Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28941 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 17/12/2020), n.28941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25877 del ruolo generale dell’anno 2014,

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

s.r.l. IOS, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del

controricorso, dall’avv. Livia Salvini, presso lo studio della quale

in Roma, al viale Giuseppe Mazzini, n. 11, elettivamente si

domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata in data 8 luglio 2014, n.

6783/46/14;

sentita la relazione svolta dal consigliere Angelina-Maria Perrino

nella pubblica udienza del 13 ottobre 2020;

sentita la Procura generale, in persona del sostituto procuratore

generale Roberto Mucci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

sentiti l’avvocato dello Stato Rocchitta Giammario per l’Agenzia

delle entrate e l’avv. Davide De Girolamo per delega dell’avv. Livia

Salvini per la società.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Emerge dalla sentenza impugnata che, per i profili ancora d’interesse, l’Agenzia delle entrate contestò alla s.r.l. Casa di Cura Me., successivamente denominata s.r.l. IOS, l’omessa applicazione dell’iva, con l’aliquota del 20%, in relazione alle prestazioni diagnostiche rese nei confronti di pazienti di altra struttura sanitaria, la s.p.a. Co..

A giudizio dell’Agenzia, si ricostruisce nella sentenza impugnata, difatti, potevano beneficiare dell’esenzione prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, comma 1, n. 18, le sole prestazioni rese da un centro diagnostico per il tramite dei propri medici e delle proprie attrezzature.

La contribuente impugnò il relativo avviso di accertamento, senza successo in primo grado.

Di contro la Commissione tributaria regionale ne ha accolto l’appello.

A sostegno della decisione si è considerato che la prestazione resa da una clinica a un paziente attraverso l’intermediazione di altra struttura è senz’altro esente da iva qualora, come nel caso in esame, il fine oggettivo di essa sia quello di tutelare, mantenere o ristabilire la salute, nell’ottica di un’offerta efficiente del servizio.

Contro questa sentenza propone ricorso principale l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui la società risponde con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Col primo motivo del l’Agenzia lamenta la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2, e art. 10, comma 1, n. 18, in quanto sostiene che, per poter svolgere l’attività sanitaria convenzionata in regime di esenzione è necessario che la struttura abbia a disposizione il personale qualificato per le tipologie di attività svolte e che non è possibile generalizzare il tipo di intermediazione, prescindendo dal requisito dell’accessorietà rispetto alle prestazioni esenti; sicchè l’attività compiuta dalla contribuente, consistita nel garantire ai pazienti della Co. consulenze, poi tradottesi nello svolgimento delle attività diagnostiche, non godrebbe di esenzione dall’iva.

Il motivo è infondato, anche se occorre correggere la motivazione della sentenza impugnata.

1.1.- L’esenzione della quale si discute è quella contemplata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 18, che si riferisce alle “prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’art. 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze”, in combinazione, peraltro, con quella prevista dal successivo n. 19, concernente “le prestazioni di ricovero e cura rese da enti ospedalieri o da cliniche e case di cura convenzionate… “.

La normativa interna va interpretata alla luce di quella unionale e, in particolare, della direttiva Iva, art. 132, il quale stabilisce che “Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: b) l’ospedalizzazione e le cure mediche nonchè le operazioni

ad esse strettamente connesse, assicurate da enti di diritto pubblico oppure, a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per i medesimi, da istituti ospedalieri, centri medici e diagnostici e altri istituti della stessa natura debitamente riconosciuti;

c) le prestazioni mediche effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dallo Stato membro interessato”.

1.2. – Il riconoscimento dell’esenzione richiede, dunque, sotto il profilo soggettivo, che le prestazioni siano rese dai soggetti qualificati enumerati dalla normativa unionale e da quella interna, nonchè, sul piano oggettivo, che esse rientrino nel novero di quelle sanitarie per le quali sia ravvisabile la finalità perseguita dalle norme di esenzione, che è quella di agevolare l’accesso a determinate prestazioni nonchè la fornitura di determinati beni evitando i maggiori costi che deriverebbero dal loro assoggettamento all’iva (Corte giust 20 novembre 2019, causa C400/18, Infohos, punto 37).

2. – Nel caso in esame, ha accertato il giudice d’appello, sia la s.p.a. Co., sia la Casa di Cura Me. (attualmente denominata IOS) all’epoca dei fatti erano strutture convenzionate col servizio sanitario nazionale, quindi in regime di accreditamento, ed entrambe rispondevano alle due condizioni al ricorrere delle quali è riconosciuta l’esenzione, ossia “…che si tratti di prestazioni mediche e che esse siano fornite da persone in possesso delle qualifiche professionali richieste”.

Sicchè inammissibile, perchè in contrasto con un accertamento di fatto destinato a restar fermo, perchè non censurato, è l’affermazione, contenuta in ricorso, che “… la società (già Casa di Cura Me. s.r.l.) eroga servizi connessi anche a prestazioni radiologiche, senza tuttavia possedere i mezzi adeguati ed il personale specializzato”.

