Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28931 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 17/12/2020), n.28931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15956/2013 R.G. proposto da:

G.A., P.C. e G.G., in

proprio e quali soci della Gruppo di Famiglia G.A.

s.d.f., elettivamente domiciliati in Roma, via Po n. 9, presso lo

studio dell’avv. Francesco Napolitano, che li rappresenta e difende

con l’avv. Giovanni Re, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti e controricorrenti incidentali –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 62/34/2013 della Commissione tributaria

e nei confronti di

Ga.Gi.

– intimata –

avverso la sentenza n. 62/34/2013 della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata in data 17 aprile 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio

2020 dal Consigliere Paolo Fraulini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale per la Campania, giudicando in fase di rinvio, ha confermato l’avviso di rettifica parziale a fini IVA emesso dall’Ufficio di Napoli (OMISSIS) per l’anno 1998 dichiarando esistita una società di fatto tra G.A., la moglie C. e il figlio G.G., annullandolo invece per quanto riguarda la posizione della figlia Ga.Gi..

2. Ha rilevato la CTR che l’eccezione di giudicato esterno, sollevata dai contribuenti in relazione a pronunce tra le stesse parti relative ad altre annualità tributarie, pur essendo ammissibile, era infondata, in quanto non invocabile per le controversie che riguardano l’1.V.A. Ha poi argomentato le ragioni della ritenuta sussistenza di una società di fatto tra G.A., la moglie C. e il figlio G. e della ritenuta estraneità al sodalizio della figlia Gi.. Ha argomentato la correttezza del metodo induttivo applicato dall’Ufficio per la determinazione del volume di affari della società di fatto; ha, infine, respinto in quanto nuova un’eccezione di tardività dell’emissione dell’avviso impugnato.

3. Per la cassazione della citata sentenza G.A., P.C. e G.G., in proprio e quali soci della Gruppo di Famiglia G.A. s.d.f. ricorrono con otto motivi; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo, resistito dai contribuenti con controricorso.

4. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale lamenta:

a. Primo motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: Nullità della sentenza per violazione dell’art. 156 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 132 c.p.c.” deducendo la nullità della sentenza impugnata per non essere stata emessa nei confronti della società di fatto costituita dagli odierni ricorrenti.

b. Secondo motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 101 c.p.c., comma 2” deducendo che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escusso la possibilità di opporre nel caso di specie il giudicato esterno formatosi tra le parti, giacchè la giurisprudenza comunitaria ostativa riguarda solo le pratiche abusive in tema di IVA o di elusione fiscale, estranee alla fattispecie.

c. Terzo motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 36, comma 2, n. 4, in connessione con l’art. 111 Cost., comma 6” deducendo la nullità della sentenza in tema di mancata applicazione del giudicato(esterno in quanto priva delle ragioni in diritto che hanno condotto alla decisione assunta.

d. Quarto motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c.” deducendo che la CTR avrebbe formato il proprio convincimento sull’esistenza della società di fatto sulla base di elementi riferibili ad annualità precedenti rispetto al periodo di imposta in contestazione.

e. Quinto motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Illegittimità della sentenza per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti” identificato nel mancato esame dell’allegazione difensiva inerente all’insussistenza di alcuna specificazione in causa dell’oggetto sociale e comunque dell’attività commerciale della società di fatto.

f. Sesto motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2247 c.c. (e delle norme regolanti il contratto societario), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,4,10 e 13” deducendo l’erroneità dell’applicazione delle norme identificanti l’istituto della società di fatto, per avere la CTR ipotizzato che dalla mera esistenza di rapporti contrattuali fosse possibile inferire l’esistenza dell’affectio societatis tra i presunti soci e l’oggettiva organizzazione di una autonoma persona giuridica.

g. Settimo motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63” deducendo che la sentenza impugnata avrebbe omesso di applicare il principio di diritto affermato da questa Corte in fase di rinvio e relativo alla verifica dell’effettiva consistenza della base imponibile a fini Iva imputabile alla compagine societaria.

h. Ottavo motivo: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 e 56 e 55 ” deducendo l’illegittima applicazione dei criteri di determinazione induttiva del reddito di impresa.

2. L’Agenzia delle Entrate argomenta l’infondatezza del ricorso, di cui chiede il rigetto e, in via condizionata all’accoglimento del ricorso avversario, formula un motivo di ricorso incidentale lamentando la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1” per aver la CTR respinto la propria eccezione di inammissibilità della questione del giudicate esterno, siccome formulata per la prima volta dai contribuenti in fase di rinvio.

3. I ricorrenti argomentano nel proprio controricorso l’infondatezza del ricorso incidentale, di cui chiedono il rigetto.

4. Il ricorso principale va respinto.

5. Il primo motivo è infondato. E’ da escludere che nella fattispecie la società di fatto non abbia partecipato al giudizio. Invero la s.d.f. era sicuramente stata evocata nel giudizio di cassazione terminato con il rinvio alla CTR, posto che nell’epigrafe della sentenza di rinvio di questa Corte n. 19679 del 2011 si legge con chiarezza che parte del processo era anche la società di fatto Gruppo di Famiglia G.A., di cui si predicava l’esistenza tra i signori G.A., P.C., G.G. e Ga.Gi.. Il giudizio di rinvio è stato riassunto dalle persone fisiche dei supposti soci, ma è indubbio, per come la sentenza oggi impugnata ha riassunto i fatti del processo, che l’iniziativa processuale delle persone fisiche fosse anche destinata a coinvolgere la società di fatto da essi composta, di cui infatti si chiedeva anche in quella sede l’accertamento dell’insussistenza. Ne consegue che, sebbene nell’epigrafe la sentenza oggi impugnata non citi la s.d.f. come parte del giudizio, è certo che tanto le parti che il giudicante erano ben consapevoli che il giudizio aveva per oggetto precipuo la declaratoria di sussistenza (o meno) della società di fatto, evocata in giudizio nelle persone dei presunti soci costituiti in giudizio. Tanto che l’accertamento di tale esistenza era parte del compito precipuamente affidato al giudice del rinvio, per effetto dell’accoglimento del primo ricorso per cassazione proposto dall’Ufficio.

