Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28929 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 17/12/2020), n.28929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. est. Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.M., rappresentato e difeso, giusta mandato steso in

calce al ricorso, dagli Avv. Nino (Ndr: testo originale non

comprensibile) ed Elena Bellandi, che ha indicato recapito PEC,

nonchè Ornella Manfredini, ed elettivamente domiciliato presso lo

studio di quest’ultima, alla via G.G. Beffi n. 36, int. 10, in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12, in Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Firenze il 14.5.2012, e pubblicata il 14.6.2012;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consiglier

Paolo Di Marzio;

la Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.M. riceveva, l’8.5.2008, notifica dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo ad Irpef, Irap ed accessori, per l’anno 2003, mediante il quale l’Agenzia delle Entrate rideterminava il reddito d’impresa del contribuente, esercente l’attività di tassista nella città di (OMISSIS), elevandolo da Euro 5.440,00 ad Euro 68.936,00, conseguendone maggiore imposta Irpef per il valore di Euro 20.871,00 ed Irap per il valore di Euro 2.930,00, oltre accessori.

Chiariva l’Ente impositore che i dati dichiarati dal contribuente risultavano congrui e coerenti rispetto allo studio di settore applicabile (SG72A), tuttavia riteneva accertate gravi incongruenze tra i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e condizioni dell’attività. Richiedeva allora al contribuente di fornire documentazione e spiegazioni e, ritenuta la permanenza di gravi incongruenze, emetteva l’avviso di accertamento, completo di analitica motivazione.

Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze contestando, innanzitutto, la mancata ricorrenza dei presupposti per procedere all’accertamento ai sensi del D.L. n. 331 del 1998, art. 62 sexies, come conv., l’insussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, e comunque il vizio di motivazione dell’atto. La CTP rigettava il ricorso.

M.M. impugnava la decisione assunta dalla CTP innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, rinnovando le proprie contestazioni di legittimità e merito, ed affermando che la CTP non si era pronunciata in materia di vizio di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.

La CTR riteneva ricorrenti i presupposti di legge di cui al D.L. n. 331 del 1998, art. 62 sexies, come conv., ed al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), che legittimano il ricorso all’accertamento analitico-induttivo, emergendo effettivamente le gravi incongruenze riscontrate dall’Amministrazione finanziaria. Ripercorreva quindi le contestazioni in fatto proposte dal contribuente ed esaminava la valutazione che ne aveva fatto l’Ente impositore, giungendo alla conclusione che sussistevano presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee a far ritenere la fondatezza dell’accertamento, dovendo anche tenersi conto che l’Agenzia aveva prudentemente valutato i dati raccolti, non mancando di tener conto delle difese del contribuente. In conseguenza rigettava il ricorso.

Avverso la decisione assunta dalla Commissione tributaria Regionale di Firenze ha proposto ricorso per cassazione M.M., affidandosi a tre motivi di impugnazione. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il ricorrente ha pure depositato memoria, chiedendo rilevarsi l’inammissibilità del controricorso depositato dall’Agenzia a causa della sua tardività.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Occorre preliminarmente esaminare la contestazione di inammissibilità del controricorso, proposta dal ricorrente affermando la tardività della costituzione dell’Ente impositore. Invero il termine utile (c.d. lungo) per la proposizione del ricorso, sarebbe scaduto il 30.7.2013 (l’atto introduttivo è stato in concreto spedito il 25.7.2013). La notifica è stata ricevuta dall’Avvocatura il 1 agosto 2013. Il ricorso è stato depositato il 30 settembre 2013 (il termine legale è di 20 gg. dalla notifica, ma deve tenersi conto della sospensione feriale). Il termine massimo di deposito del ricorso, però, scadeva il 5 ottobre 2013, e da qui hanno cominciato a decorrere i 20 gg. per la notifica del controricorso (art. 370 c.p.c., comma 1), che sono venuti a scadere il 25 ottobre 2013. Il controricorso è stato spedito proprio il 25.10.2013 al M. (presso il difensore); la contestazione deve pertanto reputarsi infondata.

1.1. – Con il suo primo motivo di ricorso, indicato come proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente contesta alla impugnata CTR di essere incorsa nel vizio cli “motivazione insufficiente e conseguente erronea applicazione D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, conv. in L. 29 ottobre 1993, n. 427, e degli artt. 2727 e 2729 c.c.,” (ric., p. 38), non ricorrendo nel caso di specie i presupposti per poter procedere ad un accertamento analitico-induttivo.

1.2. – Mediante il secondo motivo di ricorso, che indica di introdurre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’impugnante censura la decisione adottata dalla CTR per essere incorsa nel vizio di “motivazione insufficiente e illogica su tre punti decisivi della controversia” (ric., p. 49).

1.3. – Con il suo terzo motivo di gravame il ricorrente critica, invocando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la decisione assunta dalla CTR in conseguenza dell’intervenuta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e degli artt. 2727 e 2729 c.c., difettando i presupposti di legge perchè potesse utilizzarsi lo strumento dell’accertamento analitico-induttivo.