2.1.- Il regime di accreditamento delle due strutture sanitarie comporta che entrambe fossero inserite in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della pubblica amministrazione, assumendo la qualifica di soggetti erogatori di un servizio pubblico (Cass., sez. un., 18 giugno 2019, n. 16336), soggetti al potere di vigilanza e di controllo sulla congruità e sull’appropriatezza del servizio reso (Cass., sez. un., 27 novembre 2019, n. 31029) e in base a tariffe predeterminate.

Nel sistema di accreditamento istituzionale del servizio sanitario nazionale, introdotto col D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, difatti, alle regioni spetta il compito di fissare il tetto massimo delle tariffe da corrispondere nel proprio territorio ai soggetti erogatori di servizi sanitari, in conformità delle linee guida espresse dal Ministero della sanità, laddove la singola azienda sanitaria locale ha il compito di negoziare con i soggetti accreditati l’effettiva remunerazione massima attribuibile, costituita dalla tariffa regionale, al fine di favorire le condizioni migliori per l’effettuazione delle prestazioni in rapporto alle risorse assegnate.

Sicchè non soltanto l’accesso alla qualifica di erogatore del servizio è mediata da un provvedimento concessorio, sia pure a contenuto legislativamente regolamentato, ma nessuna erogazione di prestazione sanitaria finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile in mancanza di un provvedimento amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli, specifici rapporti contrattuali (Cass., sez. un., 14 gennaio 2015, n. 473).

2.2. – Il potere di controllo e di vigilanza, in particolare, distingue le strutture accreditate dagli ospedali “classificati”, la gestione dei quali resta interamente privata (come evidenziato da Corte giust. 18 ottobre 2018, causa C-606/17, s.r.l. Iba Molecular Italy).

2.3. – Sotto il profilo soggettivo, dunque, il regime di accreditamento risponde ai principi fissati dalla giurisprudenza unionale (fissati da Corte giust. 5 marzo 2020, causa C-211/18, Idealmed III – Servigos de Saúde SA) secondo i quali la direttiva Iva, art. 132, paragrafo 1, lett. b), deve essere interpretato nel senso che le autorità competenti di uno Stato membro possono prendere in considerazione, al fine di determinare se prestazioni di assistenza fornite da un istituto ospedaliero privato, che rivestono interesse generale, siano assicurate a condizioni sociali analoghe a quelle vigenti per gli enti di diritto pubblico, ai sensi della stessa disposizione, il fatto che tali prestazioni siano fornite in base ad accordi conclusi con le autorità pubbliche di tale Stato membro, ai prezzi fissati da tali accordi, i cui costi sono in parte a carico degli istituti di previdenza sociale di tale Stato membro.

Per quest’aspetto, dunque, va corretta la sentenza impugnata, là dove si sostiene la totale irrilevanza del regime di “convenzionamento”.

In definitiva, ricorre nel caso in esame la condizione soggettiva dell’esenzione, in quanto la prestazione è stata resa da una casa di cura convenzionata col servizio sanitario nazionale e, in base all’accertamento contenuto in sentenza, da persone in possesso delle qualifiche professionali richieste.

3. – Quanto, poi, all’aspetto oggettivo, la giurisprudenza unionale ha già incluso le prestazioni diagnostiche nel novero di quelle esentate, giustappunto in considerazione dell’obiettivo di ridurre il costo delle spese sanitarie (Corte giust. 8 giugno 2006, causa C-106/05, L.U.P. GmbH, punto 29).

E ciò anche alla luce del principio di neutralità fiscale, in virtù del quale prestazioni di servizi di uno stesso tipo, che si trovano quindi in concorrenza, non possono essere trattate in maniera diversa ai fini dell’iva (tra varie, Corte giust. 23 ottobre 2003, causa C-109/02, Commissione/Germania, punto 20; lo ribadisce, da ultimo, Corte giust. 5 marzo 2020, causa C-48/19).

3.1. – Poichè le analisi mediche rientrano nell’ambito delle prestazioni sanitarie e, prima ancora, nella nozione di “cure mediche” e di “prestazioni mediche” previste dalla direttiva Iva n. 2006/112/CE, art. 132, par. 1, lett. b) e c), il laboratorio che le svolga non può che essere considerato un istituto “della stessa natura” degli “istituti ospedalieri” e dei “centri medici e diagnostici” ai sensi della disposizione unionale.

4. – In questo contesto, ancora la giurisprudenza unionale ha smentito la tesi dell’Agenzia secondo la quale soltanto le analisi mediche eseguite da laboratori per conto di pazienti nell’ambito di un rapporto contrattuale diretto con questi ultimi rientrerebbero nella sfera d’applicazione dell’esenzione.

