Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28938 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 17/12/2020), n.28938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12614/2015 R.G. proposto da:

PANAPESCA s.p.a. (C.F. e P. IVA: (OMISSIS)), con sede legale in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Marco Miccinesi e dall’Avv.

Prof. Francesco Pistolesi, con domicilio eletto presso il l’Avv.

Prof. Marcello Clarich, con studio legale in Roma in viale Liegi n.

32;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale per la

Toscana n. 2146/29/2014, pronunciata il 13 ottobre 2014 e depositata

il 10 novembre 2014;

udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 13 febbraio 2020

dal Consigliere Dott. Antezza Fabio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Mastroberardino Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso, per quanto di ragione;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Simone Ginanneschi (per delega

dell’Avv. Francesco Pistolesi), che ha insistito nel ricorso;

udito, per il controricorrente l’Avv. Francesco Meloncelli,

dell’Avvocatura Generale dello Stato), che ha insistito nel

controricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. PANAPESCA s.p.a. ricorre, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello (principale) dalla stessa proposto avverso la sentenza n. 22/11/2012 emessa dalla CTP di Firenze cha, a sua volta, aveva (in parte) rigettato l’impugnazione di provvedimento di irrogazione sanzione (anche in materia IVA) relativo all’esercizio 2004 e notificato dall’Agenzia delle Entrate (“A.E.”) il 21 ottobre 2009 (n. TZBC00100002/2009 con prot. n. A3/2009/38794).

2. Per quanto ancora rileva nel presente giudizio, come emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, il provvedimento impugnato originò da PVC del 14 dicembre 2007, redatto dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli e notificato alla contribuente, esercente non solo deposito doganale (di tipo privato) ma anche deposito fiscale IVA, con riferimento a 13 ipotesi di tardiva autofatturazione relative all’esercizio 2004 ed in merito a merce estratta dal deposito IVA.

In particolare, dal controllo delle giacenze contabili ed effettive e dei registri di carico e scarico di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis (conv., con modif., nella L. n. 427 del 1993), emerse che tutte le partite di merce correttamente introdotte furono estratte dal deposito IVA con emissione di autofatture annotate nei registri (ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 6 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3).

Dall’esame della documentazione e dei registri contabili risultò però che, con riferimento all’esercizio 2004, tredici autofatture non furono contestuali all’estrazione della merce dal deposito IVA in quanto eseguite e registrate successivamente (a distanza di pochi giorni e, comunque, sempre all’interno dello stesso mese, per quanto specificato non solo dalla ricorrente ma anche dalla controricorrente).

In ragione della ritenuta violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 6 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3, l’A.E. contestò al contribuente, del D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 6, comma 1 (nella formulazione, ratiane temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate con D.Lgs. n. 158 del 2015), sanzioni per Euro 1.853.509,00, pari al 100% dell’imponibile non correttamente documentato con riferimento alle 13 estrazioni in oggetto. L’Amministrazione, nella determinazione della sanzione, applicò il cumulo materiale e non quello giuridico, in quanto fattispecie ritenuta non rientrante nella previsione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12.

3. La CTP, sempre limitatamente a quanto ancora rileva in questa sede, rigettò l’impugnazione del provvedimento di irrogazione sanzioni del D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 6, comma 1, per le contestate violazioni (sostanzialmente) del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 6, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, art. 17, comma 3, e art. 21, comma 4.

Il Giudice tributario ritenne difatti integrata la detta sanzione amministrativa-tributaria in ragione delle non contestuali autofatturazioni all’atto dell’estrazione della merce dal deposito IVA (e, quindi, delle inerenti registrazioni), considerandole peraltro violazioni non meramente formali bensì sostanziali.

4. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, confermò la statuizione di primo grado ritenendo le plurime violazioni contestate (sussumibili nella fattispecie astratta di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1) non meramente formali ma sostanziali, in forza della loro natura e della specificità della norma violata in materia di deposito IVA.

