Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28929 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. II, 27/12/2011, (ud. 28/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI AGRATE BRIANZA, in persona del sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale, dagli Avv.

Pintucci Francesco e Carolina Valensise, elettivamente domiciliato

nello studio di quest’ultimo in Roma, via Monte delle Gioie, n. 13;

– ricorrente –

contro

SPEA INGEGNERIA EUROPEA s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale,

dagli Avv. Savini Luca e Alberto Costantini, elettivamente

domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, corso d’Italia,

n. 19;

– controricorrente –

e contro

R.G., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale, dagli Avv. PERONETTI Luigi Bruno e Paola Pezzali,

elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultima in Roma,

piazza Cavour, n. 17;

– controricorrente –

e nei confronti di:

SANTA RITA s.r.l. e P.S.;

– intimati –

e sul ricorso proposto da:

SPEA INGEGNERIA EUROPEA s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale,

dagli AVV. Luca Savini e Alberto Costantini, elettivamente

domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, corso d’Italia,

n. 19;

– ricorrente in via incidentale –

contro

COMUNE DI AGRATE BRIANZA, in persona del sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale, dagli Avv.

Pintucci Francesco e Carolina Va-lensise, elettivamente domiciliato

nello studio di quest’ultimo in Roma, via Monte delle Gioie, n. 13;

– controricorrente –

e nei confronti di:

R.G.; SANTA RITA s.r.l. e P.S.;

– intimati –

avverso la sentenza del Tribunale di Monza n. 1340 del 5 maggio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Francesco Pintucci, Luigi Bruno Peronetti e Alberto

Costantini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per la riunione dei

ricorsi, il rigetto del ricorso principale e l’assorbimento del

ricorso incidentale condizionato e l’inammissibilità del secondo

ricorso del Comune.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Tribunale di Monza, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 5 maggio 2005, ha accolto l’opposizione alle ordinanze-ingiunzione n. 10 e n. 11 del 21 gennaio 2004 proposta dall’ing. R.G. e dalla SPEA Ingegneria Europea s.p.a.

e ha condannato il Comune di Agrate Brianza a restituire le somme già corrisposte in forza delle ordinanze annullate, mentre ha respinto l’opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 9 del 21 gennaio 2004 interposta dalla s.r.l. Santa Rita e da S. P.;

che l’illecito amministrativo di violazione della L.R. Lombardia 8 agosto 1998, n. 14, art. 29, comma 1, (Nuove norme per la disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava), per essere state poste in essere opere di escavazione per una volumetria di gran lunga maggiore rispetto a quella autorizzata, era stato contestato alla s.r.l. Santa Rita, aggiudicataria dell’appalto ed esecutrice dei lavori di ampliamento dell’area di servizio (OMISSIS), e a P.S., rappresentante di detta società e responsabile del cantiere, nonchè all’ing. R., direttore dei lavori, e alla s.p.a. SPEA, società incaricata della progettazione e della direzione dei lavori;

che per quanto qui ancora rileva, il Tribunale ha ritenuto che in capo all’ing. R., direttore dei lavori e dipendente della s.p.a. SPEA, difettasse l’elemento soggettivo del dolo o della colpa in relazione all’attività illecita di coltivazione di sostanze minerali di cava posta in essere dalla s.r.l. Santa Rita e dal P., ed ha quindi escluso il concorso nell’illecito amministrativo, conseguentemente annullando l’ordinanza-ingiunzione anche nei confronti della SPEA, per effetto dell’insussistenza dell’illecito amministrativo da parte del suo dipendente;

che per la cassazione della sentenza del Tribunale di Monza il Comune di Agrate Brianza ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 aprile 2006, sulla base di due motivi;

che hanno resistito, con controricorso, la SPEA s.p.a. e l’ing. R.;

che la SPEA s.p.a. ha anche proposto ricorso incidentale, non condizionato sulla compensazione delle spese del giudizio e condizionato sulle questioni assorbite;

che il Comune, a sua volta, vi ha resistito con controricorso;

che tutte le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che preliminarmente i ricorsi, principale ed incidentale (condizionato e non), vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni riferite alla sentenza sentenza;

che con il primo motivo del ricorso principale del Comune (violazione e falsa applicazione dei principi generali sul concorso di persone nel reato, violazione e falsa applicazione dell’art. 110 cod. pen. e della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 5 nonchè vizio di motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’ing. R.) ci si duole che il Tribunale, pur affermando che l’ing. R. avrebbe potuto rendersi conto del sovradimensionamento dello scavo, sia giunto alla conclusione della insussistenza di una condotta concorsuale in capo al medesimo perchè egli non era a conoscenza della coltivazione abusiva di minerali e non vi era un rapporto di cointeressenza tra lui e la società Santa Rita o il P.;

che sostiene il ricorrente che l’ing. R., qualora avesse svolto con diligenza il proprio compito, ben avrebbe potuto accorgersi del sovradimensionamento dello scavo e ben avrebbe potuto denunciare le difformità alla pubblica autorità e alla committente;

che con il secondo mezzo del medesimo ricorso (insufficiente e contraddittoria motivazione sul concorso colposo del direttore dei lavori nell’illecito; violazione e falsa applicazione degli artt. 110 e 113 cod. pen. e sussistenza nel nesso causale tra la condotta del direttore dei lavori e la commissione dell’illecito; violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen.) si rileva che la condotta del direttore dei lavori è stata negligente, per avere questi omesso di svolgere i compiti relativi al proprio ufficio, ed è in chiaro rapporto eziologico con l’illecito commesso dall’appaltatore ed esecutore dei lavori; e si sostiene che erroneamente il primo giudice avrebbe escluso il concorso colposo, in una situazione nella quale il direttore dei lavori era ben consapevole di non prestare la dovuta diligenza nei controlli, stanti i molteplici incarichi assunti;

che i due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati;

che la sentenza impugnata ha cosi motivato l’accoglimento della proposta opposizione:

