Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28933 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 08/11/2019), n.28933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5363-2014 proposto da:

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA BASILICATA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OMBRONE 14,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAPUTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENZO FAGGELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 604/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 26/11/2013 R.G.N. 776/2012.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza depositata il 26 novembre 2013 la Corte d’appello di Potenza dichiara inammissibile l’appello principale dell’Ufficio scolastico regionale per la Basilicata avverso la sentenza del locale Tribunale n. 1082/2012 e dichiara inefficace l’appello incidentale di C.S. proposto contro la medesima sentenza;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) l’appellante – che aveva l’onere di contestare la natura premiale-risarcitoria del riconosciuto diritto alla rivalutazione del periodo di lavoro prestato all’estero dal ricorrente, indicando le norme asseritamente violate dal primo Giudice – invece si è limitato a reiterare le argomentazioni spese in primo grado, in particolare riproponendo la questione di omnicomprensività della retribuzione del dirigente, senza alcuna censura in merito alla natura del suindicato beneficio e senza prospettare un diverso schema di decisione che “superate le argomentazioni del primo giudice contenga i passaggi per una diversa conclusione”;

b) pertanto, l’appello principale deve essere dichiarato inammissibile con conseguente inefficacia dell’appello incidentale;

c) comunque, nel merito, l’appello principale non meriterebbe l’accoglimento perchè, anche dopo l’introduzione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24 il servizio prestato nelle scuole italiane all’estero comporta maggiore impegno per il dipendente e risponde ad un peculiare interesse dello Stato e ciò giustifica che esso resti indifferente rispetto al principio di omnicomprensività della retribuzione (vedi Cass. SU 29 luglio 2011, n. 16632);

d) destituito di fondamento è pure l’unico motivo del ricorso incidentale visto che “la giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in materia pensionistica riguarda non solo le controversie aventi ad oggetto il diritto o la quantificazione della prestazione ma anche le domande di risarcimento del danno per inadempimento delle obbligazioni derivanti da tale rapporto” (Cass. SU 7 gennaio 2013, n. 153);

che avverso tale sentenza l’Ufficio scolastico regionale per la Basilicata, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, propone ricorso affidato ad un unico motivo, al quale oppone difese C.S., con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1 e art. 434 c.p.c., contestandosi la dichiarazione di inammissibilità dell’appello principale in quanto, diversamente da ciò che ha affermato la Corte d’appello – con una impostazione che si ritiene “eccessivamente formalistica” il suddetto atto di gravame era del tutto conforme a quanto stabilito dalle norme processuali richiamate;

che ciò è dimostrato dal fatto che la Corte territoriale ha comunque esaminato nel merito le censure dell’Amministrazione le quali quindi erano chiaramente individuabili;

che in questa sede non viene contestato quanto affermato dalla Corte d’appello in ordine al merito delle censure proposte dalla P.A. nell’atto d’appello precisandosi al riguardo che, nel rito del lavoro, il dispositivo prevale sulla motivazione e che il merito della vicenda potrà essere esaminato in sede dell’auspicato giudizio di rinvio;

che il ricorso va dichiarato inammissibile;

che in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) il principio della necessaria specificità dei motivi di appello – previsto dall’art. 342 c.p.c., comma 1, e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 c.p.c., comma 1, nella formulazione anteriore alla novella operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione (vedi, per tutte: Cass. 20 marzo 2013, n. 6978, citata in ricorso);

b) in base alla suddetta disciplina (così come per quella successiva) la verifica relativa alla sussistenza del requisito della specificità dei motivi di appello deve essere effettuata in concreto, onde stabilire quando l’atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate e quindi possa porre il giudice in condizione di comprendere con certezza il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva, non essendo richiesta nè l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, nè una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione (tra le tante: Cass. 19 febbraio 2009, n. 4068; Cass. 23 ottobre 2014, n. 22502);

c) questa operazione si risolve in una valutazione del fatto processuale che impone una verifica in concreto, ispirata ad un principio di simmetria e condotta alla luce del raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame, nel senso che quanto più approfondite e dettagliate risultino le argomentazioni del primo, tanto più puntuali devono profilarsi quelle utilizzate nel secondo per confutare l’impianto motivazionale del giudice di prime cure (ex multis: Cass. 23 febbraio 2017, n. 4695, anch’essa con riguardo al requisito della specificità dei motivi dettato dall’art. 342 c.p.c., nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012 cit., art. 54, comma 1, lett. a);

d) pertanto, al fine di consentire a questa Corte di effettuare l’indicata verifica in concreto è necessario che – in base al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione – l’interessato trascriva nel ricorso non soltanto l’atto d’appello in contestazione – come, nella specie, è avvenuto – ma anche le argomentazioni della parte motiva della sentenza di primo grado il cui contenuto costituisce l’imprescindibile termine di riferimento per la anzidetta verifica in concreto del rispetto del paradigma di cui agli artt. 342 e 434 c.p.c. (vedi, per tutte: Cass. 4 febbraio 2019, n. 3194);

e) è jus receptum che, in base al suindicato principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – il ricorrente che denunci il difetto o l’erroneità nella valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare nel ricorso specificamente il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477; Cass. 8 aprile 2013, n. 8569);

f) tale principio si applica anche alle censure con le quali si denunciano ipotizzati errores in procedendo, come accade nella specie. Infatti, il fatto che, in tale ultima ipotesi, la Corte di cassazione sia giudice anche del “fatto processuale” ed abbia il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la Corte stessa debba ricercare gli atti autonomamente, essendo, invece, la parte interessata tenuta ad assolvere il suddetto duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, (a pena di inammissibilità) e all’art. 369 c.p.c., n. 4, (a pena di improcedibilità del ricorso), indicando nel ricorso specificamente il contenuto essenziale del documento di cui si assume l’erronea interpretazione da parte del giudice del merito (trascrivendolo) e fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (Cass. 5 agosto 2019, n. 20923; Cass. 17 gennaio 2007, n. 978; Cass. SU 14 maggio 2010, n. 11730);

che la mancata trascrizione da parte dell’attuale ricorrente del contenuto della sentenza di primo grado impedisce, quindi, la necessaria verifica di pertinenza e specificità delle censure articolate con l’atto di gravame da parte dell’Ufficio scolastico regionale per la Basilicata ed in definitiva della astratta idoneità delle stesse ad incrinare il fondamento logico giuridico delle argomentazioni che sorreggono il dispositivo, come invece ritenuto dalla Corte d’appello;

che, pertanto, in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

che nulla va disposto con riguardo al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, non potendo tale normativa trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, quale è quella ricorrente (vedi, per tutte, in tal senso: Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4500,00 (quattromilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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