La Corte di giustizia ha difatti stabilito, con riguardo alla trasmissione di prelievi da parte di laboratori per effettuare analisi mediche, che è indifferente, ai fini dell’applicazione dell’esenzione, che il laboratorio che esegua il detto prelievo proceda anche alle analisi, oppure demandi l’incarico a un altro laboratorio pur restandone responsabile verso il paziente, o, ancora, sia costretto a trasmettere il prelievo a un laboratorio specializzato (Corte giust. 11 gennaio 2001, causa C-76/99, Commissione/Francia, punto 28).

4.1. – E, anche da ultimo (Corte giust. 18 settembre 2019, causa C-700/17, Peters), quella Corte ha ribadito che sebbene il criterio di delimitazione delle fattispecie di esenzione contemplate dall’art. 132, paragrafo 1, lettere b) e c) della direttiva iva, non sia ancorato alla natura della prestazione, bensì al luogo di erogazione di essa, la prestazione medica fornita al di fuori di strutture pubbliche o equiparate può essere comunque esentata dall’iva.

5. – A ogni modo, emerge dalla giurisprudenza unionale, ai fini dell’identificazione della fattispecie di esenzione, non rileva la circostanza che la prestazione non sia stata fornita nell’ambito di un rapporto di fiducia tra paziente e prestatore.

Allora, la circostanza che la contribuente abbia agito su incarico della Co. è irrilevante ai fini del riconoscimento dell’esenzione.

L’intermediazione sulla quale punta l’Agenzia in ricorso (derivante dall’incarico) si traduce in realtà in un mandato senza rappresentanza, al quale è riservato uno specifico trattamento ai fini dell’iva in base alla sesta direttiva, art. 6, paragrafo 4, (corrispondente al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3), in virtù del quale qualora un soggetto passivo che agisce in nome proprio ma per conto altrui partecipi ad una prestazione di servizi, si riterrà che egli abbia ricevuto o fornito tali servizi a titolo proprio.

La disposizione crea quindi la finzione giuridica di due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente, per effetto della quale l’operatore che partecipa alla prestazione di servizi, cioè il mandatario, si ritiene che abbia ricevuto, in un primo tempo, i servizi in questione dall’operatore per conto del quale agisce, cioè il mandante, prima di fornire, in un secondo tempo, personalmente tali servizi al cliente (in termini, Cass. 18 dicembre 2013, n. 28285; 23 ottobre 2013, n. 23899; 23 novembre 2018, n. 30360, laddove la successiva Cass. 29 settembre 2020, n. 20591 si riferisce all’ipotesi speculare di mandato volto a ricevere da società fornitrici prestazioni da erogare a terzi beneficiari). Dunque, per quel che concerne in questo caso il rapporto giuridico tra mandante e mandatario, in un caso come quello in esame “…il loro ruolo rispettivo di prestatore di servizi e di pagatore è artificialmente invertito ai fini dell’IVA” (Corte giust. 14 luglio 2011, C-464/10, Tiercè Franco-Belge S.A., punto 35).

5.1. – Sicchè se la prestazione di servizi a cui un operatore partecipa è soggetta all’iva, (anche il rapporto giuridico tra tale operatore e quello per il quale agisce (v., in tal senso, Corte giust. in causa C-274/15, cit., punto 87).

E altrettanto vale per l’ipotesi in cui si discuta di attività esente.

Il motivo va per conseguenza respinto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:

“In tema di iva, va riconosciuta l’esenzione alle prestazioni consistenti in analisi di laboratorio espletate da una struttura accreditata col servizio sanitario nazionale nell’interesse di pazienti di altra struttura accreditata e su incarico di questa”.

6. – Inammissibile è poi il secondo motivo del ricorso, col quale l’Agenzia denuncia l’omesso esame del fatto costituito dalla genericità delle fatture emesse dalla clinica Me.

E ciò perchè il fatto indicato non è decisivo.

6.1. – Indubbiamente la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (direttiva n. 2006/112, art. 226, punto 6, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonchè della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi.

La ratio di queste prescrizioni sta nell’esigenza di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA.

6.2. – Ciononostante, ha precisato la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobilièrios e Turisticos SA), l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dalla direttiva 2006/112, art. 219, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale (ne fanno applicazione, nella giurisprudenza interna, Cass. 6 ottobre 2017, n. 23384 e 14 novembre 2018, n. 29290).

6.3. – Sicchè di per sè la genericità delle fatture lamentata dall’Agenzia si rivela insignificante, soprattutto ove si consideri che si legge nel processo verbale di constatazione riportato in ricorso dell’esibizione di una nota esplicativa a margine di due elenchi riepilogativi delle prestazioni svolte dalla clinica Me negli. anni 2007 e 2008, il contenuto della quale, peraltro, non è neanche riprodotto.

Anche questo motivo va quindi respinto.

7. – Il ricorso va quindi respinto.

La relativa novità della questione comporta, tuttavia, la compensazione delle spese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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