza motivazionale dell’avviso di accertamento impugnato, bisogna rilevare in fatto che in tale atto impositivo si fa espresso richiamo al PVC del 16 (rectius, 14) ottobre 2008, pacificamente consegnato al C. e direttamente prodromico dell’atto impositivo medesimo; che in tale PVC è altrettanto chiaramente richiamato il PVC del 28 febbraio 2008, relativo a contestazioni non tributarie, ma nel quale sono riportate sia le dichiarazioni rese da F.A. sia quelle dello stesso C. (verbale del 12 ottobre 2004).

Era dunque del tutto chiaro al contribuente che l’avviso di accertamento relativo all’annualità 2003 avesse ad oggetto una contestazione specifica che già da tempo gli era nota, ancorchè gli fosse stata contestata per altre ragioni di responsabilità non tributaria (normativa antiriciclaggio).

Non può pertanto ritenersi fondata la censura di violazione/falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 241 del 1990, art. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, posto che nella motivazione dell’atto impositivo impugnato si sono comunque richiamati atti già comunicati al C. ovvero dei quali egli era già a conoscenza ovvero, per quanto riguarda specificamente le dichiarazioni “accusatorie” del F., ne era riportato il “contenuto essenziale” (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, u.p.,; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, secondo periodo; cfr. Cass. n. 32127 del 12/12/2018, Rv. 651783 – 01; Cass. n. 29002 del 05/12/2017, Rv. 646527 – 01; Cass. n. 9323 del 11/04/2017, Rv. 643954 – 01).

Va infine rilevato che nemmeno sussiste la dedotta violazione/falsa applicazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c., in relazione al giudizio dato dalla CTR siciliana sulle fonti probatorie utilizzate ai fini decisionali (essenzialmente le dichiarazioni del F. e del C., unitamente al fatto, si ribadisce pacifico ed accertato, dell’avvenuta consegna dei titoli), apparendo la sentenza impugnata coerente con il principio di diritto che “Nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla polizia tributaria nel corso di un’ispezione e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore meramente indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice, qualora confortate da altri elementi di prova. Tuttavia, tali dichiarazioni del terzo possono, nel concorso di particolari circostanze ed in ispecie quando abbiano valore confessorio, integrare non un mero indizio, ma una prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2729 c.c., idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria” (Cass. n. 9876 del 05/05/2011, Rv. 617655 – 01) e non essendo tale giudizio ulteriormente sindacabile nel merito da parte di questa Corte.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese stante l’assenza di reale difesa da parte dell’agenzia fiscale intimata, che si è limitata a costituirsi tardivamente ai soli fini dell’eventuale partecipazione alla discussione della causa.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Dichiara l’obbligo al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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