Il Giudice d’appello fece in particolare perno sull’iter previsto dalla normativa in materia di depositi IVA (art. 50 bis citato) e di autofatturazione (sostanzialmente del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, art. 17, comma 3, e art. 21, comma 4), ritenendolo rigido e tale da doversi necessariamente eseguite alla lettera al fine di rendere possibile l’esecuzione dell’attività di controllo da parte dell’Amministrazione, in assenza di ostacoli temporali e documentali.

Ne conseguì che la fattispecie, caratterizzata da autofatturazioni non contestuali all’estrazione dei beni dal deposito IVA (momento ritenuto coincidente con l’effettuazione dell’operazione imponibile), fu ritenuta integrante al citato art. 6, comma 1 e non il successivo comma 9 bis (introdotto successivamente, a decorrere dall’1 gennaio 2008, dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 155, poi sostituito dal del D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. f, n. 7, a decorrere dal dall’I gennaio 2016).

Trattavasi per la CTR di violazione non meramente formale bensì sostanziale, con conseguente inapplicabilità (sostanzialmente) della L. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, ed impossibilità di “attutire l’impatto delle sanzioni”, diversamente da quanto prospettato dall’appellante.

In particolare la Commissione regionale ritenne nella specie il “danno non” consistente nell’entità del versamento e nella sua tempestività “o, eventualmente, intempestività, ma” caratterizzato dall’impossibilità “di effettuare i controlli in qualsiasi momento della gestione amministrativa del deposito”. Il danno si sarebbe dunque “qualificato” “secondo disposizioni di legge”, costituendo, l’omissione o il ritardo dell’autofattura, “un ostacolo grave e significativo all’attività di controllo”, in esso (ostacolo) sostanziandosi il danno.

5. Contro la sentenza d’appello la contribuente ricorre con cinque motivi sostenuti da memoria (con la quale invoca anche l’applicazione di ulteriore ius superveniens con riferimento al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1) mentre l’A.E. si difende con controricorso.

All’odierna udienza le parti concludono nei termini di cui in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I soli motivi quarto e quinto meritano accoglimento, ancorchè nei termini e limiti di seguito esplicitati.

2. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, “anche in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 4, e al D.M. 18 novembre 1976”.

La ricorrente sostiene la tesi per la quale la violazione di cui al citato D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, non sarebbe integrata nel caso in cui, come nella specie, l’autofatturazione, ancorchè successiva alla relativa operazione (estrazione del bene dal deposito IVA di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis), sia comunque avvenuta nello stesso mese di cui all’operazione in questione e, più in generale, entro il termine previsto per la comunicazione della liquidazione periodica IVA.

Il semplice ritardo, a detta della contribuente, non integrerebbe la fattispecie, prevedendo la norma in esame una sanzione determinata in percentuale rispetto all’imposta e dovendo però trattarsi “dell’imposta corrispondente ad un imponibile non correttamente documentato o registrato nell’esercizio”.

L’assunto di cui innanzi è argomentato dal D.M. 18 novembre 1976 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 4, che consente la fatturazione entro il 15 del mese successivo a quello della consegna o della spedizione, “per le cessioni di beni la cui consegna o spedizione risulti da documento di trasporto o da altro documento idoneo a identificare i soggetti tra i quali è effettuata l’operazione…”. Il citato D.M. 18 novembre 1976, invece, consente di assolvere gli obblighi di fatturazione, di registrazione e di annotazione dei corrispettivi entro il mese successivo a quello in cui è effettuata l’operazione, per le operazioni effettuate delle imprese, fuori dalla sede, tramite i propri dipendenti.

2.1. Il primo motivo è infondato.

Ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, “chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto… è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio”. Entità della sanzione così sostituita (a quella ricompresa tra il cento ed il duecento per cento) dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. f), n. 1, a decorrere dal 1 gennaio 2016. “Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta”.

In forza dell’ultimo periodo aggiunto al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, in oggetto (dal citato del D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. f, n. 1), sempre a decorrere dal 1gennaio 2016, “la sanzione è dovuta nella misura da Euro 250 a Euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.

