Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28924 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. II, 27/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.G., rappresentato e difeso da se medesimo ex art. 86

cod. proc. civ., domiciliato per legge in Roma, Piazza Cavour, presso

la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI NAPOLI, in persona del direttore pro

tempore;

I.C.A.; PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE

DI NAPOLI;

– intimati –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli depositata il 27 febbraio

2009 (R.G. n. 390/08);

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 22

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Avvocato G.G., difensore d’ufficio di I.C. A., ha proposto opposizione avverso il decreto di liquidazione degli onorari emesso dal Tribunale di Napoli il 16 agosto 2008.

Il Giudice delegato alla trattazione del procedimento ha ritenuto parzialmente fondata l’opposizione e segnatamente ha riconosciuto il diritto del difensore alla indennità per l’accesso all’ufficio, liquidato, in Euro 30,00, nonchè alle spese sostenute per la infruttuosa procedura monitoria ed esecutiva per ottenere il pagamento dal proprio assistito, con la precisazione che però, relativamente a tali spese, il giudice penale non è vincolato alla determinazione eventualmente già operata dal giudice civile, atteso che il decreto ingiuntivo rileva in sede penale come mero fatto dimostrativo dell’infruttuoso esperimento delle procedure volte al recupero dei crediti professionali, mentre solo tra le parti il detto decreto può operare come statuizione avente efficacia di giudicato.

Con riferimento a tali spese, il Giudice ha ritenuto che al difensore spettassero Euro 100,00 per la richiesta del parere di congruità al competente Consiglio dell’Ordine; Euro 173,40 per la procedura monitoria; Euro 264,26 per la procedura esecutiva.

Il Giudice ha infine riconosciuto che le spese generali dovute al difensore vanno calcolate nella misura del 12,5% e ha invece escluso il diritto del difensore alle spese e agli onorari del procedimento di opposizione.

Avverso detto provvedimento l’Avvocato G. ha proposto ricorso, con atto non notificato ad alcuno e depositato nella cancelleria del giudice a quo.

All’esito dell’udienza del 10 giugno 2010, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 16767 del 2010, preso atto del mutato orientamento, per effetto della pronuncia delle Sezioni Unite Corte n. 19161 del 2009, della giurisprudenza in tema di individuazione del giudice – se civile o penale – e conseguentemente del rito in base al quale devono essere trattati i procedimenti relativi alla liquidazione delle spese di giustizia, ha assegnato alla parte ricorrente: a) il termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza per proporre e notificare ricorso per cassazione secondo le forme del codice di procedura civile; b) il termine perentorio di giorni venti dalla notificazione per il deposito del ricorso nella cancelleria della Corte.

Il ricorrente ha quindi proposto ricorso nelle forme del rito civile, notificandolo all’Agenzia delle entrate di Napoli, a I.C. A. e alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata.

Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente, dopo avere ripercorso il contenuto del precedente ricorso proposto nelle forme del rito penale, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., censurando l’ordinanza impugnata per avere omesso, in contrasto con i principi fissati dalla S.C., la liquidazione di tutti gli onorari spettanti al difensore d’ufficio, ivi compresi quelli derivanti dalla procedura monitoria, dalla procedura esecutiva e dal procedimento di opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170.

A conclusione del motivo, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: se devono essere riconosciuti, nella liquidazione operata dal G.M. – esaurito il tentativo di recupero nei confronti dell’imputato – tutti gli onorari ivi compresi quelli relativi alla procedura monitoria, alla procedura esecutiva e alla procedura innanzi al Giudice ivi compresa la imposta di registrazione relativa alla ordinanza resa a seguito dell’opposizione.

Il ricorso è inammissibile.

Il richiamato quesito di diritto fa seguito alla enunciazione della rubrica del motivo e alla seguente proposizione: Si censura la ordinanza impugnata per avere omesso, in contrasto con i principi dettati dalla S.C. la liquidazione di tutti gli onorari spettanti al difensore di ufficio ivi compresi quelli derivanti dalla procedura monitoria, dalla procedura esecutiva e dalla procedura innanzi al G.M. del Tribunale di Napoli per il recupero delle spettanze.

Tale proposizione non appare di per sè idonea a sostenere la formulazione del quesito di diritto, il quale, peraltro, non risulta formulato conformemente ai requisiti indicati dalla giurisprudenza di questa Corte.

In proposito, si è infatti chiarito che il quesito di diritto imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass., n. 11535 del 2008).

In particolare, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. n. 19769 del 2008).

Nella giurisprudenza di questa Corte si è altresì precisato, con riferimento, in particolare, ai motivi di ricorso con i quali – come nella specie – si denuncia vizio di motivazione, che l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (Cass., S.U., n. 20603 del 2007).

Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, è poi bensì ammissibile, ma esso deve concludersi con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto. (Cass., S.U., n. 7770 del 2009).

Ciò comporta che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007).

Nella specie, il quesito risulta, per un verso, formulato in modo incompleto, non venendo chiariti nè il principio di diritto applicato dal giudice del merito nè gli elementi di fatto ai quali quel principio è stato applicato; per altro verso, il quesito cumula questioni diverse, quali quella relativa alle spese del procedimento di recupero e quella concernente le spese del giudizio di opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, che hanno riferimenti normativi differenti e che quindi avrebbero richiesto una articolata formulazione del quesito; per un altro verso ancora, vengono denunciati contestualmente vizi di violazione di legge e di motivazione (art. 360, n. 5), ma non risultano indicati espressamente nè il fatto controverso nè le ragioni per le quali si ritiene che la motivazione del provvedimento impugnato sia insufficiente.

Il ricorrente, inoltre, ha censurato il provvedimento impugnato – che pure conteneva una liquidazione relativa alle spese del procedimento civile che venivano riconosciute al difensore d’ufficio, a completamento del compenso a lui spettante per la prestazione resa – limitandosi a riferire che il credito per la procedura monitoria ed esecutiva ammontava ad Euro 2.055,96, come da parcella vistata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli; il ricorrente ha tuttavia omesso di riprodurre nel ricorso la detta parcella, nonchè di indicare i provvedimenti del giudice civile che quel credito avevano riconosciuto per la procedura monitoria ed esecutiva. In tal modo, la Corte non è in grado di apprezzare la portata della censura proposta, non essendo chiaro se il ricorrente si dolga del mancato riconoscimento, da parte del giudice dell’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, delle somme liquidate dal giudice civile, ovvero dell’importo recato dalla nota spese prodotta dinnanzi al giudice civile. E’ noto del resto che in tema di controllo della legittimità della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, è inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti alla generica denuncia dell’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale o del mancato riconoscimento di spese che si asserisce essere state documentate, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei diritti di procuratore che si ritengono violate, nonchè le singole spese asseritamente non riconosciute (Cass. n. 14744 del 2007; Cass. n. 22287 del 2009).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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