Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28943 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 17/12/2020), n.28943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 15202/2013 proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Automax srl, in persona del legale rappresentante pro tempore,

D.V.V., rappresentati e difesi dall’avv. Giovanni Antonio Cillo,

con domicilio eletto in Roma, via Vito Giuseppe Galati n. 100/C,

presso lo studio dell’avv. Enzo Giardiello;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione staccata di Salerno, n. 260/04/12, depositata il 3

maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2020

dal Consigliere Enrico Manzon.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 260/04/12, depositata il 3 maggio 2012, la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, avverso la sentenza n. 295/05/2010 della Commissione provinciale tributaria di Avellino, che aveva accolto il ricorso della Automax srI e di D.V.V. in proprio contro l’avviso di accertamento per imposte dirette ed IVA 2006.

La CTR osservava in particolare che le riprese di cui all’atto impositivo impugnato erano infondate, rilevando specificamente che il differenziale negativo tra costo di acquisto di autovetture usate e prezzo di rivendita trovava giustificazione in una politica aziendale volta a promuovere la vendita di auto nuove in relazione alla quale erano appunto permutate quelle usate, essendovi l’evidenza probatoria della convenienza di questo tipo di scelta gestionale; che le spese di manutenzione e riparazione erano state legittimamente dedotte nell’esercizio de quo, poichè il loro ammontare era inferiore al limite (5%) previsto dall’art. 102 TUIR, comma 6; infine che altrettanto legittima doveva considerarsi la deduzione delle spese di sponsorizzazione (Euro 6.000) e ristorazione (Euro 3.316), essendo di ammontare irrisorio (0,24%) rispetto al volume di affari.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo quattro motivi.

Resistono con controricorso i contribuenti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la sentenza impugnata per vizio motivazionale in punto “antieconomicità” dell’acquisto/rivendita di vetture usate da parte della Automax.

La censura è inammissibile.

Va ribadito che “La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione” (Cass., n. 19547 del 04/08/2017, Rv. 645292 – 01).

Nel caso di specie il giudice tributario di appello in modo del tutto appropriato e congruo ha argomentato circa il rilievo de quo, in particolare osservando che, pur vero che vi è uno sbilancio negativo (Euro 64.880) tra costi di acquisto e prezzi di rivendita delle auto usate, tale fatto gestionale era ampiamente compensato dagli utili derivanti dalla vendita di vetture nuove ai clienti permutanti dette auto usate (Euro 112.042,58), il che a suo insindacabile giudizio di merito costituiva ragione economica valida a giustificare la scelta di sopravalutare quest’ultime.

Peraltro non trova adeguato supporto in punto di autosufficienza la correlata critica contenuta nella censura in esame secondo la quale la CTR campana avrebbe dovuto comunque valutare l'”economicità” (negata) della gestione in termini generali e con riguardo alla percentuale di ricarico.

Non vi è infatti nel ricorso un’allegazione adeguata in ordine al “luogo” processuale nel quale tale argomentazione sia stata introdotta nel giudizio e ciò inibisce comunque alla Corte di prendere validamente in esame tale profilo della censura.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione rispettivamente dell’art. 108 TUIR, comma 3, e dell’art. 102TUIR, comma 6, poichè la CTR ha affermato l’infondatezza del rilievo e relativo motivo di appello riguardante la deduzione di spese di manutenzione straordinaria di beni di terzi.

La censura è infondata.

E’ pacifico in fatto che si tratta di alcune fatture passive originanti costi dedotti per lavori di manutenzione di immobili aziendali della società contribuente, ma di proprietà di terzi.

Quindi anzitutto ne deriva che, almeno in astratto, tale fatto economico è sussumibile nella previsione normativa di cui all’art. 102 TUIR, comma 6, secondo la quale “Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento, e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili..”.

Di contro non può ritenersi alternativamente applicabile la disposizione di cui all’art. 108 TUIR, comma 3, vigente ratione termporis, come patrocinato dall’Avvocatura erariale, trattandosi di previsione normativa generale/residuale (“..altre spese relative a più esercizi..”) e quindi in virtù del principio ermeneutico di specialità.

Peraltro va soggiunto che il giudice tributario di appello ha accertato in fatto che i costi de quibus rispettano il limite quantitativo fissato dalla prima disposizione legislativa citata.

Ed infine sul punto va rilevato che non può attribuirsi effetto escludente l’applicabilità della stessa il fatto, come detto pacifico, che si tratti di costi afferenti a beni di proprietà di terzi.

Va infatti ribadito che “L’esercente attività d’impresa o professionale può dedurre dai redditi d’impresa i costi occorsi per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di un immobile condotto in locazione, anche se si tratta di un bene di proprietà di terzi, purchè sussista il requisito dell’inerenza, avente valenza qualitativa, e quindi da intendersi come nesso di strumentalità, anche solo potenziale, tra il bene e l’attività svolta” (Cass. n. 23278 del 27/09/2018, Rv. 650692 – 01).

Con il terzo motivo ed il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 – 5, – l’agenzia fiscale ricorrente si duole delle violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 109TUIR, e di vizio motivazionale, poichè la CTR ha affermato l’inerenza di costi (Euro 6.000 + 3.616) di sponsorizzazione e di ristorazione, appunto in spregio dell’onere probatorio gravante sulla contribuente per effetto del combinato disposto delle citate previsioni legislative e comunque con motivazione omessa/insufficiente.

Le censure, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondate.

La CTR campana in merito a tale ripresa fiscale si è limitata ad osservare che “Anche le spese ritenute non inerenti dall’ufficio, pari ad Euro 9.316,00, devono trovare accoglimento tenuto conto della documentazione. Trattasi in effetti di una sponsorizzazione di Euro 6.000 e spese di ristorante per Euro 3.316 che complessivamente rientrano nelle spese deducibili anche tenuto conto della irrisorietà delle stesse pari allo 0,24% del volume di affari”.

Appare dunque manifesto che il giudice tributario di appello non ha considerato con il necessario rigore l’onere probatorio gravante sulla contribuente, secondo il consolidato principio di diritto che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (Cass., n. 13300 del 26/05/2017, Rv. 644248 – 01).

La “non sproporzione” dei costi in questione non può dunque essere l’unico criterio valutativo di tale onere processuale e quindi, comunque, la motivazione della sentenza impugnata risulta sul punto gravemente carente e quantomeno “non sufficiente” secondo lo standard normativo della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione previgente, applicabile ratione temporis.

In conclusione, accolti il terzo ed il quarto motivo del ricorso, rigettati il primo ed il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR per nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La corte accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA