Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28936 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 17/12/2020), n.28936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

su, ricorso 21309-2012 proposto da:

VAGA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA CORSO VITTORIO EMANUELE II 287,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO IORIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE FALCONE, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

sul ricorso 30060-2014 proposto da:

VAGA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE II 287,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO IORIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE FALCONE, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 203/2011 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il.14/12/2011;

avverso la sentenza n. 134/2013 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il 29/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. NOVIK ADET TONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento del primo e

secondo motivo, assorbimento dei motivi dal terzo al decimo,

inammissibilità dei motivi undicesimo e dodicesimo dei ricorsi;

udito per il ricorrente l’Avvocato FALCONE che ha chiesto

l’accoglimento dei ricorsi;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto il

rigetto dei ricorsi.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con le sentenze n. 134/03/10 e 135/03/10 del 13/5/2010, la Commissione Tributaria Provinciale di Pavia ha parzialmente annullato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della VAGA S.r.l. (di seguito, la società o la ricorrente) per il periodo di imposta 2005-2006 ai fini Ires, Irap e Iva, relativamente alla ripresa, comune ad entrambi i periodi, di indeducibilità di costi per materiale non lavorato; ha confermato le riprese per omessa fatturazione di ricavi per il 2005 e indeducibilità di “spese per sponsorizzazioni” per Euro 15.972,00 nel 2005 e Euro 8737,00 nel 2006.

2. Con sentenza n. 203/06/11, depositata il 14/12/2011, la CT della Regione Lombardia, riuniti tutti gli appelli, ha rigettato sia quelli proposti dall’Agenzia delle Entrate sia quelli incidentali della società, confermando le decisioni di primo grado.

3. All’esito dello scrutinio dei motivi di impugnazione, la CTR lombarda:

– rilevava l’inammissibilità, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, dei motivi aggiunti proposti dalla ricorrente con le memorie depositate in primo grado con cui era stata censurata la omessa valutazione da parte dell’ufficio delle osservazioni espresse dalla società quanto alla ricostruzione del processo produttivo ed alla mancanza di un accertamento fisico delle rimanenze-, costituenti motivi degli appelli incidentali;

– riteneva legittimo il rinvio per relazione dell’avviso di accertamento al contenuto del PVC redatto dalla Guardia di Finanza;

– rilevava, quanto alla omessa fatturazione e dichiarazione di ricavi, in conformità a quanto affermato dal primo giudice, che nel PVC erano riportate le motivazioni e il processo logico seguito dalla Guardia di Finanza per la rideterminazione del reddito dichiarato dalla ricorrente, operato sulla base dei dati dalla stessa forniti in contraddittorio (materie prime utilizzate e perdite di lavorazione), quali risultanti da tabulati in suo uso;

– riteneva “del tutto pretestuosa” la contestazione circa l’omesso reale riscontro fisico sulla gestione del magazzino, atteso che la ricostruzione si fondava sui tabulati predisposti dalla stessa ricorrente, “ciò qualora si potesse prescindere dalla inammissibilità del motivo formulato per la prima volta nelle memorie”;

– considerava, quanto alle spese per sponsorizzazioni che “la generica indicazione dell’oggetto della prestazione descritta nelle fatture prodotte, le rendeva inidonee a integrare la prova dell’inerenza della spesa nei sensi precisati dalla Corte di Cassazione, il cui orientamento si condivide”.

4. Il ricorso, rubricato al n. 21809/12, è affidato a 12 motivi; l’agenzia delle entrate ha resistito con “atto di costituzione”, al solo fine di essere ammessa a partecipare alla discussione orale della causa ex art. 370 c.p.c..

5. Con distinto atto, iscritto al n. 30060/14, la società ha impugnato la sentenza n. 134/43/13 del 8 ottobre 2013, depositata il successivo 29 ottobre, con cui la Commissione Tributaria Regionale di Milano ha respinto il ricorso da essa presentato per la revocazione della sentenza n. 203/06/11, emessa il 1 dicembre 2011, in relazione all’errore che il giudice avrebbe commesso nel ritenere l’inammissibilità dei motivi di appello nella ricostruzione dei maggiori ricavi, perchè proposti con motivi aggiunti con le memorie illustrative depositate in primo grado.

6. A ragione di questa decisione, la CTR lombarda affermava che il ricorso per revocazione era precluso, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, comma 1, per essere stata la sentenza di merito impugnata con ricorso per cassazione.

7. Il ricorso della società è affidato ad un unico motivo; l’agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

8. La società, in entrambi i giudizi, ha depositato distinte memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Occorre preliminarmente disporre la riunione dei giudizi, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., per evidente stretta interdipendenza.

2. Quanto al ricorso contraddistinto al n. 21809/12, con i primi due motivi di ricorso, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 32 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè per omessa, insufficiente, apparente ed incongrua motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la CTR dichiarato inammissibile l’eccezione proposta dalla società sin dai ricorsi introduttivi, trascritti in parte qua nel ricorso per cassazione, e relativa alla illegittimità della ricostruzione cartolare delle materie prime vendute ed acquistate dalla società, in assenza di un accertamento fisico delle rimanenze, come prescritto dal D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4.

I motivi, da esaminarsi in congiunzione, sono inammissibili.

Alla fattispecie si attaglia, infatti, ad avviso del Collegio, l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale è inammissibile, per carenza di interesse in quanto estraneo alla effettiva ratio decidendi, il ricorso per cassazione con il quale si contesti l’avvenuto rilievo in motivazione, da parte del giudice di appello, dell’inammissibilità di motivi di impugnazione, ove tale rilievo sia avvenuto ad abundantiam e costituisca un mero obiter dictum, che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui ratio decidendi è, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure (Cass. nn. 30354 del 2017, 22782 e 29305 del 2018). Ed è questo il caso che qui rileva, in quanto la CTR, pur avendo inizialmente rilevato l’inammissibilità dei motivi aggiunti, li ha poi esaminati nel merito, rigettandoli, affermando che l’organo accertatore aveva “ricostruito le quantità delle materie prime in contraddittorio con la ricorrente e sulla base dei dati, documenti e notizie forniti dalla stessa, la quale non ha avanzato, in sede di redazione del PVC, alcuna riserva in ordine al metodo utilizzato dalla GdF per tale determinazione delle quantità e in ordine ai relativi risultati, limitandosi ad affermare genericamente l’alto rischio di errore insito nella ricostruzione del processo produttivo operata dalla GdF senza, tuttavia, segnalare a quest’ultima quali fossero in concreto gli errori da essa effettuati onde immediatamente correggerli, qualora fossero stati ritenuti effettivamente sussistenti” e, più avanti, “come ammette la stessa ricorrente la ricostruzione operata dalla GdF si è fondata sui dati risultanti dai tabulati da essa predisposti”; deve, quindi, ritenersi, che il giudice d’appello, nell’esaminare la censura nel merito, rigettandola, non abbia inteso spogliarsi della potestas iudicandi con l’iniziale rilievo di inammissibilità, cui va pertanto attribuito il valore di obiter dictum, meramente rafforzativo della decisione di rigetto del gravame.

3. Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, la società eccepisce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,artt. 113,116 c.p.c., artt. 2727,2728 e 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè il correlato vizio di nullità parziale della sentenza (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver il giudice a quo assegnato un valore di presunzione legale alla ricostruzione cartolare delle materie prime vendute ed acquistate dalla società, in assenza di un accertamento fisico delle rimanenze come prescritto dal D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4. La parte ricorrente sostiene che la guardia di finanza aveva ipotizzato gli illeciti contestati di acquisto e vendita di merci “in nero” all’esito di una complessa elaborazione e valutazione dei dati documentalmente verificati, trascritta in parte qua nel ricorso per cassazione, che era stata acriticamente recepita dall’agenzia. Da ciò conseguiva, a suo giudizio, che l’accertamento, fondato su ipotesi e in assenza delle prove richieste dal D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4 – derivazione dei dati da scritture obbligatorie, riscontro sul campo della esistenza fisica degli elementi al momento dell’accesso-, non consentiva l’operatività della presunzione legale di cessione di beni e si poneva in contrasto sul punto con la Circolare dell’Agenzia delle entrate n.:1/360.000 del 30 ottobre 1998.

L’ufficio, rileva la parte ricorrente, ben avrebbe potuto utilizzare altro tipo di presunzioni, diverse da quelle legali, ma avrebbe dovuto specificare il tipo di accertamento di cui intendeva avvalersi per consentire, stante la differenza tra i metodi di accertamento anche con riferimento al tipo di presunzioni utilizzabili, al giudice e alla parte di valutare la valenza probatoria, “anche e soprattutto con riferimento all’eventuale inversione dell’onere della prova che si dovesse verificare (se si dovesse verificare)”.

Con il quinto motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,artt. 113,116 c.p.c., artt. 2727,2728 e 2729 c.c. è riproposta nell’ottica della nullità parziale della sentenza (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per aver la CTR reso una motivazione apparente e fittizia.

Anche queste censure, che possono essere esaminate unitariamente, sono infondate, avendo la CTR correttamente affrontato le questioni proposte, che sono state risolte con corretta applicazione delle norme.

