Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28937 del 04/12/2017

Cassazione civile, sez. VI, 04/12/2017, (ud. 10/10/2017, dep.04/12/2017),  n. 28937

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza del 18/11/2015 la Corte d’appello di Ancona ha respinto parzialmente il reclamo proposto da M.S. avverso il decreto del Tribunale di Fermo che – pronunciandosi sul ricorso proposto dall’ex marito F.G. ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 per la modificazione delle condizioni di divorzio – disponeva la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare alla reclamante e l’obbligo di versamento in suo favore dell’assegno divorzile di 550,00 Euro.

In via preliminare la Corte d’appello ha respinto l’eccezione di nullità della sentenza del tribunale per essere stato il provvedimento appellato redatto da un g.o.t., rilevando che la limitazione attinente alle materie da trattare da parte dei giudici onorari è riferibile a normazione di carattere secondario per la quale non è stabilita alcuna sanzione di nullità.

Quanto al merito, ha ritenuto pienamente giustificata la revoca dell’assegnazione della casa familiare, in quanto il figlio maggiorenne, nel cui interesse tale assegnazione era stata disposta, non vi abita più essendosi trasferito. Infine, riformando sul punto il decreto impugnato, ha rideterminato la misura dell’assegno divorzile in favore di M.S. in Euro 700,00, in considerazione delle condizioni personali e patrimoniali degli ex coniugi.

Avverso suddetta pronuncia ricorre per cassazione M.S. sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso F.G..

Le parti non hanno depositato memorie ex. art. 380bis c.p.c., comma 2.

Col primo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza di primo grado ex art. 50 quater e 161 c.p.c., per violazione dell’art. 106 Cost., comma 2, che prevede che i magistrati onorari possano essere nominati per tutte le funzioni attribuite a giudici “singoli”, così escludendo che un g.o.t. possa far parte di un collegio; nonchè per violazione dell’art. 43b1s Legge ord. giud. Le norme emanate dal C.S.M., benchè di rango secondario, costituiscono diretta attuazione del dettato costituzionale.

Col secondo motivo la ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha omesso di motivare sullo specifico motivo di doglianza riguardante l’inammissibilità dell’istanza formulata dal F. L. n. 898 del 1970, ex art. 9, per assenza di “sopravvenuti giustificati motivi”. Sostiene che il semplice cambio di residenza da parte del figlio, non ancora economicamente indipendente, non sia sufficiente ad avanzare richiesta di revoca dell’assegnazione della casa familiare. Il Collegio ha mancato pure di tener conto in tal senso delle sue condizioni economiche ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6.

Col il terzo motivo viene denunciata la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e dell’art. 112 e 115 c.p.c., perchè la Corte d’appello, senza tener conto della sperequazione economica delle parti, ha fissato in 700 Euro l’importo dell’assegno divorzile anzichè nella somma di 1400 Euro che la stessa ricorrente aveva domandato in via riconvenzionale in caso di revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

Il primo motivo è manifestamente infondato alla luce del costante orientamento di questa Corte secondo il quale: “i giudici onorari – sia in qualità di giudici monocratici che di componenti di un collegio – possono decidere ogni processo e pronunciare qualsiasi sentenza per la quale non vi sia espresso divieto di legge, con piena assimilazione dei loro poteri a quelli dei magistrati togati, come si evince dall’art. 106 Cost., cosicchè, in ipotesi siriane, deve escludersi la nullità della sentenza per vizio relativo alla costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all’ufficio, ossia non investita della funzione esercitata. Nè a diversa conclusione può indurre il R.D. n. 12 del 1941, art. 43 bis che vieta ai giudici onorari di tenere udienza se non in caso di impedimento o mancanza dei giudici ordinari, espressione quest’ultima da intendersi come comprensiva di quelle situazioni di sproporzione fra organici degli uffici e domanda di giustizia, rispetto alle quali l’impiego della magistratura onoraria conserva una funzione suppletiva e costituisce una misura apprezzabile nell’ottica di un’efficiente amministrazione della giustizia (artt. 97 e 111 Cost.)”. (Cass. 22845 del 2016).

D’altra parte la normazione secondaria del C.S.M., invocata dalla ricorrente, non è evidentemente idonea a configurare una nullità non prevista dalle norme di legge (Cass. n. 1376 del 31/01/2012).

Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato. Viene lamentata, da un lato, l’omessa motivazione sull’eccezione, sollevata dalla M. in primo grado, di inammissibilità del ricorso, proposto dal F. L. n. 898 del 1970, ex art. 9, per insussistenza di “giustificati motivi”; dall’altro lato, viene dedotta la violazione dell’art. 337 sexies c.c..

Deve rilevarsi innanzitutto che, come risulta chiaramente dalla sentenza impugnata (pag. 4), il trasferimento del figlio della coppia è un fatto sicuramente sopravvenuto rispetto alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Tale circostanza può ben costituire, come correttamente argomentato dalla Corte d’appello, motivo di revoca dell’assegnazione della casa familiare, di cui il F. è proprietario esclusivo (cfr. Cass. n. 1491 del 21/01/2011).

Il terzo motivo è inammissibile in quanto consiste in censure di merito miranti a porre in discussione l’accertamento di fatto della Corte d’appello, insindacabile in quanto del tutto adeguatamente argomentato. La sentenza, invero, ha disposto l’aumento dell’importo dell’assegno in favore della M. (sebbene non nella misura da essa richiesta) tenendo conto delle differenze patrimoniali e reddituali tra gli ex coniugi e della revoca dell’assegnazione della casa familiare.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in Euro 3000 per compensi, 100 per esborsi, oltre accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2017

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