6. Il secondo motivo è infondato. Va data continuità all’indirizzo di questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 8855 del 04/05/2016; Sez. 5, Sentenza n. 19784 del 23/07/2019; Sez. 5, Sentenza n. 33596 del 18/12/2019) secondo cui le controversie in materia di I.V.A. sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dall’eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia del 3 settembre 2009, in causa C-2/08 – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza unionale come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta. Nella specie, da un lato va affermato che l’eventuale giudicato nazionale avrebbe come effetto quello di precludere l’accertamento della debenza di un tributo armonizzato che, come tale, impone allo Stato italiano obblighi di conformazione di derivazione Euro-unitaria che prescindono dall’opponibilità del giudicato interno; dall’altro che, in ogni caso, il principio di conformazione fiscale Euro-unitario in tema di tributi armonizzati non sembra limitabile a fattispecie tipizzate di pratiche abusive secondo il diritto dei singoli Stati membri, ma si pone, nella stessa giurisprudenza Europea richiamata, come elemento di tassatività e relativa imperatività del relativo accertamento, non eludibile mediante eventuali diversi esiti di fattispecie analoghe per annualità diverse da quelle considerate nella fattispecie oggetto di contenzioso.

7. Il terzo motivo è infondato, atteso che la sentenza impugnata rende, sul punto dell’esclusione dell’applicazione del giudicato, una motivazione del tutto comprensibile e scevra di elementi che ne minimo l’intellegibilità.

8. Il quarto motivo è inammissibile. Invero, la doglianza finisce per pretendere da questa Corte una nuova, e diversa, valutazione del materiale probatorio, specificamente richiamato nella motivazione della sentenza, in relazione all’individuazione dei presupposti per l’accertamento della ritenuta sussistenza di una società di fatto tra tre degli originari quattro familiari. In ogni caso, non rileva nella specie l’art. 2697 c.c., non vertendosi in tema di riparto dell’onere probatorio, ma nella diversa ipotesi di esplicitazione del ragionamento motivazionale a supporto della ritenuta sussistenza di prove idonee a dimostrare l’esistenza della società; quanto ai criteri ermeneutici, va rilevato che la CTR elenca una serie di attività, poste in essere cumulativamente dai tre soci di fatto, argomentando da esse la sussistenza della società di fatto, in quanto finalizzati alla costante opera di sostegno dell’attività di impresa, in coerenza con l’insegnamento reso sul punto da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 6299 del 16/03/2007).

9. Il quinto motivo è inammissibile. In esso non viene denunciato come omesso l’esame di un “fatto storico” decisivo, inteso correttamente come elemento naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018), bensì una qualificazione giuridica del fatto, in termini di identificazione della tipologia di impresa accertata nella specie.

10. Il sesto motivo è infondato. A pagina 9-10 la sentenza impugnata, dopo aver enucleato gli elementi indiziari ricavabili dalle prove in atti, ha indicato, per ciascuno dei tre soci della società di fatto, lo specifico contributo fornito al sodalizio e il complessivo risultato di autonoma gestione riferibile a una società tra gli stessi soggetti; resta escluso pertanto che, come lamenta il motivo in esame, siano stati trascurati elementi costitutivi della fattispecie.

11. Il settimo motivo di ricorso è infondato. Invero lo spettro del giudizio di rinvio, per come desumibile dalla lettura della prima sentenza di questa Corte n. 19678 del 2011, è stato rispettato dalla sentenza impugnata; invero, la CTR ha esplicitato i criteri sulla base dei quali ha ritenuto imputabile alla società di fatto, e per essa ai suoi soci, le operazioni induttivamente ricavate dagli operanti e trasfuse nel verbale di accertamento; così facendo ha applicato il principio di diritto enunciato da questa Corte nella citata sentenza; che l’esito di tale giudizio dovesse essere orientato in senso riduttivo rispetto all’importo contestato è un’illazione dei ricorrenti, fondata peraltro su una estrapolazione di una frase della sentenza, citata fuori dal suo contesto, che intendeva semplicemente precisare che oggetto del giudizio di rinvio dovesse essere anche il controllo della legittimità della quantificazione dell’imposta oggetto dell’avviso impugnato.

12. L’ottavo motivo è infondato. Dalla sentenza di rinvio si ricava il condivisibile principio che era onere dei contribuenti provare l’estraneità al sodalizio societario delle operazioni contestate come fonte di reddito imponibile. E tale prova non risulta minimante essere stata fornita. Sotto altro profilo, in ogni caso, la CTR motiva la ritenuta legittimità della natura induttiva dell’accertamento, citando le risultanze delle movimentazioni bancarie, per cui non v’è prova contraria dei contribuenti e l’assoluta inattendibilità delle scritture contabili delle società regolari di cui alcuni dei ricorrenti erano soci; tutti elementi che, nella giurisprudenza di questa Corte (rispettivamente, Sez. 5, Sentenza n. 1739 del 26/01/2007e Sez. 5, Ordinanza n. 6861 del 08/03/2019), suffragano la legittimità del ricorso al metodo induttivo di accertamento.

13. Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

14. La soccombenza regola le spese.

PQM

La Corte respinge il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna G.A., P.C. e G.G., in proprio e quali soci della Gruppo di Famiglia G.A. s.d.f. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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