Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28925 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2019, (ud. 13/12/2018, dep. 08/11/2019), n.28925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4099-2018 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

34, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA RENZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA GABRIELLA ROSSI;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 23,

presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONIO ANGELELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GENNARO INGLETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1560/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 19/07/2017 R.G.N. 923/2016.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Lecce, con sentenza depositata in data 19.7.2017, ha respinto il gravame interposto da M.C., nei confronti di P.A., titolare della ditta “Alberani Parketti” S.r.l. (già “Tutto Parquet” di P. A.), avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, resa il 16.2.2016, che aveva rigettato la domanda del lavoratore, diretta ad ottenere – previo accertamento della sussistenza inter partes di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 9.9.1997 a luglio 2008; rapporto che risultava formalizzato in tal senso solo dal 9.9.1997 al 29.3.1999 – la condanna della parte datoriale alla corresponsione della somma complessiva di Euro 191.861,55, a titolo di differenze retributive, tredicesima e TFR;

che per la cassazione della sentenza ricorre M.C. sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso P.A.; che sono state comunicate memorie nell’interesse di entrambe le parti (delle quali, quella del M. pervenuta fuori termine);

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) la “violazione o falsa applicazione delle seguenti norme di diritto”, senza indicazione di alcuna norma, e si deduce che la Corte territoriale avrebbe “erroneamente e falsamente sussunto la fattispecie concreta attinente al rapporto di lavoro in esame, in quella astratta che configura l’istituto del subappalto, probabilmente sottovalutando elementi pregnanti della vicenda che solo apparentemente sembra rivestire i connotati giuridici dedotti dai due giudici di merito”; 2) l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, per non avere i giudici di merito tenuto in debito conto una circostanza emersa dall’ascolto dei testi, che avrebbe certamente contribuito a delineare i contorni del lavoro prestato dal M. per il P.”; al riguardo, il ricorrente afferma che le circostanze di cui si sarebbe dovuto tenere conto sarebbero quelle emerse dall’escussione della segretaria del P. ( D.F.S.) e da quella di un dipendente dello stesso ( Ma.Ma.), dalle quali “può evincersi che il P. impartiva ordini e direttive al M.”;

che il primo motivo è inammissibile perchè la parte ricorrente non ha indicato quali norme, e sotto quale profilo, sarebbero state violate, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate ed altresì con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); pertanto, le doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);

che il secondo motivo è pure inammissibile, in quanto, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, in data 14.2.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che, inoltre, ai sensi dell’art. 348-ter, comma 4 e 5, “in caso di doppia conforme, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicchè il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili” (così testualmente – e tra le molte -, Cass., Sez. VI, n. 26097/2014); che, pertanto, in tali ipotesi, “il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4) “; e tale disposizione, inserita dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, è applicabile al caso di specie, ai sensi del comma 2 cit. articolo (che stabilisce che le norme in esso contenute si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto), essendo stato introdotto il gravame con atto in data 31.5.2016;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che non sussistono, allo stato, i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater 4”, stante l’ammissione al gratuito patorcinio.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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