Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28939 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 17/12/2020), n.28939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 24054/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– ricorrente –

contro

GRUPPO ILLY S.P.A., in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale, dagli avv.ti Mario Cannata e Cinzia Angelico,

con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via della

Mercede, n. 11;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1072/21/14 della Commissione Tributaria

regionale del Lazio depositata il 21 febbraio 2014;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 8 ottobre 2020

dal Consigliere Dott. Condello Pasqualina Anna Piera;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso principale e l’inammissibilità o, in

subordine, rigetto del ricorso incidentale;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Davide Giovanni

Pintus;

udito il difensore della parte controricorrente e ricorrente

incidentale, avv. Massimo Desiderio, per delega dell’avv. Mario

Cannata.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Gruppo Illy s.p.a., in data 7 giugno 2005, esercitava la opzione per la tassazione di gruppo, a norma dell’art. 117 del D.P.R. n. 917 del 1986, limitatamente alle società Illycaffè s.p.a., Illy Bar Concept s.p.a. e Bar Finance International s.p.a.

In data 8 gennaio 2008 comunicava, tramite il modello cd. CNM 2008, ricevuto telematicamente dalla Agenzia delle entrate, che anche la società Domori s.p.a. intendeva aderire al consolidato con effetto dall’anno d’imposta 2007; in data 3 giugno 2008, rinnovava l’originaria opzione per il triennio 2008-2010, con le medesime società (Illycaffè s.p.a., Illy Bar Concept s.p.a. e Bar Finance International s.p.a.).

2. Con istanza di rimborso presentata in data 19 febbraio 2010, la Illy s.p.a., in qualità di consolidante, chiedeva la restituzione dell’importo di Euro 899.321,00 a titolo di maggiore IRES versata in relazione all’anno d’imposta 2007, deducendo che in sede di liquidazione era incorsa in errore materiale, avendo quantificato il reddito imponibile senza computare il risultato fiscale negativo conseguito dalla consolidata Do. s.p.a., per effetto del quale l’IRES dovuta dal gruppo ammontava ad Euro 2.956.046,00, importo inferiore a quello dichiarato di Euro 3.752.369,00.

3. In data 30 novembre 2011 l’Agenzia delle entrate notificava provvedimento di diniego di rimborso, nel quale evidenziava che la dichiarazione di adesione al consolidato nazionale della Do. s.p.a. non poteva operare per l’anno 2007, essendo la comunicazione pervenuta solo in data 9 gennaio 2008 e, dunque, tardivamente dopo la scadenza del termine di cui all’art. 119 T.U.I.R., comma 1, lett. d).

4. Proposti due distinti ricorsi avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione finanziaria ed avverso il provvedimento di diniego espresso, nel corso del giudizio la contribuente depositava documentazione comprovante l’adesione alla sanatoria di cui al D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 2, comma 1, convertito dalla L. n. 44 del 2012, nonchè il pagamento della relativa sanzione, al fine di regolarizzare la violazione concernente la tardiva adesione della Do. s.p.a. al consolidato fiscale.

La Commissione tributaria provinciale di Roma, dando atto della intervenuta sanatoria, previa riunione, accoglieva i ricorsi con sentenza che veniva impugnata dall’Ufficio.

5. La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza in questa sede impugnata, rigettava il gravame.

Riteneva, in particolare, che l’utilizzo del ravvedimento operoso avesse sanato il ritardo nella presentazione della comunicazione effettuata in data 8 gennaio 2008, atteso che il D.L. n. 16 del 2012, art. 2, comma 1, poneva come condizione essenziale per la sua efficacia che non fosse scaduto il termine di presentazione della prima dichiarazione utile, che, nella specie, spirava il 30 giugno 2008.

6. L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza d’appello, con due motivi, ulteriormente illustrati con memoria. La contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, con un unico motivo, ulteriormente illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale la difesa erariale deducendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 2, comma 1, convertito dalla L. n. 44 del 2012, nonchè dell’art. 11 preleggi, censura la decisione impugnata laddove la Commissione regionale ha ritenuto che la sanatoria in esame possa trovare applicazione retroattiva, poichè tale interpretazione contrasta con la lettera e con la ratio della norma.

