Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28920 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 17/12/2020), n.28920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17700-2019 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato LINDA BALSEMIN;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, MINISTERO dell’ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ E RICERCA, in persona dei Ministri pro tempore,

PRESIDENZA del CONSIGLIO dei MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, domiciliati per legge in ROMA, alla via dei

PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE dello STATO, che li

rappresenta e difende per legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 20267/2018 del TRIBUNALE di BOLOGNA,

depositata il 15/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano

Valle, osserva quanto segue.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale Bologna ha rigettato domanda risarcitoria proposta dalla Dott.ssa M.M. per inadempimento delle direttive comunitarie sugli specializzandi in medicina per gli anni successivi al 1982 e fino al 1990, individuando la decorrenza prescrizione al 27 ottobre 1999, non risultando altri atti precedenti;

La Corte di Appello Bologna ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dalla Dott.ssa M..

Il ricorso di legittimità è affidato a due motivi.

Resistono con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

La proposta di definizione in sede camerale, non partecipata, è stata ritualmente comunicata alle parti.

Non sono state depositate memorie.

Il ricorso inammissibile, per plurime, concorrenti ragioni.

La difesa della ricorrente tace del tutto sui motivi di appello proposti avverso la sentenza del Tribunale di Bologna, in guisa tale da non consentire il controllo sul mancato formarsi di giudicato interno (Cass. n. 26936 del 23/12/2016 Rv. 642322 – 02), su alcuni o su tutti i motivi, così come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte nel caso in cui il giudizio sia definito con ordinanza di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c..

Ciò posto, e tanto di per sè solo costituisce adeguata ragione di inammissibilità del ricorso, deve ulteriormente rilevarsi quanto segue.

Il primo motivo censura la sentenza del Tribunale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (in realtà è scritto in ricorso “all’art. 360 comma 3”) in relazione agli artt. 2934,2935,2936,2937 c.c., art. 249 Trattato CEE, e delle direttive 75/363/CEE e 82/76/CEE.

Il secondo mezzo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. e del principio di certezza del diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (in realtà anche qui è scritto in ricorso “all’art. 360 comma 3”).

I due mezzi sono inammissibili.

Il primo si apre con una lunga premessa su proposte di legge in materia di medici specializzandi, senza precisare se siano state tradotte in testi legislativi aventi un qualche profilo di applicabilità in causa.

Il secondo accenna ad incertezze giurisprudenziali circa il termine di prescrizione applicabile, se decennale o quinquennale.

Non sono addotti dai due motivi di ricorso ragioni in fatto o diritto idonee a censurare adeguatamente la sentenza del Tribunale.

Il primo motivo tende ad affermare che al momento della proposizione della citazione in primo grado, risalente all’anno 2016, a fronte di un ciclo di specializzazione terminato dalla Dott.ssa M. nel 1988, non era ancora chiaro quale fosse il momento di decorrenza della prescrizione.

Esso è inammissibile in quanto non censura adeguatamente la statuizione che individua la decorrenza della prescrizione al 1999 (Cass. n. 16452 del 19/06/2019 Rv. 654419 – 01 e n. 06606 del 20/03/2014 Rv. 630184 – 01 e n. 16104 del 26/06/2013 Rv. 626903 – 01 ed ancora n. 01917 del 09/02/2012 Rv. 621204 – 01): “Il diritto al risarcimento del danno da tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno – realk ata solo con il D.Lgs. n. 257 del 1991 – delle direttive n. 73 / 362/ CEE e n. 82/ 76/ CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si prescrive, per coloro i quali avrebbero potuto fruire del compenso nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1983 e la conclusione dell’anno accademico 1990-1991, nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della L. n. 370 del 1999, il cui art. 11 ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo.”

Il secondo mezzo, che tende a individuare un’incertezza sia sul termine di prescrizione applicabile, che sulla sua decorrenza, è inammissibile in quanto dall’eventuale accoglimento di una delle dette prospettazioni, quale, ad esempio, l’affermazione della diversa decorrenza, o di diverso termine o di diversa autorità giudiziaria ordinaria (dopo che è stata la difesa della ricorrente a scegliere quale organo della giurisdizione ordinaria adire) non è accompagnato da idonea prospettazione circa i vantaggi derivanti da diverso opinamento in favore della ricorrente, tenuto conto del fatto che non sono stati dedotti, a quanto consta in nessun stato e grado del giudizio, atti interruttivi della prescrizione anteriori alla notifica dell’atto di citazione, risalente, come detto, al 2016, a fronte di un ciclo di specializzazione concluso nel 1988.

Le ragioni di inammissibilità non consentono neppure di attendere l’esito della recentissima rimessione di questione pregiudiziale sul tema alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (disposta dalle Sez. U. con ordinanza n. 23901 del 29/10/2020).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della controversia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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