Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28920 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/11/2018, (ud. 14/06/2018, dep. 12/11/2018), n.28920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25751-2016 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO

MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano

e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V. VAL

D’OSSOLA 25, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE LEONTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati VITO COSENTINO, MARIO

VACCARELLA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

SIRM – SOCIETA’ ITALIANA RADIOMARITTIMI S.P.A., (già ITS SERVIZI

MARITTIMI E SATELLITARI);

– intimata –

avverso la sentenza n. 496/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 10/05/2016 R.G.N. 860/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI;

udito l’Avvocato VITO COSENTINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 496/2016 la Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva integralmente respinto la domanda di P.A. intesa all’accertamento del diritto al superiore inquadramento ed alla declaratoria di illegittimità della cessione del contratto di lavoro in ragione della nullità ex art. 2112 c.c. della cessione a ITS Servizi Marittimi e Satellitari s.p.a. (in seguito denominata S.I.R.M. Società Italiana Radio Marittima s.p.a.) del ramo di azienda denominato Servizi Clienti Radiomarittimi, da parte di Telecom Italia s.p.a., ha dichiarato la persistenza del rapporto di lavoro di P.A. con quest’ultima società alla quale ha ordinato il ripristino del rapporto di lavoro.

1.1. La statuizione di riforma, l’unica ancora rilevante, è stata adottata in dichiarata adesione alla giurisprudenza di legittimità conforme alle indicazioni del giudice comunitario (Corte di Giustizia del 6 marzo 2014, in C-458/12) in tema di necessità, ai fini dell’applicazione della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, anteriormente al trasferimento, di una sufficiente autonomia funzionale della quota d’impresa ceduta -, secondo la quale, anche a seguito della modifica all’art. 2112 c.c. per effetto del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’art. 2112 c.c., deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, e quindi, costituisca, comunque, una preesistente entità produttiva, funzionalmente autonoma e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo.

1.2. Alla luce di tali principi il giudice di appello, esclusa sulla base delle emergenze in atti la preesistenza alla cessione del ramo di azienda ceduto, che afferma essere stato individuato ed identificato solo in vista del trasferimento alla società cessionaria attraverso una riorganizzazione strumentale realizzata mediante scissione in due rami dell’attività prima unitariamente svolta dall’unico settore Servizi Radiomarittimi e Satellitari, ha ritenuto che, comunque, l’entità oggetto di cessione non costituiva una articolazione aziendale stabilmente organizzata e funzionalmente autonoma. A tale conclusione è pervenuto valorizzando la circostanza che i lavoratori ceduti, per l’espletamento dell’attività lavorativa, avevano dovuto fare riferimento ai colleghi rimasti in Telecom e il fatto che presso Telecom era rimasto, per lungo periodo, un servizio essenziale che la detta società aveva continuato a gestire.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Telecom Italia s.p.a. sulla base di due motivi; P.A. ha resistito con tempestivo controricorso; SIRM – Società Italiana Radio Marittima s.p.a. è rimasta intimata.

2.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e degli artt. 115 e 244 c.p.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. Premesso che ai fini della legittimità della cessione del ramo di azienda ciò che rileva è che il ramo ceduto sia in grado di svolgere un servizio solo con le proprie strutture e che esista già al momento del trasferimento, ha dedotto la irrilevanza della circostanza valorizzata dal giudice di appello secondo il quale il brevissimo lasso di tempo tra riorganizzazione del Servizio Radiomarittimi e Satellitari con la conseguente scissione dello stesso in due entità, delle quali l’una oggetto di cessione, non avrebbe consentito di conferire al ramo ceduto una struttura dotata di apprezzabile autonomia organizzativa ed economica, configurandosi la detta suddivisione come del tutto strumentale a tale cessione. Argomenta che tale conclusione contrastava con il dato – pacifico che la riorganizzazione del 2006 non si era concretata nella creazione ex novo di un ramo cui Telecom aveva dato vita smembrando e riassemblando servizi che facevano a capo prima a strutture diverse in quanto la riorganizzazione aveva riguardato il medesimo Servizio radiomarittimi e satellitari ed era frutto della scelta di focalizzare detto servizio in relazione alla specificità dei clienti. Sulla effettività di tale riorganizzazione non poteva influire la circostanza del successivo smantellamento del ramo rimasto in Telecom; irrilevante era, inoltre, la circostanza che il criterio della tipologia di clientela non avrebbe trovato riscontro nella disposizione organizzativa n. 34 la quale si limitava non a definire il criterio in base al quale la struttura originaria era stata suddivisa ma, una volta preso atto della suddivisione, ad individuare i responsabili della stessa. In questa prospettiva assume che erano state trascurate le deposizioni testimoniali che confermavano la suddivisione dell’originario servizio in funzione della specificità dei clienti.