A sostegno della doglianza richiama la circolare n. 38/E del 28 settembre 2012 e sottolinea che la norma introduce una particolare forma di ravvedimento operoso (c.d. remissio in bonis) volto ad evitare che mere dimenticanze relative a comunicazioni, ovvero ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente, precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali. Non può ammettersi, quindi, una adesione retroattiva, soprattutto in relazione ad annualità per le quali, al momento di entrata in vigore della sanatoria, erano ormai scaduti i termini di accertamento e che la sanatoria, così come strutturata, risultava applicabile esclusivamente agli adempimenti omessi a partire dal 2011 e non per gli anni pregressi, in conformità al principio generale di irretroattività delle leggi, stabilito dall’art. 11 preleggi.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale censura, sotto altro profilo, la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 1, comma 1, convertito dalla L. n. 44 del 2012, lamentando che i giudici di appello hanno ritenuto applicabile la sanatoria “senza la minima verifica dei presupposti indicati dalla norma per la sua operatività”.

Richiamando, al riguardo, la Relazione illustrativa al D.L. n. 16 del 2012, precisa che essa esclude che il beneficio possa essere fruito o il regime applicato nelle ipotesi in cui il tardivo assolvimento dell’obbligo di comunicazione ovvero dell’adempimento di natura formale rappresenti un mero ripensamento, ovvero una scelta a posteriori basata su ragioni di opportunità. Nel caso di specie, ad avviso della ricorrente, il comportamento tenuto dalla contribuente non presentava i prescritti requisiti, dato che la Illy s.p.a. non aveva curato tempestivamente l’adempimento formale, nè aveva tenuto un comportamento concludente, avendo presentato la dichiarazione relativa all’anno 2007 senza considerare nel perimetro del consolidato la Do. s.p.a.

3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, la società contribuente deduce omessa pronuncia in relazione all’art. 112 c.p.c. e si duole che i giudici regionali, nella motivazione della sentenza impugnata, si sono limitati a dichiarare l’applicabilità retroattiva della sanatoria di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 2, comma 1, ritenendo evidentemente sussistenti i presupposti per la adesione, ma omettendo di pronunciarsi espressamente sulla questione della illegittimità del diniego opposto dall’Agenzia delle entrate al rimborso invocato, sebbene tale eccezione fosse stata sollevata nel giudizio di primo grado e fosse stata riproposta nel giudizio di appello.

4. Va, preliminarmente, disattesa la eccezione di inammissibilità dei mezzi dedotti dall’Ufficio, fatta valere dalla parte controricorrente, considerato che l’Agenzia delle entrate non lamenta la mancata applicazione, da parte della Commissione regionale, della circolare n. 38/E del 28 settembre 2012, nè deduce la mancata valutazione, da parte della Commissione regionale, della sussistenza di presupposti di natura cd. sostanziale la cui necessità, ai fini dell’applicazione della sanatoria, dovrebbe ricavarsi dalla Relazione illustrativa al D.L. n. 16 del 2012; la ricorrente, piuttosto, contesta ai giudici regionali di avere fornito una errata interpretazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 2, comma 1, che tradisce il tenore letterale e la ratio stessa della norma.

I vizi denunciati rientrano, pertanto, nell’ambito della violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, considerato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata.

Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione (Cass., sez. 1, 14/01/2019, n. 640).

5. Con il richiamato del D.L. n. 16 del 2012, art. 2, comma 1, è stata introdotta una particolare forma di ravvedimento operoso – cd. remissio in bonis – tesa a sanare l’omesso o il ritardato adempimento formale per fruire di benefici fiscali o di regimi fiscali opzionali.

Ai sensi del citato articolo, “la fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione ovvero ad altro adempimento di natura formale non tempestivamente eseguiti, non è preclusa, sempre che la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, laddove il contribuente: a) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento; b) effettui la comunicazione ovvero esegua l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile; c) versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 11, comma 1, secondo le modalità stabilite dal decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, esclusa la compensazione ivi prevista”.

5.1. L’ambito oggettivo di applicazione della norma in esame è circoscritto alla fruizione di benefici di natura fiscale ed all’accesso ai regimi fiscali opzionali il cui obbligo di preventiva comunicazione è previsto a pena di decadenza e per i quali la non tempestiva esecuzione non assume natura di mera irregolarità ed è, pertanto, sicuramente riferibile all’esercizio dell’opzione per il consolidato fiscale di cui agli artt. 117 e seguenti del D.P.R. n. 917 del 1986, come previsto dalla Relazione illustrativa al D.L. n. 16 del 2012, che individua, a titolo esemplificativo, alcune fattispecie alle quali l’istituto della remissio in bonis risulta applicabile.