– “il concorso di persone nell’illecito amministrativo, previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 5 deve essere ricostruito sulla base della dottrina penalistica in relazione all’art. 110 cod. pen. ed esige un contributo personale da parte del compartecipe nella realizzazione del fatto nonchè l’elemento soggettivo”;

– “nel caso di specie, nell’ordinanza-ingiunzione, il contributo personale viene individuato nella condotta omissiva dell’ing. R., che, per negligenza, non si sarebbe reso conto dell’entità dello scavo così come accertato”;

– “se non può negarsi che l’ing. R. poteva rendersi conto del sovradimensionamento dello scavo, da ciò non può derivarsi la sua responsabilità per la violazione dell’art. 29 legge cit., comma 1 che punisce la coltivazione di sostanze minerali di cava senza autorizzazione o concessione. E’ importante evidenziare che il Comune di Agrate Brianza ha contestato la violazione della L.R. Lombardia n. 14 del 1998, art. 29, comma 1 non del comma 2. Ai fini della sussistenza dell’illecito contestato, non è sufficiente il sovradimensionamento dello scavo (ipotesi contemplata dal secondo comma della norma citata), ma è necessario che vi sia coltivazione di sostanze minerali di cava”;

– “se l’illecito contestato dal Comune di Agrate Brianza è certamente riconducibile all’impresa esecutrice dei lavori di scavo .

. . , per la configurabilità del concorso in capo all’ing. R., direttore dei lavori e dipendente di altra società, incaricata della mera progettazione, è necessario accertare che l’eventuale sua negligenza nel seguire i lavori abbia avuto un apporto causale nella commissione dell’illecito e che l’ing. R. fosse consapevole dell’attività di coltivazione di cava posta in essere dall’appaltatrice o fosse in grado di verificario e non l’abbia fatto per colpa”;

– “non ci sono elementi per affermare che l’ing. R. fosse consapevole dell’attività illecita posta in essere dalla Santa Rita s.r.l. e dal P., per il cui accertamento si è resa necessaria un’indagine sulla natura del terreno circostante lo scavo da parte dell’ARPA e che non era desumibile ad occhio nudo”;

“i lavori i scavo e il trasporto del materiale sono stati effettuati dalla Santa Rita s.r.l. e rientravano nelle sue competenze, in forza del contratto di appalto che ha sottoscritto con l’ente Autostrade s.p.a. Tale attività veniva svolta anche in orari notturni … La Santa Rita s.r.l., in quanto appaltatrice, aveva la detenzione del cantiere e la possibilità di accedervi in qualsiasi ora del giorno e l’ing. R., semplice direttore dei lavori, non aveva la concreta possibilità di impedire l’accesso della Santa Rita s.r.l.

al cantiere”;

che tanto premesso, occorre rilevare che anche nel campo dell’illecito amministrativo è configurabile un apporto esterno alla consumazione di esso, a condizione che ciò avvenga attraverso azioni od omissioni che, pur senza integrare la condotta tipica dell’illecito, ne rendano, però, possibile o ne agevolino la consumazione (Cass., Sez. 2^, 4 agosto 2006, n. 17681; Cass., Sez. 1^, 22 settembre 2006, n. 20696; Cass., Sez. 6^ – 2, 20 maggio 2011, n. 11160);

che in particolare, la condotta omissiva può assumere rilevanza quale elemento concorrente nell’illecito altrui nel caso in cui si configuri una violazione di uno specifico obbligo di garanzia;

che in relazione all’attività di trasformazione urbanistica ed edilizia, il direttore dei lavori è, per espressa previsione normativa (L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 6; D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 29), titolare di una posizione di garanzia, avendo il dovere non solo di accertare i presupposti legali indispensabili dell’opera prima dell’inizio dei lavori commissionati, ma anche di constatare la perfetta corrispondenza dell’opera in fase di esecuzione rispetto al progetto approvato e alle autorizzazioni o ai permessi ottenuti;

che ove difformità siano riscontrate, il direttore dei lavori deve formalmente e puntualmente dissociarsi, informandone il committente e l’autorità amministrativa onde evitare il concorso nell’illecito commesso dall’appaltatore ed esecutore materiale dell’opera;

che viceversa nella specie si è nell’ambito della diversa disciplina della coltivazione di sostanze minerali di cava, dove nessuna fonte legale pone in capo al direttore dei lavori, chiamato a sovrintendere all’esecuzione dell’opera di ristrutturazione ed ampliamento di un’area di servizio autostradale per conto della committente e privo di una cointeressenza nell’attività dell’appaltatore, l’obbligo di garanzia in relazione all’interesse tutelato dalla normativa sulle cave ed il correlato potere di impedire che l’appaltatore medesimo commetta la violazione di cui alla L.R. Lombardia n. 29 del 1998, art. 29 (cfr., in materia di rifiuti, Cass. pen., Sez. 3^, 22 settembre 2004, n. 40618);

che pertanto il ricorso principale deve essere rigettato;

che l’unico motivo del ricorso incidentale non condizionato, relativo alle spese, è infondato, giacchè il provvedimento di compensazione delle spese adottato dal Tribunale trova, implicitamente ma inequivocamente, un adeguato supporto motivazionale nelle ragioni spese dal medesimo giudicante in relazione alla decisione di merito;

che il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del Comune ricorrente, in base al principio di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale del Comune e quello incidentale non condizionato della s.p.a. SPEA e dichiara assorbito quello incidentale non condizionato della medesima SPEA;

condanna il Comune al rimborso delle spese processuali del giudizio di cassazione sostenute dai controricorrenti, che liquida, per ciascuno, in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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