2.1. – 2.3 – Mediante il suo primo motivo di ricorso il ricorrente contesta la decisione adottata dalla CTR per non aver tenuto conto che, nel caso di specie, difettavano i presupposti di fatto per procedere ad accertamento analitico induttivo ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, come conv. e degli artt. 2727 e 2729 c.c.. Mediante il terzo motivo di ricorso, proposto indicando quale riferimento la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e degli artt. 2727 e 2729 c.c., il ricorrente lamenta nuovamente la utilizzabilità dell’accertamento analitico induttivo nella vicenda per cui è causa. I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, poichè entrambi attengono all’applicabilità dell’accertamento analitico induttivo nei confronti del M., anche se le norme richiamate sono parzialmente diverse. In realtà, poi, il ricorrente riunisce, già nella descrizione sintetica del primo motivo del ricorso, ed anche successivamente nel corpo dello stesso, contestazioni del vizio di motivazione così come di violazione di legge. Sembra però possibile superare questo limite nella formulazione tecnica del motivo di ricorso perchè, tenuto anche conto della sua ampiezza, le ragioni di critica esposte appaiono distinguibili. Tanto premesso il ricorrente si duole, innanzitutto, che sebbene i corrispettivi da lui dichiarati risultassero congrui e coerenti rispetto alle previsioni dello specifico studio di settore applicabile, l’Amministrazione finanziaria ha ugualmente ritenuto di potersi avvalere dell’accertamento analitico induttivo.

Appare allora opportuno ricordare che del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, prevede, al comma 3, che “Gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e successive modificazioni, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis, del presente decreto”. La contestazione proposta dal ricorrente risulta pertanto infondata in termini di diritto, perchè le “gravi incongruenze tra i ricavi…” possono trovare fondamento negli studi di settore, ma sono desumibili, per volontà di legge, anche dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, pertanto proprio da quegli elementi che l’Agenzia delle Entrate ha posto a fondamento dell’atto di accertamento impugnato.

Nel corpo del primo motivo di ricorso, poi, l’impugnante ripropone i suoi argomenti di contestazione in fatto dell’accertamento, lamentando che la CTR non ha tenuto adeguato conto delle sue censure. Il contribuente rinnova la propria critica in materia di “resa” chilometrica della corsa, ed invoca ad esempio la tratta: stazione ferroviaria di (OMISSIS), lamenta la inattendibilità dei dati sulla percorrenza annua complessiva che non tengono conto dei chilometri percorsi “a vuoto”, etc.. A parte ogni considerazione sul fatto che il contribuente riferisce le contestazioni che espone a quanto da lui sostenuto in grado di appello, e non assicura pertanto riscontro della tempestiva proposizione di questi argomenti nel corso del giudizio, occorre rilevare che a fronte di questi argomenti proposti dall’impugnante, la CTR ha ritenuto di valorizzarne altri, come l’esiguità del reddito d’impresa dichiarato (Euro 5.444,00); la “resa” (rendimento) chilometrica dichiarata di Euro 0,62 “addirittura inferiore alla tariffa di 0,81 fissata dalla Delib. del Consiglio Comunale del 28 maggio 2003, n. 432/295”; etc.

In definitiva, come già precisato da questa Corte in analoga vicenda, anch’essa relativa al reddito accertato nei confronti di altro esercente l’attività di tassista nel Comune di (OMISSIS), “la possibilità di una diversa lettura dei dati, come pretende il contribuente, implica la pretesa di una valutazione di merito da parte del giudice di legittimità, allo stesso inibita, perchè il controllo sul vizio di motivazione non gli attribuisce il potere di riesame del merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cfr. Cass., Sez 5, ord. n. 19547/2017; sent. n. 17477/2007)”, Cass. sez. V, 17.7.2018, n. 18906. Non è consentito al Giudice di legittimità accedere ad una ricostruzione alternativa dei fatti di causa proposta dal ricorrente che non risulti però in grado di contrastare efficacemente le fonti del diverso convincimento raggiunto, illustrate con chiarezza e completezza dal giudice di merito.

Il primo ed il terzo motivo di ricorso devono pertanto essere rigettati.

2.2. – Con il secondo motivo di ricorso il contribuente lamenta alla CTR impugnata di essersi limitata a lodare la prudente valutazione dei redditi effettuata dall’Amministrazione finanziaria nell’avviso di accertamento, incorrendo però nel vizio di motivazione, per non aver tenuto conto di “tre punti decisivi della controversia”, relativi all’accertamento: della percorrenza annua dell’autoveicolo utilizzato “anche” per lo svolgimento dell’attività di tassista, alla lunghezza della corsa media di un taxi a (OMISSIS) ed al costo medio di una corsa, in quanto su questi dati non esisterebbero riscontri certi. Sembra opportuno premettere, per completezza, che l’Agenzia delle Entrate ha tenuto conto delle osservazioni del ricorrente in materia di utilizzo del taxi per uso proprio ed ha infatti ridotto il numero di chilometri annui percorsi contestati. In merito alla lunghezza media della corsa permane il contrasto tra la controricorrente Agenzia, che afferma essere stata calcolata con il contributo dell’associazione di categoria dei tassisti, ed il ricorrente, che nega il ricorrere della circostanza. In ordine al costo medio della corsa lo stesso dipende pure, evidentemente, proprio dalla sua lunghezza. Le contestazioni proposte dal ricorrente, che invero non allega di aver dimostrato la correttezza di valori diversi da quelli ritenuti esatti dalla CTR, ma si limita a dubitare della loro attendibilità, richiederebbero evidentemente alla Suprema Corte di rinnovare il giudizio sul fatto, esorbitando dalle proprie attribuzioni.

Il motivo di ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Il ricorso proposto da M.M. deve essere pertanto respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e, in considerazione del valore della causa e della sua complessità, sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da M.M., che condanna al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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