5.2. Ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 14, è entrato in vigore il 2 marzo 2012 e, pertanto, in conformità ai principi generali di efficacia delle leggi nel tempo, le relative disposizioni possono trovare applicazione con riferimento alle irregolarità per le quali, alla data del 2 marzo 2012, non sia scaduto il termine di presentazione della prima dichiarazione utile, da intendersi come la prima dichiarazione dei redditi il cui termine di presentazione scade successivamente al termine previsto per effettuare la comunicazione ovvero eseguire l’adempimento stesso.

Tuttavia, la stessa circolare dell’Agenzia delle entrate n. 38/E sopra richiamata stabilisce che “poichè la fruizione del beneficio fiscale ovvero l’accesso al regime opzionale trovano compiuta rappresentazione nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il contribuente se ne è avvalso, in applicazione del principio di legalità espresso dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3, nonchè in considerazione della ratio della disposizione in esame, si è dell’avviso che la remissione in bonis trovi applicazione anche con riferimento alle irregolarità per le quali, alla suddetta data di entrata in vigore, sia scaduto il termine di presentazione della prima dichiarazione utile – nel senso sopra precisato – ma non sia ancora scaduto quello di presentazione della dichiarazione riguardante il periodo d’imposta nel quale l’adempimento è stato omesso. Si tratta, ad esempio, degli adempimenti omessi nel 2011 dai contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare”.

La medesima circolare, peraltro, in considerazione dell’incertezza interpretativa in merito alla individuazione del dies ad quem entro il quale sanare l’adempimento omesso, ha previsto che, ” in attuazione dei principi di tutela dell’affidamento e della buona fede, il termine entro cui regolarizzare le omissioni sopra individuate – compresi gli adempimenti omessi nel periodo d’imposta per il quale il termine di presentazione della relativa dichiarazione è scaduto successivamente al 2 marzo 2012 – sia il 31 dicembre 2012″.

5.3. A quanto detto deve aggiungersi che il citato art. 2, comma 1 richiede espressamente che “la violazione non sia stata constatata”, espressione con la quale si è inteso sottolineare che il beneficio in esame è stato dal legislatore previsto solo in relazione a violazioni che l’Amministrazione finanziaria, al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2012, non abbia ancora accertato; pertanto, soltanto in assenza di attività di accertamento avviate da parte dell’Amministrazione e conosciute dal contribuente, è consentito, ancorchè tardivamente, porre in essere gli adempimenti necessari al fine di fruire del beneficio o del regime fiscale prescelto.

5.4. L’accesso alla sanatoria in esame presuppone, altresì, che il contribuente possieda “i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento”, che devono sussistere alla data originaria di scadenza del termine normativamente previsto per la trasmissione della comunicazione ovvero per l’assolvimento dell’adempimento di natura formale necessari per la fruizione di benefici fiscali o per l’accesso a regimi fiscali opzionali.

6. Tanto premesso in linea generale, nella fattispecie in esame, sebbene la Illy s.p.a., immediatamente dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 16 del 2016, abbia aderito alla sanatoria, provvedendo al versamento, tramite modello F24 regolarmente quietanzato, dell’importo di Euro 258,00 a titolo di sanzione, il ritardo nella comunicazione di adesione della Domori s.p.a. al consolidato fiscale non poteva essere sanato mediante il meccanismo previsto dal richiamato D.L. n. 16 del 2012, art. 2, comma 1.

Infatti, prescindendo da ogni valutazione in merito alla sussistenza del requisito richiesto dalla D.L. n. 16 del 2012, art. 2, comma 1, lett. b) questo Collegio non può che rilevare l’insussistenza dell’altro requisito richiesto dello stesso art. 2, comma 1 considerato che l’Ufficio già in data 30 novembre 2011, e quindi prima della data di entrata in vigore del decreto legge, aveva emesso provvedimento di diniego di rimborso, motivato proprio sulla base della tardività della comunicazione dell’opzione, da parte della società Domori s.p.a., al regime di tassazione di gruppo.

