Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28938 del 04/12/2017

Cassazione civile, sez. VI, 04/12/2017, (ud. 10/10/2017, dep.04/12/2017),  n. 28938

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza n. 1344/2015 la Corte d’appello di Bologna, investita dell’impugnazione proposta M.P., ha riformato la sentenza di primo grado che – dichiarando la separazione personale della stessa dal coniuge T.D. – aveva posto a carico del medesimo l’obbligo di corrispondere alla moglie un assegno mensile di mantenimento di Euro 2000, disponendo per l’effetto l’aumento di tale assegno a Euro 2900, ferme le altre statuizioni.

A sostegno della decisione la Corte d’appello ha rilevato che:

– benchè manchi la prova di un accordo tra i coniugi affinchè la moglie non lavorasse per dedicarsi alla famiglia, la – condivisione di una tale scelta è insita nei fatti oggettivi e incontroversi emersi in corso di causa;

– l’entità dell’assegno di separazione va determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato, ossia, secondo l’insegnamento giurisprudenziale, raffrontando le rispettive situazioni reddituali e patrimoniali dei coniugi, sulla scorta dei dati che ne consentano una ricostruzione attendibile, al fine di assicurare al coniuge economicamente più debole un tenore di vita tendenzialmente simile a quello goduto in costanza di matrimonio;

– il T. è un professionista affermato ed è proprietario di numerosi immobili, mentre la M. non ha fonti di reddito diverse dall’assegno percepito dal coniuge e non dispone di proprietà immobiliari;

– la M. vive con la figlia nella casa familiare soggetta al canone di locazione di Euro 1830 mensili; per il T. la separazione non ha comportato un aumento di spese, dal momento che già in costanza di matrimonio egli viveva stabilmente a (OMISSIS) e la moglie a (OMISSIS), perciò già allora era gravato dei costi di entrambe le abitazioni.

Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione T.D. affidandosi a due motivi, accompagnati da memoria ex art. 380bis c.p.c., comma 2.

Resiste con controricorso M.P..

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c. nonchè omesso esame di fatti decisivi e motivazione apparente e perplessa. La Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il contributo economico ex art. 156 c.c. deve essere connotato in termini di ragionevolezza, equità ed equilibrio, anche in considerazione della circostanza che la M. ha ottenuto, di fatto, un contributo economico per il canone di locazione superiore alle sue effettive esigenze abitative. Il fatto storico di cui la Corte d’appello ha omesso l’esame è costituito dall’incapienza, del reddito del ricorrente rispetto agli ulteriori oneri imposti dalla sentenza impugnata, come emerge dalle risultanze istruttorie.

Con il secondo motivo il ricorrente riproduce le deduzioni e le conclusioni rassegnate nel giudizio d’appello ai fini dell’eventuale decisione nel merito che questa Corte dovesse assumere.

Il primo motivo è manifestamente infondato, tanto sotto il profilo della violazione di legge, quanto sotto il profilo del vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Quanto al primo profilo, concernente la violazione dell’art. 156 c.c. e la correttezza del parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio in relazione alla commisurazione dell’assegno, deve osservarsi, come anche di recente statuito da questo Supremo Collegio, che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass. n. 12196 del 16/05/2017, rv. 644070 – 01). Non conferente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 11/2015, in quanto relativa all’assegno divorzile.

Quanto al secondo profilo, concernente il dedotto vizio motivazionale, deve rilevarsi che la Corte d’appello ha, del tutto, incensurabilmente, accertato la sproporzione reddituale e patrimoniale tra le parti e aumentato l’assegno di mantenimento in favore del coniuge in particolare perchè la pregressa determinazione era quasi interamente destinata al pagamento del canone locatizio, che già in costanza di matrimonio veniva pagato dal T.. Non sussistente, pertanto, il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo alla stregua del parametro dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite n. 8053/2014, giacchè “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (ex multis, Cass. 26599/2017).

Le argomentazioni esposte dal T. nella memoria depositata non offrono elementi per superare i predetti rilievi. In particolare, non merita di essere condivisa la contestazione di erroneità della pronuncia impugnata in ragione della mancata considerazione dell’astratta capacità lavorativa della M., perchè – come anche di recente statuito da questa Corte – “in riferimento all’assegno di mantenimento a seguito di separazione, l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto Attore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche” (Cass. n. 789/2017).

Il secondo motivo è assorbito dalla natura condizionata della censura. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in Euro 3000 per compensi, Euro 100 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2017

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