Ratio della norma, solo confermata dalla detta modifica del 2015 sostanzialmente incidente in melius sul trattamento sanzionatorio, è dunque quella di prevenire, mediante l’effetto deterrente della comminatoria di sanzione amministrativa pecuniaria, violazioni tributarie in materia di IVA non solo sostanziali, in quanto incidenti sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento, ma anche formali, cioè tali da arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento (per un riferimento alla finalità delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie si veda anche Cass. sez. 5, 04/06/2014, n. 12460, Rv. 631103-01).

Sicchè, la tesi della ricorrente di cui al primo motivo di ricorso, per la quale, gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini IVA potrebbero essere legittimamente assolti in qualsiasi momento, purchè entro il termine previsto per la comunicazione della liquidazione periodica IVA, senza che ciò integri violazione sanzionata del D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 6, comma 1, oltre a contrastare con la lettera della norma è incompatibile con l’evidenziata ratio legis.

L’interpretazione letterale, logica e teleologica della norma, difatti, porta a ricollegale la sanzione per il caso di tardivo adempimento degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione a fini IVA al sorgere degli obblighi (inevasi), ed esso coincide con il momento del compimento dell’operazione imponibile ovvero, nei casi specificamente contemplati dalla legge, con il diverso momento previsto per l’assolvimento degli stessi obblighi.

Nel caso di estrazione di beni da deposito IVA di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis con autofatturazione, nel sistema di inversione contabile (c.d. reverse charge), gli obblighi di documentazione sorgono nel momento del compimento dell’operazione imponibile, che, a sua volta, coincide con la detta estrazione, con la conseguente sanzionabilità ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, della ritardata autofatturazione (e della conseguente registrazione).

L’interpretazione di cui innanzi, peraltro, è conforme agli obiettivi perseguiti dalla normativa sovranazionale in materia di IVA, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonchè evitare l’evasione di tale imposta (per i detti obiettivi oltre che per la compatibilità rispetto ad essi anche della sanzionabilità di violazioni formali, si veda anche Corte giust. UE, Sesta Sezione, sentenza 17 luglio 2014, Equoland, in causa C-272/13, punto 29; sempre per gli obiettivi di cui innanzi si veda altresì Corte giust. UE, Ottava Sezione, sentenza 20 giugno 2013, causa C-259/12, Rodopi-M 91 00D).

2.2. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto, enunciato ex art. 384 c.p.c..

“In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ratio del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, solo confermata dalle modifiche apportate, in melius, al trattamento sanzionatorio dal D.Lgs. n. 158 del 2015, nonchè conforme agli obiettivi perseguiti dalla normativa sovranazionale in materia, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonchè evitare l’evasione di tale imposta, è quella di prevenire, mediante l’effetto deterrente della comminatoria di sanzione, violazioni tributarie non solo sostanziali, in quanto incidenti sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento, ma anche formali, cioè tali da arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento. Sicchè, per il caso di tardivo adempimento degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili, la violazione è temporalmente ricollegata al sorgere degli obblighi inevasi, coincidente con il momento del compimento dell’operazione imponibile ovvero, nei casi specificamente contemplati dalla legge, con il diverso momento previsto per l’assolvimento degli stessi obblighi. Ne consegue, come nella specie, la sanzionabilità della ritardata autofatturazione (e della conseguente registrazione), nel sistema di inversione contabile (c.d. reverse charge), rispetto al preciso momento dell’estrazione dei beni dal deposito IVA, di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, coincidente con il momento del compimento dell’operazione imponibile”.

3. I motivi secondo e terzo sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.

3.1. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”) e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, “in relazione al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1”.

La ricorrente sostiene che l’autofatturazione non omessa ma eseguita con un ritardo lieve, nella specie di soli pochi giorni e comunque sempre nello stesso mese di riferimento dell’operazione (cioè l’estrazione dal deposito IVA), ovvero, ancora più in generale, entro il termine previsto per la comunicazione della liquidazione periodica IVA, qualora la si volesse ritenere sussumibile nella fattispecie astratta di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, si risolverebbe in una violazione non “sostanziale” o “formale” ma “meramente formale”.