2. Con il secondo motivo (per errore indicato come primo) deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e degli artt. 115 e 244 c.p.c. censurando, in sintesi, la sentenza impugnata per avere ritenuto il difetto di autonomia del ramo di azienda ceduto stante la persistente necessità di appoggiarsi ancora alle strutture rimaste in Telecom. Assume la errata valorizzazione a tal fine della deposizione del teste B. impegnato in analogo contenzioso con la società e denunzia la mancata considerazione della documentazione prodotta relativa agli elenchi dei clienti, dei contratti e del complesso dei beni materiali trasferiti, idonei a dare contezza dell’autonomia funzionale del ramo ceduto.

3. I motivi di ricorso, esaminati congiuntamente per evidente connessione, sono infondati.

3.1. Si premette che consolidati principi di diritto in materia di trasferimento di ramo d’azienda, a norma dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 (nel caso di specie peraltro non applicabile ratione temporis), secondo cui costituisce elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente. E ciò, anche secondo la sentenza della Corte di Giustizia del 6 marzo 2014, in C-458/12 (richiamata in particolare da: Cass. 28 settembre 2015, n. 19141 per avere, a fini di applicazione della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, ribadito la necessità di una sufficiente autonomia funzionale, anteriormente al trasferimento, della quota d’impresa ceduta; ferma restando la possibilità, in forza dell’art. 1, par. 1, lett. a, b della citata direttiva, per la normativa nazionale di estensione dell’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti pure nell’ipotesi di non preesistenza del ramo d’azienda), presuppone una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (Cass. 15 aprile 2014, n. 8757; Cass. 31 maggio 2016, n. 11247; Cass. 31 luglio 2017, n. 19034; Cass. 29 novembre 2017, n. 28508). E’ poi noto come un ramo d’azienda ben possa essere individuato, quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica, anche da un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva allorquando siano dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (Cass. 6 aprile 2016, n. 6693, con richiamo di precedenti di legittimità e della Corte di Giustizia UE in motivazione).

3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato in fatto la carenza di prova della esistenza di un ramo d’azienda, in esito a puntuale scrutinio degli elementi allegati e acquisiti dalle risultanze istruttorie. E ciò ha congruamente argomentato con piena adeguatezza sotto il profilo logico – giuridico (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 18 e sgg., sicchè è insindacabile nel giudizio di legittimità, preclusivo di una revisione del giudizio di merito e di una nuova pronuncia sul fatto, siccome estranee alla sua natura e finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394); tanto meno in una prospettiva di ricostruzione dei fatti operata dilla parte in contrapposizione a quella del giudice di merito, incensurabile dal giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).

3.3. Un tale sindacato è tanto più precluso dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, in difetto di deduzione di omesso esame di un fatto, invero scrutinato, ma della sua valutazione, non censurabile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

3.4. Inammissibile è poi la censura di violazione dell’art. 115 c.p.c. la quale può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (ex plurimis Cass. 10/6/2016 n. 11892), come avvenuto nel caso di specie.

3.5. Quanto alla deduzione di violazione dell’art. 244 c.p.c. la stessa è inammissibile in quanto non sorretta da chiare ed intellegibili argomentazioni idonee ad evidenziare l’errore di diritto in tesi ascritto al giudice con riferimento ai modi di deduzione della prova per testimoni.

4. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

5. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

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