Più precisamente, con il suddetto provvedimento di diniego l’Agenzia delle entrate ha evidenziato che l’istanza di rimborso presentata dalla società consolidante non poteva trovare accoglimento perchè, come previsto dall’art. 119 T.U.I.R., comma 1, lett. d), l’avvenuto esercizio della opzione doveva essere comunicato all’Ufficio entro il sedicesimo giorno del sesto mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta precedente al primo esercizio cui si riferiva l’esercizio dell’opzione stessa, secondo le modalità previste dal decreto di cui all’art. 129 T.U.I.R..

Essendo incontestato che il provvedimento di diniego espresso è stato notificato alla contribuente, che ne ha quindi avuto piena conoscenza, deve ritenersi che la violazione non sia rimasta incontestata e che la Illy s.p.a. non potesse, di conseguenza, avvalersi legittimamente dell’applicazione del beneficio della remissio in bonis.

Alla stregua delle considerazioni svolte, la decisione impugnata non ha fatto corretta applicazione della disposizione di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 2 e, pertanto, il ricorso principale va accolto.

7. Passando all’esame del ricorso incidentale, la Commissione regionale, pur avendo segnalato nell’incipit della motivazione la presenza del thema decidendum, strettamente inerente al merito della pretesa restitutoria azionata dalla società contribuente, subordinato alla decisione della preliminare questione della intervenuta sanatoria D.L. n. 16 del 2012, ex art. 2, comma 1, ha ritenuto del tutto legittimo l’utilizzo del ravvedimento operoso e, di conseguenza, assorbito ogni altro profilo di doglianza fatto valere dalla contribuente, pretermettendo ogni determinazione al riguardo.

Il riscontro della denunziata omissione di pronunzia da parte del giudice d’appello, sebbene in tesi dovrebbe comportare l’accoglimento del motivo di ricorso incidentale, consente di delibare la questione di puro diritto, introdotta con il medesimo motivo.

Infatti, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo sanciti dall’art. 111 Cost., comma 2, la Corte di legittimità, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto risulti infondata e sempre che essa non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass., sez. 2, 1/02/2010, n. 2310; Cass., sez. 5, 28/06/2017, n. 16171).

Esaminato in tale prospettiva, il ricorso incidentale si rivela infondato e va rigettato.

7.1. Va premesso che l’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 117 comporta la determinazione di un reddito complessivo globale corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti delle società controllate, che vanno assunti per l’intero importo indipendentemente dalla quota di partecipazione riferibile al soggetto controllante, e l’obbligo a carico della società controllante di provvedere alla liquidazione dell’unica imposta dovuta e alla presentazione della dichiarazione dei redditi del consolidato.

7.2. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 119, comma 1, subordina l’efficacia dell’opzione al verificarsi delle seguenti condizioni: a) identità dell’esercizio sociale di ciascuna società controllata con quello della società o ente controllante; b) esercizio congiunto dell’opzione da parte di ciascuna controllata e della controllante; c) elezione di domicilio da parte di ciascuna controllata presso la società o ente controllante ai fini della notifica degli atti e provvedimenti relativi ai periodi d’imposta per i quali l’opzione è esercitata; d) comunicazione all’Agenzia delle entrate dell’avvenuto esercizio congiunto dell’opzione.

Le suddette condizioni devono sussistere congiuntamente perchè si possa esercitare l’opzione per la tassazione di gruppo, per cui l’inesistenza o il venir meno anche solo di una di esse determina l’inefficacia dell’opzione o l’interruzione del regime, con i conseguenti effetti previsti dall’art. 124 T.U.I.R..

7.3. Da tale contesto normativo si evince che la scelta per il regime del consolidato nazionale, che costituisce una opzione negoziale per un regime fiscale alternativo, deve essere espressa in modo univoco mediante una manifestazione di volontà tempestiva, trattandosi di un regime fiscale dal quale scaturiscono benefici per le società che vi aderiscono.

7.4. Relativamente al requisito indicato al punto d) del citato art. 119, la comunicazione per l’esercizio dell’opzione per il consolidato, da inviare telematicamente all’Agenzia delle entrate, deve avvenire attraverso la presentazione del modello, adottato ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto di attuazione (D.M. 9 giugno 2004), e deve essere presentata “entro il sedicesimo giorno del sesto mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta precedente al primo esercizio cui si riferisce l’esercizio dell’opzione stessa”.