Sicchè, trattandosi di fattispecie non punibile, in quanto integrante violazione “meramente formale”, avrebbe errato il Giudice d’appello a non ritenere applicabili della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”), e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis.

La descritta condotta, ancorchè irregolare, non avrebbe difatti inciso sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento dell’IVA, essendo l’autofatturazione tardiva ma avvenuta entro il termine previsto per la comunicazione della liquidazione periodica IVA. Essa non avrebbe altresì arrecato pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, sulla base di una valutazione in concreto. Sotto tale ultimo profilo, in particolare, a detta della ricorrente, la conferma dell’assenza di un concreto pregiudizio alle azioni di controllo emergerebbe dalla circostanza per la quale gli accertatori avrebbero agevolmente effettuato la verifica fondante il provvedimento di applicazione di sanzioni, peraltro eseguita dopo l’effettiva autofatturazione (ancorchè tardiva).

Il pregiudizio alle attività di controllo, necessario per escludere che si tratti di violazione “meramente formale” (e, in quanto tale, non punibile), dovrebbe quindi valutarsi all’esito non di una valutazione in “astratto ed in via potenziale” bensì “in concreto” ed ex post. Ciò “soprattutto nel caso non di omissione di… autofatturazione…”, in sede di inversione contabile (c.d. reverse charge), ma, come nella specie, di mero lieve ritardo, comunque contenuto nel termine previsto per la comunicazione della liquidazione periodica IVA.

La ricorrente, a supporto dell’assunto circa la non punibilità di violazioni meramente formali richiama anche circolari dell’Amministrazione. Profilo, quest’ultimo, inammissibile ex artt. 360 e 366 c.p.c., perlomeno nei limiti in cui sembrerebbe invocare per la prima volta in cassazione il principio dell’affidamento di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, oltre che inconferente, in quanto nella specie, per quanto si chiarirà in seguito, trattasi di ipotesi di violazioni non “meramente formali”.

La contribuente, sempre per sostenere la natura concreta dell’accertamento, fa altresì riferimento a sentenze unionali, in particolare a Corte giust. UE, Sesta Sezione, sentenza 17 luglio 2014, Equoland, in causa C-272/13, inerente la diversa fattispecie dell’utilizzo meramente virtuale di deposito IVA con conseguente assolvimento dell’imposta in regime di reverse charge e non con pagamento all’atto dell’importazione, pur in assenza della necessaria introduzione fisica della merce nel deposito.

All’esito, ed in via subordinata, si sollecita la proposizione di questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, ex art. 267 TFUE, al fine di verificare la compatibilità, con il quadro sovranazionale di riferimento, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, per l’ipotesi in cui il detto diritto interno si dovesse interpretare, ai fini della valutazione come meramente formale della violazione, nel senso di valutazione non in concreto bensì in astratto del pregiudizio arrecato all’esercizio delle azioni di controllo.

Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce “omesso esame di una circostanza dirimente e pacifica, inequivocabile nell’escludere un qualunque danno all’esercizio dell’attività di controllo”, con riferimento ad “evidenti lacune nell’analisi “fattuale” in ordine a circostanze decisive”. A detta del ricorrente, in sostanza, “i Giudici di appello…omettono di verificare in concreto se, nella specie, sia stato effettivamente arrecato un danno all’esercizio dell’attività di controllo, incorrendo così nell’eccepito vizio di motivazione.

3.2. I motivi secondo e terzo sono infondati (nei limiti in cui ritenuti ammissibili).

3.2.1. La questione di diritto sottoposta dalla ricorrente con il secondo motivo inerisce i modi di atteggiarsi dei rapporti tra diversi istituti e discipline.

Trattasi, in particolare, dei rapporti tra la sanzione amministrativa pecuniaria per violazioni finanziarie di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, e la disciplina del deposito fiscale IVA, di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, con riferimento all’ipotesi di autofatturazione, nel sistema dell’inversione contabile (c.d. reverse charge), tardiva ma comunque avvenuta nel termine previsto per la comunicazione della liquidazione periodica IVA.

