Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28927 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. II, 27/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.M. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato

e difeso dall’Avvocato Rognoni Ernesto per procura speciale a margine

del ricorso, elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Milizie

n. 22, presso l’Avvocato Antonio Strizzi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimati –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Genova resat nel proc. pen.

772/08 R.G.V.G., in data 17 settembre 2008;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 22

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Genova, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta dall’Avvocato T.M. avverso il decreto del 25 febbraio 2008, di liquidazione degli onorari per l’attività professionale svolta in favore di un imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato nella misura di Euro 27.000,00, ha rideterminato il compenso spettante al difensore nella misura di Euro 35.426,25, oltre accessori.

Il Tribunale ha premesso che per la liquidazione del compenso doveva tenersi conto delle caratteristiche complessive del procedimento, rilevando che, nella specie, si era trattato di un procedimento organizzato in maniera adeguata e tale da consentire al difensore di coordinare l’attività difensiva con la sua attività ordinaria. Ha ritenuto quindi dovute al difensore le seguenti voci: Euro 8.150,00 per la partecipazione a 163 udienze ad euro 50 per udienza; Euro 30,00 a udienza per esame e studio in occasione di 163 udienze, per un totale di Euro 4.890,00; complessivi Euro 11.000 per attività istruttoria compiuta in 104 udienze, somma questa risultante dal computo della partecipazione a singole udienze in ragione delle attività nelle stesse svolte e precisamente Euro 100,00 per 80 udienze, Euro 120,00 per 20 udienze; Euro 150,00 per 4 udienze;

complessivi Euro 3.000,00 per la partecipazione a 30 udienze di discussione relative alle conclusioni del PM e delle altre parti;

Euro 450,00 per l’udienza di discussione relativa alla posizione dell’assistito dall’avvocato T.; Euro 4.000,00 per spese vive sostenute nel corso del processo.

Avverso questo provvedimento l’Avvocato T. ha proposto ricorso per cassazione nelle forme del rito penale.

All’esito dell’udienza del 13 gennaio 2011, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 3998 del 2011, preso atto del mutato orientamento, per effetto della pronuncia delle Sezioni Unite Corte n. 19161 del 2009, della giurisprudenza in tema di individuazione del giudice – se civile o penale – e conseguentemente del rito in base al quale devono essere trattati i procedimenti relativi alla liquidazione delle spese di giustizia, ha assegnato alla parte ricorrente: a) il termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza per proporre e notificare ricorso per cassazione secondo le forme del codice di procedura civile; b) il termine perentorio di giorni venti dalla notificazione per il deposito del ricorso nella cancelleria della Corte.

Il ricorrente ha quindi notificato il ricorso al Ministero della giustizia è al Ministero dell’Economia e delle Finanze;

le intimate amministrazioni non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 e D.M. 127 del 2004, art. 1, comma 5, Cap. 2^ e vizio di motivazione insufficiente contraddittoria. Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale ha omesso di liquidare i compensi relativi sia alla voce n. 5) della tabella C della tariffa professionale corrispondente a “partecipazione e assistenza”, sia alla voce n. 4 “indennità”, sia alla voce n. 2) “esame e studio” , e riproduce nel dettaglio le voci che erano state richieste nella parcella depositata il 10 aprile 2007. Il ricorrente si duole altresì del fatto che il tribunale abbia violato i minimi tariffari.

Il ricorso è inammissibile, per due concorrenti ragioni.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 nel testo applicabile ratione temporis, cui rinvia l’art. 84 del medesimo d.P.R., avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell’ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l’incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione, entro venti giorni dall’avvenuta comunicazione, al presidente dell’ufficio giudiziario competente; le dette parti sono poi legittimate a proporre il ricorso per cassazione, trovando applicazione, secondo quanto disposto dal comma 2 del medesimo articolo, le disposizioni di cui al procedimento disciplinato dalla L. n. 794 del 1942.

Orbene, nel caso di specie, il procedimento di opposizione si è svolto nel contraddittorio con il Pubblico Ministero, come si evince dal verbale di udienza; il ricorso per cassazione avrebbe quindi dovuto essere proposto nei confronti del Pubblico Ministero e delle altre parti del procedimento di opposizione.

Nel caso di evocazione nel giudizio di cassazione di un soggetto diverso da quelli che hanno partecipato alle precedenti fasi del giudizio di merito e che è privo di un qualsivoglia collegamento con i soggetti dei quali è invece prevista la partecipazione a detto giudizio, la conseguenza non può essere altro che la inammissibilità del ricorso.

Trova infatti applicazione il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti di chi, dalla sentenza impugnata, non risulti essere stato parte del giudizio di merito, ove non sia stato dedotto e/o provato il rituale conferimento della rappresentanza sostanziale e processuale, la cui mancanza è rilevabile d’ufficio perchè attinente alla regolare costituzione del contraddittorio (Cass. n. 6348 del 2009).

In particolare, nella giurisprudenza di legittimità si è affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti di un’Amministrazione dello Stato non legittimata processualmente e che mai è stata parte nel giudizio di merito, svoltosi in contraddittorio con altra Amministrazione dello Stato correttamente convenuta, non essendo il caso riconducibile all’erronea identificazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato, disciplinata dalla L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4; tale norma si applica infatti nel giudizio di primo grado, dove l’onere dell’Avvocatura dello Stato di rilevare l’errore della parte attrice, se osservato, consente di essere riparato e, se non osservato, stabilizza la legittimazione a contraddire nell’Amministrazione convenuta, mentre non ha ragione di applicarsi quando l’Amministrazione legittimata a contraddire sia rimasta individuata in primo grado e si tratti soltanto di proseguire il giudizio di impugnazione nei suoi confronti (Cass. n. 6177 del 2010; Cass. n. 4864 del 2006).

Sussiste quindi il difetto di legittimazione passiva degli intimati Ministeri, che certamente non sono stati parte del giudizio di opposizione e che quindi, a maggior ragione, non possono essere legittimati rispetto al proposto ricorso per cassazione.

Sotto altro profilo, l’unico motivo sul quale si fonda il ricorso non è stato formulato nel rispetto dei requisiti imposti dall’art. 366 bis, ratione temporis applicabile.

Il quesito di diritto, invero, non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma codicistica (Cass., n. 16941 del 2008) che ha introdotto, anche per l’ipotesi di ricorso in esame, il rispetto del requisito formale che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass., S.U., n. 23732 del 2007).

Con riferimento al dedotto vizio di motivazione, si deve poi rilevare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare che “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (Cass., S.U., n. 20603 del 2007).

In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., n. 16002 del 2007).

Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve concludersi con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto. (Cass., S.U., n. 7770 del 2009).

Ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007).

Nel caso di specie, il motivo non si conclude con un quesito di diritto, e non reca, in apposito quadro riepilogativo, nè la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale si assume che la motivazione sarebbe apparente, nè la prospettazione delle ragioni per le quali la supposta apparenza della motivazione dovrebbe ritenersi inidonea a supportare la decisione.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio non avendo le intimate svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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