Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28939 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. II, 27/12/2011, (ud. 07/12/2011, dep. 27/12/2011), n.28939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ANALYTICAL CONTROL SPA (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato BARBANTINI MARIA

TERESA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MENGHINI

ATHOS;

– ricorrente –

contro

UNILAB DI FANTI ANTONIO RAFFAELE in persona del legale rappresentante

pro tempore;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1888/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Maria Teresa BARBANTINI, difensore del ricorrente

che ha chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 12.1009 l’Analitycal Control spa, citava avanti al tribunale di Monza, la Unilab sas, e, premesso di avere ricevuto un reso non autorizzato costituito da due macchine centrifughe vendute alla convenuta, chiedeva che, previo accertamento dell’ingiustificato recesso dell’acquirente, quest’ultima fosse condannata al risarcimento dei danni, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Radicatosi il contradditorio, la convenuta costituendosi, chiedeva il rigetto della domanda attrice e, in via riconvenzionale, la condanna di controparte al risarcimento dei danni per l’irregolare esecuzione del contratto, assumendo che la macchina in questione non era in grado di effettuare alcune specifiche operazioni (addizione automatica del siero per il test Coobs). Espletata l’istruttoria, l’adito tribunale con sentenza in data 23.6/2.7.2001 riteneva che il contratto fosse sciolto per mutuo consenso delle parti, ma condannava ugualmente la società convenuta al pagamento di L. 9.463.315, pari alla somma non recuperata dall’attrice a seguito dell’avvenuta restituzione dell’apparecchiatura alla sua fornitrice americana, aumentata delle spese sostenute e dalla rivalutazione.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Unilab sas, rilevando che la macchina in questione non aveva le caratteristiche convenute e che la risoluzione del contratto per mutuo consenso non poteva comportare il risarcimento dei danni in favore di una delle parti.

Costituitasi l’appellata, l’adita Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 1888/05, depos. in data 18.7.05, in riforma dell’impugnata decisione, rigettava le domande proposte dalle parti, compensando le spese del grado. La corte milanese, pur ritenendo che nella fattispecie non era configurabile la risoluzione del contratto per mutuo consenso delle parti, rigettava la domanda dell’Analitycal Control spa, per non aver provato, la medesima, l’impossibilità di collocare l’apparecchiatura sul mercato ad un prezzo superiore a quello al quale l’aveva poi rivenduta alla fornitrice americana, “sicchè la somma di L. 5000.000 richiesta a quel titolo non poteva essere riconosciuta”.

Avverso la suddetta decisione la l’Analitycal Control spa ricorre per cassazione sulla base di una censura. Resiste con controricorso l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico complesso motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123,1127,1453, e 1455 c.c. c.p.c. nonchè vizio di motivazione su punti decisivi.

Lamenta che la corte distrettuale abbia preteso la prova dell’impossibilità di collocare l’apparecchiatura sul mercato ad un prezzo superiore a quello a quale l’aveva poi rivenduta alla tornitrice americana. In realtà essa Corte aveva omesso di motivare il diniego dell’accoglimento della domanda attrice o aveva errato nel motivare tale richiesta quale somma pretesa a titolo di risarcimento danno per inadempimento. Invero, la compratrice inadempiente era tenuta all’obbligo del pagamento della somma pattuita per la vendita, oltre al risarcimento del danno conseguente all’adempimento stesso.

In termini economici della vertenza, la venditrice avrebbe dovuto ottenere, pertanto, il pagamento integrale della somma complessiva di L. 23.093.280, oltre, a titolo di risarcimento, gli interessi legali sui ritardo e la rivalutazione monetaria a causa del reimpiego delle somme. La doglianza appare fondata.

Deve precisarsi in premessa che, in relazione ad un giudizio per inadempimento contrattuale come quello in esame, deve ritenersi che la domanda di risarcimento danni presupponga quella di risoluzione del contratto, che può ritenersi proposta anche se non espressa con formula “sacramentale”, perchè nel contenuto della domanda originaria ad essa viene fatto espresso riferimento (Cass. Sez. 2, n. 3012 del 10/02/2010).

Ciò posto, ne deriva che “ai sensi dell’art. 1453 c.c., la domanda proposta per la risoluzione di un rapporto contrattuale, in relazione all’inadempimento della controparte, non preclude alla parte non inadempiente il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni, commisurato, ex art. 1223 c.c. all’incremento patrimoniale netto che avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto, escluso il pregiudizio che lo stesso danneggiato avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza” (Cass. Sez. L, n. 3598 de 15/04/1994). Invero la S.C. ha più volte statuito il principio per il quale, in caso di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento del compratore, il danno va commisurato all’incremento patrimoniale netto che il venditore avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto (Cass. n. 4473 del 28/03/2001). Nel caso di specie questo non si è certo verificato perchè il danno non poteva identificarsi con la sola differenza di prezzo tra quello pattuito con l’acquirente inadempiente e quello realizzato da una successiva vendita della “res” a terzi.

Quanto poi alla “rivalsa” nei confronti del compratore dell’IVA pagata dal venditore che abbia emesso la fattura per il prezzo pattuito, il venir meno dell’obbligo del compratore di versare al debitore l’imposta da questi versata al fisco è correlata alla dimostrazione, incombente sull’acquirente, dell’avvenuto “recupero” dell’IVA da parte dell’alienante mediante la detrazione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26.

Conclusivamente si ritiene di dover accogliere il ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese processuali di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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