Il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441 (regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto), dopo aver stabilito, per quanto qui interessa, all’art. 1, comma 1, che “si presumono ceduti i beni acquistati, importati.o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, nè in quelli dei suoi rappresentanti”, dispone, all’art. 4, che: “1. Gli effetti delle prèsunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano al momento dell’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche. 2. Le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 14, comma 1, lett. d), o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo”. Ne deriva, come si legge nella sentenza n. 9628/12 di questa Sezione, che, ai fini dell’operatività della presunzione legale (relativa) di cessione, occorre che la differenza quantitativa, in negativo, tra beni esistenti nei luoghi sopra indicati e quelli acquistati, importati o prodotti risulti o a seguito della verifica fisica dei beni giacenti, oppure dal confronto – “differenza inventariale” – tra la consistenza delle rimanenze registrate e le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d), o di altra documentazione obbligatoria.

Pertanto, nel caso in cui – come si legge alla pag. 4 della sentenza impugnata – i “materiali non lavorati” non erano stati riscontrati fisicamente attraverso un inventario delle merci in magazzino, si è fuori dall’ambito applicativo della disciplina dettata dal D.P.R. n. 441 del 1997.

Tuttavia, l’inoperatività delle presunzioni legali di cessione, sintagma di cui nella sentenza non c’è menzione, non comporta, come pretende la società, anche l’inapplicabilità delle norme generali in tema di accertamento delle imposte (in specie, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54), le quali consentono la rettifica delle dichiarazioni anche sulla base di presunzioni semplici dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. Invero, per giurisprudenza consolidata di legittimità, la contabilità non ufficiale, tenuta dal contribuente e rinvenuta dai verificatori o spontaneamente esibita (cfr. Cass. nn. 6949 del 2006, 7184 del 2009), costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, perchè nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 e s.s. c.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino in termini quantitativi o monetari, i singoli atti di impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria (Cass. Civ., 23 maggio 2018, n. 12680). Ne consegue che ben potevano essere oggetto di valutazione, in virtù delle norme citate, sia ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento, sia ai fini della successiva decisione del giudice, i “tabulati predisposti per mero uso interno gestionale” forniti dalla ricorrente (già è stato affermato che, al fine della rettifica della dichiarazione IVA per differenze delle merci giacenti rispetto a quelle contabilizzate, la mancanza di un inventario “fisico” di dette merci giacenti, necessario per rendere operante la presunzione di cessione delle merci non rinvenute, di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53, comma 1, non osta, alla stregua dell’art. 54 del citato decreto, a che l’ufficio possa avvalersi di altre scritture, diverse da quelle obbligatorie vidimate e bollate – nella specie, prospetti di “differenze inventariali” redatti dal contribuente -, dalle quali siano desumibili omissioni, falsità od inesattezze della denuncia: Cass. n. 479 del 1991).

4. Con il sesto motivo di ricorso, la società denuncia omessa e/o insufficiente e/o apparente motivazione (in relazione all’art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sul punto fondamentale della ricostruzione documentale del magazzino delle materie prime vendute ed acquistate senza aver compiuto una rilevazione fisica delle merci come prescritto dal D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4. Sostiene la parte ricorrente che la CTR non aveva esaminato l’eccezione proposta sulla illegittimità della ricostruzione del magazzino.

La censura è infondata: la CTR, come rilevato ai precedenti paragrafi 2 e 3, ha ben tenuto presente che la GdF non aveva proceduto ad inventariare le merci e ha ritenuto “pretestuosa” la contestazione difensiva per essersi la operata ricostruzione validamente e correttamente fondata “sui tabulati predisposti dalla stessa ricorrente”.

5. Con il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,artt. 113,116 c.p.c., artt. 2727,2728 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè il correlato vizio di nullità parziale della sentenza (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per aver il giudice a quo assegnato valore di presunzione legale ad un fatto privo di tali caratteristiche. Sostiene la società che anche se si dovesse ritenere che la CTR aveva fatto applicazione di una presunzione semplice, anzichè legale, la Commissione non aveva indicato quali erano le presunzioni gravi, precise e concordanti utilizzate, su quali fatti esse poggiavano e quali elementi di probabilità rendevano credibile ed affidabile la valutazione dell’organo accertatore. Ad avviso della ricorrente, era obbligo del giudice utilizzare la via obbligata indicata dal legislatore, laddove, solo in casi eccezionali, nella situazione non ricorrente, era possibile seguire una via alternativa. Secondo questa impostazione, la CTR avrebbe violato le regole contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, artt. 2727,2728 e 2729 c.c. non avendo indicato “i fatti certi, le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, il ragionamento probatorio rappresentativo del necessario nesso fra fatti ed effetti”.

Con il decimo motivo di ricorso, si censura, sotto il profilo della omessa e/o insufficiente e/o apparente motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’utilizzo come elemento di prova della presunzione semplice derivante dalla ricostruzione documentale del magazzino (nei termini esposti sub 6, cui si fa rinvio).