Occorrerà altresì analizzare i rapporti tra la norma sanzionatoria in esame, per l’ipotesi della descritta tardiva autofatturazione, e la disciplina della non punibilità delle violazioni meramente formali, in quanto non arrecanti pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidenti sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo (di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3).

La prima questione, in ordine logico, da esaminare attiene alla individuazione della tipologia di violazione di cui si discute alla luce del combinato disposto della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 (c.d. statuto dei diritti del contribuente), e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis.

Il citato comma 5 bis, introdotto (a decorrere dal 20 marzo 2001) dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 7, comma 1, lett. a, costituisce peraltro esplicazione proprio di quanto era già implicito nell’aggettivo “mera” anteposto all’espressione “violazione formale senza alcun debito di imposta”, contenuta nella L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 (in tale ultimo senso si vedano Cass. sez. 5, 25/06/2014, nn. 14401 e 14402).

Le fattispecie trasgressive tributarie, in ragione del combinato disposto di cui innanzi, possono in particolare essere raggruppate nelle seguenti tre tipologie fondamentali.

Violazioni “sostanziali”, in quanto comunque incidenti sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento; violazioni “formali”, cioè tali da arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento, nonchè violazioni “meramente formali”, perchè non incidenti sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo (quindi non sostanziali) e non arrecanti pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo (quindi non formali).

Solo tali ultime violazioni, quelle “meramente formali”, come emerge dal combinato disposto dei citati artt. 10, comma 3, e 6, comma 5 bis, sono dunque caratterizzate dalla non punibilità delle condotte per assenza di offensività delle stesse, proprio in quanto non tali da arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidenti sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo (in tal senso si vedano, ex plurimis, nonostante una non sempre uniforme terminologia: Cass. sez. 5, 16/01/2019, n. 901, Rv. 652459-01; Cass. sez. 5, 19/05/2017, n. 12639, Rv. 644691-01; Cass. sez. 5, 25/06/2014, nn. 14401 e 14402, oltre che, Cass. sez. 5, 22/12/2014, n. 27211, Rv. 63393901; Cass. sez. 5, 10/02/2016, n. 2605, Rv. 638898-01; Cass. sez. 5, 06/10/2017, n. 23352, Rv. 645810-01; Cass. sez. 5, 08/03/2013, n. 5897, Rv. 625953-01).

Per converso, la ratio della sanzionabilità delle violazioni “formali” (e non “meramente formali”) risiede nell’esigenza di assicurare il rispetto di obblighi atti, nonostante il loro carattere formale, a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi anche sovranazionali perseguiti in materia, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonchè evitare l’evasione di tale imposta.

Per i detti obiettivi, oltre che per la compatibilità rispetto ad essi della sanzionabilità di violazioni formali, si veda anche la stessa Corte giust. UE, Sesta Sezione, sentenza 17 luglio 2014, Equoland, in causa C-272/13, punto 29, citata dalla ricorrente. Sempre per gli obiettivi di cui innanzi si veda altresì, ex plurimis, Corte giust. UE, Ottava Sezione, sentenza 20 giugno 2013, causa C-259/12, Rodopi-M 91 00D, per la quale il soggetto passivo che non adempie “nel termine previsto dalla legislazione nazionale il suo obbligo di contabilizzare e dichiarare elementi rilevanti ai fini del calcolo dell’imposta sul valore aggiunto da lui dovuta… si trova, in rapporto all’obiettivo di garantire l’esatta riscossione dell’IVA e di evitare la frode, in una situazione diversa da quella del soggetto passivo che ha osservato i suoi obblighi contabili” (cfr., dispositivo e punto 35).

Premesso quanto innanzi, occorre evidenziare, in quanto pacifico per le parti ed emergente dalla sentenza impugnata, che nella fattispecie è escluso che la descritta condotta della contribuente abbia integrato una violazione sostanziale nei termini di cui innanzi, in quanto l’autofatturazione, pur se tardiva, è comunque intervenuta nel termine previsto per la comunicazione della liquidazione periodica IVA, così non incidendo sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento.

Necessita quindi verificare se la stessa condotta integri violazione “formale” (quindi punibile) ovvero violazione “meramente formale” (quindi non punibile).