L’invio della comunicazione di avvio del regime, costituendo condizione essenziale per l’ammissione ai relativi benefici – come previsto dal D.M. 9 giugno 2004, art. 5, comma 2, che dispone espressamente che “l’opzione si considera perfezionata se comunicata dalla controllata all’Agenzia delle entrate entro il termine previsto dall’art. 119, comma 1, lett. d), del testo unico” – rende, di conseguenza, irrilevanti eventuali comportamenti concludenti tenuti (si veda circolare Agenzia delle entrate n. 49/E del 22 novembre 2004; circolare Agenzia delle entrate n. 53/E del 20 dicembre 2004, par. 4.1; circolare agenzia delle entrate n. 47/E del 2008).

E ciò in quanto, essendo tale comunicazione finalizzata a esprimere la volontà di assumere un regime in deroga alla disciplina ordinaria dell’imposizione, qualora essa non sia effettuata nei termini e con le modalità previsti dalle disposizioni sopra richiamate, non può ritenersi realizzato l’effetto costitutivo dell’assunzione del diverso regime fiscale nè tra le parti, nè nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (Cass., sez. 5, 2/03/2020, n. 5647).

Sul punto, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, qualora la scelta riguardi il regime fiscale del consolidato, essa deve essere espressa in modo univoco con una manifestazione di volontà tempestiva, trattandosi di un regime che è consentito solo nei casi previsti ed alle condizioni stabilite dal legislatore, non potendo trovare applicazione, in tale ipotesi, il D.P.R. n. 442 del 1997, art. 1 che, nell’attribuire rilevanza ai comportamenti concludenti del contribuente, si riferisce soltanto ai regimi di determinazione delle imposte od ai regimi contabili e non può essere invocato con riferimento alle modalità di pagamento delle imposte (Cass., sez. 5, 30/11/2018, n. 31061).

7.5. La Gruppo Illy s.p.a. ha esercitato, in data 7 giugno 2005, l’opzione per il consolidato nazionale, il cui perimetro comprendeva le società Illycaffè s.p.a., Illy Bar Concept s.p.a. e Bar Finance International s.p.a., in qualità di consolidate, e, solo in data 8 gennaio 2008, ha comunicato all’Agenzia delle entrate l’adesione al regime di tassazione di gruppo anche della controllata Do. s.p.a., con effetto dall’anno d’imposta 2007.

Per quanto in precedenza esposto, l’opzione con la quale è stato comunicato che la Do. s.p.a. veniva inclusa nel perimetro del consolidato fiscale non può essere considerata valida ed efficace per l’anno 2007, essendo stata presentata oltre il termine previsto dall’art. 119 T.U.I.R., comma 1, lett. d), ossia oltre la data del 16 giugno 2007.

7.6. Peraltro, neppure può attribuirsi valenza di comportamento concludente alla comunicazione tardiva del 9 gennaio 2008 e ritenerla, come tale, idonea ad includere la Do. s.p.a. nel consolidato fiscale già dall’anno d’imposta 2007, in quanto la stessa società consolidante, presentando la dichiarazione per l’anno 2007 e procedendo alla liquidazione dell’imposta relativa al medesimo anno, non ha affatto considerato la posizione della Do. s.p.a., tenendo in tal modo un comportamento incompatibile con l’intenzione di far rientrare quest’ultima nel consolidato 2007.

Ne discende che i ricorsi originariamente introdotti dalla contribuente, con i quali si chiedeva l’annullamento del provvedimento di silenzio rifiuto e del provvedimento di diniego espresso di rimborso IRES, notificato in data 30 novembre 2011, devono essere rigettati.

8. In conclusione, va accolto il ricorso principale e va rigettato il ricorso incidentale; la sentenza impugnata deve quindi essere cassata e, decidendo la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, vanno rigettati i ricorsi originari della contribuente.

Le spese dei gradi del giudizio di merito e quelle del giudizio di legittimità, in ragione della peculiarità delle questioni esaminate, devono essere integralmente compensate tra le parti.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; decidendo la causa nel merito, rigetta i ricorsi originari della contribuente.

Compensa integralmente tra le parti le spese relative ai gradi del giudizio di merito e le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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