Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28939 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 08/11/2019), n.28939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23202-2014 proposto da:

ROMA CAPITALE già Comune di Roma, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE

21, presso lo studio dell’avvocato CARLO SPORTELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.E., + ALTRI OMESSI, tutte elettivamente domiciliate

in ROMA, VIA D.A. AZUNI 9, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA

DE CAMELIS, che le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 9476/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/04/2014 R.G.N. 5801/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con ricorso al Tribunale di Roma A.E. e le altre odierne controricorrenti esponevano di avere prestato attività di lavoro subordinato presso le scuole dell’infanzia del Comune di Roma in qualità di insegnanti di religione, nei periodi indicati, sulla base di contratti di lavoro a tempo determinato nei assoggettati alla disciplina del c.c.n.l. per il comparto Enti Locali che prevede la totale equiparazione in termini giuridici ed economici del personale assunto a termine a quello assunto a tempo indeterminato;

precisavano che il Comune aveva riservato loro un trattamento deteriore e innanzitutto violato il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 309 poichè gli incarichi non erano stati conferiti per l’intero anno scolastico, bensì per perfidi variabili e sempre inferiori ad un anno: ciò aveva comportato una compromissione del diritto alla carriera (mancato adeguamento degli scatti di anzianità), alle ferie, alla posizione economica complessiva (13ma mensilità, trattamento di fine rapporto, inquadramento superiore ecc.);

chiedevano, pertanto, la condanna dell’amministrazione convenuta al pagamento delle somme indicate in ricorso oltre al risarcimento del danno professionale ed esistenziale;

il Comune di Roma resisteva alla domanda rilevando, sostanzialmente, che i contratti erano stati stipulati con scadenza temporale nel rispetto della contrattazione collettiva di comparto, poichè solo dopo l’inizio dell’anno scolastico l’ente era posto in condizione di conoscere quale fosse il fabbisogno di personale da destinare all’insegnamento della religione cattolica (occorreva, infatti, accertare se fossero o meno disponibili all’insegnamento i titolari di sezione assunti con contratti a tempo indeterminato e se questi ultimi avessero ottenuto il necessario parere conforme del Vicariato) con la conseguenza che le nomine non potevano che essere effettuate a tempo determinato e il trattamento retributivo doveva essere necessariamente commisurato al periodo di effettivo servizio;

2. il Tribunale accoglieva il ricorso quanto alle differenze retributive e riconosceva anche il danno per il fatto stesso della stipula dei contratti a termine, respingendo le altre richieste risarcitorie;

3. la Corte di appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, confermava, quanto alle riconosciute differenze retributive, la pronuncia di prime cure (respingendo tutte le domande di risarcimento);

rilevava la Corte territoriale che correttamente il Tribunale avesse ritenuto applicabile alla fattispecie il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 309 che, oltre ad imporre al capo d’istituto di conferire incarichi annuali per l’insegnamento della religione cattolica, stabilisce altresì il principio della totale equiparazione degli insegnanti di religione alla restante componente docente;

aggiungeva che il carattere speciale del rapporto di lavoro degli insegnanti di religione non incide sul trattamento economico di questi ultimi, che devono essere retribuiti, al pari degli altri docenti, su base mensile e non solo per il numero di giornate lavorate;

richiamava, infine, il principio di non discriminazione sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea per evidenziare che nessuna diversità di trattamento fra docenti poteva essere determinata in base alla materia insegnata;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Roma Capitale (già Comune di Roma) sulla base di due motivi;

A.E. e le altre litisconsorti hanno resistono con tempestivo controricorso, successivamente illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso Roma Capitale denuncia falsa applicazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 309, degli artt. 21 e 22 della Carta di Nizza, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, recepita dalla Trattato di Lisbona del 1 dicembre 2009, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

rileva, sostanzialmente, parte ricorrente che gli insegnanti di religione cattolica costituiscono una categoria non equiparabile al restante personale docente, poichè il rapporto che li lega all’amministrazione è caratterizzato da precarietà non solo nel momento genetico ma anche nel suo svolgimento, condizionato com’è al necessario assenso dell’autorità ecclesiastica;

afferma che il Comune di Roma, ottenendo anche l’approvazione delle organizzazioni sindacali, aveva ritenuto di affidare l’insegnamento della religione cattolica proritariamente ai docenti di ruolo, dichiaratisi a ciò disponibili, che avessero ottenuto l’autorizzazione dell’Ordinario Diocesano e che detta circostanza, assolutamente pacifica, non sarebbe stata valutata dalla Corte territoriale che, falsamente applicando il disposto del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 309 non avrebbe considerato che gli incarichi conferiti avevano natura di supplenza, poichè affidati solo per l’indisponibilità degli insegnanti di ruolo;

2. sulla base dei medesimi argomenti, la ricorrente formula il secondo motivo, censurando la sentenza impugnata per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

ribadisce che la Corte d’appello avrebbe erroneamente considerato che la natura dell’incarico degli insegnanti supplenti di religione consentisse di riconoscere agli stessi il medesimo trattamento giuridico ed economico dei docenti di ruolo;

3. i motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati;

4. la questione proposta è stata già decisa da questa Corte con riferimento a fattispecie del tutto sovrapponibili, in cui si è affermato che: “Il principio della necessaria annualità dell’incarico di insegnamento della religione cattolica è previsto, conformemente alle intese intervenute tra lo Stato italiano e la Santa Sede, dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 309, comma 2, e ribadito dall’art. 47, comma 6, del c.c.n.l. comparto scuola del 4 agosto 1995, sicchè, pur in assenza di eguale previsione nel c.c.n.l. comparto Regioni-Autonomie locali del 6 luglio 1995, va esclusa la possibilità per un Comune (nella specie, Roma Capitale) di assicurare l’insegnamento religioso nelle scuole dell’infanzia mediante contratti a termine di durata inferiore all’anno, ai sensi dell’art. 16, comma 2, c.c.n.l. 6 luglio 1995” (v. Cass. 13 febbraio 2019, n. 4229; Cass. 4 luglio 2018, n. 17509; Cass. 21 gennaio 2016; Cass. 11 gennaio 2016, n. 201);

all’orientamento sopra citato va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento dell’affermato principio, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha riconosciuto il diritto delle odierne controricorrenti ad essere retribuite per tutta la durata dell’incarico annuale ed a percepire il medesimo trattamento economico riservato ai docenti a tempo indeterminato assegnati alla scuola dell’infanzia;

5. in conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del grado, liquidate come da dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, ricorrono le condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%, da corrispondersi all’avv. Raffaella De Carmelis, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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