Il discrimen, come detto, una volta esclusa la natura sostanziale della violazione, è costituito dal pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo da valutarsi concretamente, in considerazione del regime normativo fiscale sotteso alla gestione del deposito IVA di cui al D.L. n. 33 del 1993, art. 50 bis, ed in ragione dell’evidenziata ratio sottesa alle sanzioni amministrative in materia di IVA oltre che della descritta finalità sottesa alla punibilità anche della violazioni “formali” (e non “meramente formali”), compatibili con gli obiettivi sovranazionali in materia.

Sicchè, stanti anche l’indicata ratio e l’evidenziata finalità, la valutazione concreta circa la natura “formale” o “meramente formale” della violazione deve essere condotta alla stregua dell’idoneità ex ante (e non ex post) della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo.

In termini di “potenziale idoneità” della violazione degli obblighi di fatturazione ad ostacolare il controllo, in quanto direttamente e strettamente strumentali alla determinazione ed alla riscossione dell’IVA, già si sono espresse Corte Cass. sez. 5, 25/06/2014, nn. 14401 e 14402 (per le quali, peraltro, il ritardo nelle fatturazioni, che implica potenziale ostacolo alle attività di controllo, di regola, incide sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento; nel senso della potenziale idoneità, tale da rendere irrilevante la circostanza del manato inizio dell’attività di controllo, si veda anche Cass. sez. 5, 19/05/2017, n. 12639, Rv. 644691-01).

A nulla quindi rileverebbe, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, la circostanza per la quale le autofatturazioni, tardive rispetto al momento impositivo costituito dall’estrazione dei beni dal deposito IVA, siano comunque avvenute nei termini previsti per la comunicazione della liquidazione periodica IVA, e che la “regolarizzazione” sia avvenuta antecedentemente allo stesso controllo da parte dell’Amministrazione. Ciò che rileva è, difatti, la concreta idoneità ex ante della condotta ad aggravare l’esercizio delle azioni di controllo, da valutarsi inquadrando la stessa condotta nel paradigma normativo di riferimento.

Nella specie, quindi, occorre inquadrare il ritardo

nell’autofatturazione e nella conseguente registrazione, ancorchè eseguite comunque nel termine per la comunicazione periodica IVA, con riferimento alla particolare procedura d’inversione contabile inerente l’estrazione dei beni dal deposito IVA (il cui momento impositivo coincide con l’estrazione dei beni dal detto deposito).

Tale condotta omissiva (per ritardo), pur nella specie non integrando violazione “sostanziale”, è concretamente idonea ad ostacolare l’esercizio delle azioni di controllo, sulla base di una valutazione ex ante, in quanto tale da interrompere, sotto il profilo temporale e documentale, il meccanismo impositivo IVA con conseguente concreto ostacolo, tanto documentale quanto temporale, all’azione di controllo.

Quanto innanzi, diversamente dalle prospettazioni della ricorrente, evidenzia l’irrilevanza della circostanza per la quale, nella specie, i controlli siano stati eseguiti in un momento successivo alle autofatturazioni e registrazioni (ancorchè tardive) ed esclude necessità ed opportunità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE (invece invocato dal ricorrente).

Trattasi, difatti, di obblighi di documentazione, quelli la cui violazione (ancorchè formale) è sanzionata, atti proprio a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti dalla normativa nazionale e sovranazionale in materia, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonchè evitare l’evasione di tale imposta (nel senso dell’attitudine di un obbligo, nonostante il suo carattere formale, a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonchè evitare l’evasione di tale imposta, si veda, per la giurisprudenza unionale Corte giust. UE, Sesta Sezione, sentenza 17 luglio 2014, Equoland, in causa C-272/13, paragrafo 29, oltre che, per un’applicazione con riferimento al diritto interno, Cass. sez. 5, 19/05/2017, n. 12639, Rv. 644691-01, oltre che in motivazione).