Le censure sono infondate. Richiamato quanto esposto ai precedenti paragrafi, va ricordato che, in tema di accertamento analitico induttivo dei redditi di impresa, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa (Cass. 22 dicembre 2017, n. 30803; Cass. 16 novembre 2011, n. 24051, con riferimento a brogliacci reperiti presso la sede della società; Cass. 27 febbraio 2015, n. 4080, in relazione ad un quadernone contenente l’indicazione degli effettivi quantitativi di materiale prodotto; Cass. 3 ottobre 2014, n. 20902, per la necessità della comparazione tra i dati acquisiti e quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente), e che, ai fini degli accertamenti tributari, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzioni siano plurimi, benchè all’art. 2729 c.c., comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, art. 39, comma 4, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 si esprimano al plurale, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su un unico elemento, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico, non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia sorretto, come nella specie, da una adeguata motivazione che sia immune da contraddittorietà (Cass. n. 17574 del 29/7/2009; Cass. n. 656 del 15/1/2014; Cass. n. 2155 del 25/1/2019).

Nel caso in esame, la CTR, nel respingere l’analoga eccezione sollevata nel corso del giudizio, ha affermato che la ricostruzione delle quantità’ di materie prime era avvenuta sulla base di dati certi, desunti dai tabulati interni predisposti dalla parte ricorrente, altresì chiarendo che in sede di redazione del PVC la società non aveva sollevato alcuna obiezione sul metodo adottato e che avverso il procedimento di quantificazione dei prezzi di vendita e/o acquisto e/o produzione dopo la notifica del PVC la stessa non aveva sollevato nessuna doglianza.

6. Con il nono motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione delle norme che impongono l’obbligo della motivazione è riproposta nell’ottica della motivazione soltanto apparente (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e delle regole sul giusto processo) per aver la CTR assegnato “valore di presunzione semplice ad un fatto privo di tali caratteristiche”.

La censura è infondata per le ragioni in precedenza esposte. La CTR si è pronunciata sulla validità dell’accertamento, onde la questione si riduce alla verifica della legittimità della motivazione adottata che esula dal vizio dedotto nella rubrica.

7. Con l’undicesimo ed il dodicesimo motivo di ricorso, la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 109 Tuir (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e connesso vizio motivazionale (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sulla indeducibilità dei costi per sponsorizzazioni, ritenendo sufficienti a comprovare il costo sostenuto la fattura e l’imputazione al conto economico. Si sostiene che la CTR avrebbe ritenuto generica la fattura senza indicare gli elementi in essa scritti.

Le censure sono infondate. La costante giurisprudenza di legittimità afferma che “perchè un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Per provare tale ultimo requisito (il cui onere incombe evidentemente al contribuente), non è sufficiente, poi, che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa ” (Cass. n. 6650 del 2006; conf. Cass. n. 23866 del 2007, n. 9196 del 2011 e, più recentemente, Cass. n. 11241 del 2017). La decisione della CTR si è conformata al predetto principio, laddove ha riconosciuto che “la generica indicazione dell’oggetto della prestazione descritta nelle fatture prodotte, le rendeva inidonee a integrare la prova dell’inerenza della spesa nei sensi precisati dalla Corte di Cassazione, il cui orientamento si condivide”.

La sentenza impugnata con tale primo ricorso va, dunque, confermata.

8. Quanto al ricorso n. 30060/14, con l’unico motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per “violazione e/o falsa applicazione di legge (del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 50 e art. 64, comma 1, art. 398 c.p.c., art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione delle regole del giusto processo, nullità della sentenza nella parte in cui la CTR ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione per errore di fatto sul presupposto che avverso la stessa sentenza la società aveva proposto contemporaneamente ricorso per Cassazione “. Con richiamo al tessuto normativo e alle opinioni della Dottrina, la parte ricorrente sostiene che “la valutazione dell’errore di fatto appartiene in via esclusiva ai giudici di Merito ed è sottratto al giudizio della Cassazione, anche quando viene proposto ricorso per Cassazione avverso quella sentenza “.

Osserva il Collegio che, in relazione al rigetto del ricorso principale, viene a mancare per la ricorrente società ogni interesse alla decisione di questo ricorso, atteso che, da un suo eventuale accoglimento, non potrebbe conseguire per essa nessun risultato favorevole.

Le spese del giudizio di legittimità nel procedimento R.G.N. 21809/12 seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, mentre nel procedimento R.G.N. 30060/14 vanno compensate in considerazione della sopravvenienza della causa di inammissibilità.

PQM

La Corte, riunisce il ricorso R.G. N. 30060/2014 al ricorso R.G. N. 21809/2012; rigetta il ricorso R.G. N. 21809/2012 proposto dalla società Vaga s.r.l. che condanna al pagamento delle spese in favore dell’agenzia che liquida in Euro 6.000, oltre spese prenotate a debito; dichiara inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso R.G. N. 30060/2014 e compensa le spese tra le parti.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3.

Così deciso in Roma, nell’udienza pubblica, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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