3.2.2. I principi e le argomentazioni di cui al punto precedente, in merito alla valutazione della natura “formale” o “meramente formale” delle violazioni, implicano anche il rigetto del terzo motivo, avendo la CTR, su questo punto, solo terminologicamente fatto riferimento alla violazione sostanziale riferendosi invece, in concreto, ad ipotesi di violazione formale, valutando la condotta come tale da arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo.

Trattasi comunque di motivo inammissibile, alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile, ratione temporis, nella formulazione successiva al D.L. n. 83 del 2012, in quanto non deducente un omesso esame di un fatto storico bensì sostanzialmente prospettante un preteso vizio motivazionale, con modalità peraltro tali da implicare la sostituzione di proprie valutazioni fattuali a quelle del Giudice di merito.

3.3. In conclusione, i motivi secondo e terzo devono essere rigettati, in applicazione del seguente principio di diritto, enunciato ex art. 384 c.p.c..

“In tema di sanzioni amministrative, le violazioni tributarie, in ragione del combinato disposto di cui della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, possono essere “sostanziali”, se comunque incidenti sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento, “formali”, cioè tali da arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile o sull’imposta o sul versamento, o “meramente formali”, perchè non incidenti sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo (quindi non sostanziali) e non arrecanti pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo (quindi non formali). Solo tali ultime violazioni non sono punibili per l’assenza di offensività delle condotte, e la valutazione concreta circa la natura “formale” o “meramente formale” della violazione deve esse eseguita alla stregua dell’idoneità ex ante della condotta a recare il detto pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, previo inquadramento della condotta stessa nel paradigma normativo di riferimento. Ciò in quanto la ratio della sanzionabilità anche delle violazioni “formali” risiede nell’esigenza di assicurare il rispetto di obblighi atti, nonostante il loro carattere formale, a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi anche sovranazionali perseguiti in materia, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonchè evitare l’evasione di tale imposta”.

4.1. Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis (introdotto, a decorrere dal 1 gennaio 2008, dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 155), in considerazione del principio, di derivazione comunitaria, di proporzionalità della sanzione.

In sostanza, per la ricorrente, la CTR, ritenuta sussistente la violazione nonchè punibile la condotta, avrebbe errato nel non ritenere applicabile la diversa ed inferiore sanzione di cui al sopravvenuto del medesimo D.Lgs. n. 471 del 1993, art. 6, comma 9 bis (introdotto dal citato dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 155), in quanto proporzionata all’accertata violazione non sostanziale ma formale (invocando anche il principio di proporzionalità di matrice anche sovranazionale).

4.2. Il quarto motivo, sotto tale profilo, non merita accoglimento, non potendosi fare applicazione, nella specie, del detto comma 9 bis in quanto concernente la differente ipotesi dell’assolvimento dell’IVA con il meccanismo dell’autofatturazione in assenza dei requisiti previsti per il meccanismo dell’inversione contabile di D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17 e 74 (Cass. sez. 6-5, 06/09/2015, n. 17814).

4.2.1 Parimenti inapplicabile è la diversa sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, differentemente da quanto invece prospettato dalla Procura Generale in sede di conclusioni orali in udienza, non trattandosi di omissione di versamenti ovvero di violazioni in materia di compensazione.

4.3. Necessita tuttavia evidenziare che la ricorrente nel quarto motivo fa esplicito riferimento alla rideterminazione della sanzione applicazione del principio (anche di derivazione sovranazionale) proporzionalità della stessa, ancorchè individuando una norma sopravvenuta, come detto, non inerente alla fattispecie concreta (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, come introdotto dalla L. 244 del 2007).

Nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica la stessa ricorrente ha poi ripreso le dette argomentazioni ma, correttamente, con riferimento ad altro ius superveniens che non avrebbe potuto dedurre in sede di ricorso essendo quest’ultimo (di poco) antecedente al diritto sopravvenuto.

Sicchè, limitatamente a tale profilo, deve essere accolto il quarto motivo di ricorso, rendendo così ulteriormente inconferenti i a, prospettati attriti del quntum sanzionatorio con il principio di proporzionalità, con rinvio alla CTR affinchè faccia applicazione, in quanto più favorevole, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, nella sua formulazione successiva alle modifiche apportate (a decorrere dal 1 gennaio 2016) dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 15, comma 1, lett. f), n. 1.

Ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, nella formulazione di cui innanzi, difatti, come già chiarito, “chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto… è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio”. Entità della sanzione così sostituita (a quella ricompresa tra il cento ed il duecento per cento) dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. f), n. 1 (a decorrere dal 1 gennaio 2016). “Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta”.

In forza dell’ultimo periodo aggiunto al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 1, in oggetto (dal citato D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, comma 1, lett. f, n. 1), sempre a decorrere dal 1 gennaio 2016, poi, “la sanzione è dovuta nella misura da Euro 250 a Euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo”.

5. Con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1 e 2.

Ci si duole della ritenuta inapplicabilità, nella specie, della disciplina del cumulo giuridico delle sanzioni, sollecitando (in ipotesi) anche eventuale questione di legittimità costituzionale.

5.1. Il motivo in esame è fondato, ancorchè nei termini di seguito esplicitati.

Al riguardo occorre precisare che il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 1, prima parte, contempla l’applicazione del cumulo giuridico nel caso di cd. concorso formale, che si ha quando con una sola azione od omissione si commettono diverse violazioni della medesima disposizione (concorso formale omogeneo) ovvero di distinte disposizioni anche relative a tributi diversi (concorso formale eterogeneo).

Sempre il citato art. 12, comma 1, contempla altresì (nella seconda parte) l’applicazione del cumulo giuridico nel caso del cd. concorso materiale omogeneo, che si ha quando con più azioni od omissioni si commettono diverse violazioni “formali” della stessa disposizione.

Il comma 2 dello stesso art. 12 prevede poi, sempre limitatamente a quanto rileva nel presente giudizio, il cumulo giuridico per il caso di commissione, anche in tempi diversi, di più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.

Orbene, nella specie, per quanto argomentato nei punti precedenti, trattasi di ipotesi di concorso materiale omogeneo

rientrante nella previsione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 1, seconda parte, avendo la contribuente commesso, con più omissioni (ancorchè per ritardo), diverse violazioni “formali”, nel senso già innanzi ampiamente evidenziato, e non “sostanziali” della stessa disposizione (per la ricostruzione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 1, con particolare riferimento al concorso formale ed a quello materiale oltre che in merito all’applicabilità del cumulo giuridico in merito alle ipotesi di concorso materiale di violazioni “formali” e non “sostanziali”, si vedano anche Cass. sez. 5, 16/01/2019, n. 901, Rv. 652459-01, anche in motivazione, la quale chiarisce che l’operatività del cumulo giuridico di cui al citato art. 12, comma 1, è esclusa per le violazioni sostanziali, e Cass. sez. 5, 25/06/2014, nn. 14401 e 14402).

Per converso la CTR, qualificando come “sostanziale” una tipologia di violazione invece “formale” (punibile in quanto non “meramente formale”), ha sostanzialmente escluso tout court l’operatività nella specie del cumulo giuridico.

5.2. Il motivo quinto deve pertanto essere accolto, in applicazione del seguente principio di diritto, enunciato ex art. 384 c.p.c..

“In tema di sanzioni amministrative tributarie, il cumulo giuridico di cui il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 1, è suscettibile di operare anche nelle ipotesi di cd. concorso materiale omogeneo, che si ha quando con più azioni od omissioni si commettono diverse violazioni, della stessa disposizione, “formali” e non “sostanziali” perchè non incidenti sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo ma tali da arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo; sicchè esso è suscettibile di operare, come nella specie, nel caso di plurime ritardate autofatturazioni (e delle conseguenti registrazioni), nel sistema di inversione contabile (c.d. reverse charge), rispetto al preciso momento dell’estrazione dei beni dal deposito IVA, di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comunque avvenute nel termine per la comunicazione della dichiarazione periodica IVA.”-

6. In conclusione, in accoglimento dei motivi quarto e quinto (nei termini e limiti di cui innanzi), la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale per la Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie i motivi quarto e quinto di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale per la Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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