Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28918 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 17/12/2020), n.28918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18347-2019 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato CAVOUR presso la CANCELLERIA

della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VITTORIO D’ANGELO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA (OMISSIS) –

SEZIONE di ANCONA;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 6305/2018 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 03/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.S. ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, avverso il “decreto” del Tribunale di Ancona del 3 maggio 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. In particolare, quel tribunale: i) opinò che il racconto dello S., anche laddove credibile, sarebbe rimasto confinato nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune, sicchè egli avrebbe dovuto chiedere la protezione della Polizia del suo Paese ed attenderne l’esito; ii) negò la protezione sussidiaria, non venendo in rilievo circostanze fattuali riconducibili alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nè essendo la zona di provenienza del ricorrente interessata da un conflitto armato, come poteva desumersi dalle fonti consultate e specificamente indicate; rifiutò la protezione umanitaria non ravvisando, nella condizione dello S., una situazione di elevata vulnerabilità pure se rapportata all’eventuale rimpatrio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il formulato motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 14, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della circostanza, oggetto di discussione, che lo S. aveva effettivamente richiesto l’aiuto delle forze dell’ordine, recandosi alla stazione di polizia, ma che ciò non aveva sortito alcun effetto, pertanto, pur avendo richiesto la protezione dello Stato del Bangladesh, non aveva ottenuto alcunchè.

2. Giova premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata un decreto decisorio reso il 3 maggio 2019), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.1. Costituisce, poi, un “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (Dott. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.1.1. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (fr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); iz) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.1.2. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale decisività, in quanto correlata all’interesse all’impugnazione, si addice innanzitutto a quel fatto che, se scrutinato, avrebbe condotto il giudice ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito. Poichè l’attributo si riferisce al “fatto” in sè, la “decisività” asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015).

2.1.3. Lo stesso deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto “controverso”, contestato, non dato per pacifico tra le parti.

2.1.4. E’ utile rammentare, infine, che Cass., SU, n. 8053 del 2014, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ed all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.2. Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti, il motivo in esame si rivela inammissibile perchè trascura le complessive motivazioni in base alle quali il tribunale ha negato la ricorrenza di circostanze idonee a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria e/o di quella umanitaria e sollecita una diversa valutazione del merito della controversia sulla scorta di un unico fatto – l’essersi vanamente rivolto il ricorrente alle forze di polizia del Bangladesh per ottenere protezione – cui il provvedimento impugnato non fa cenno (alla sua pag. 2 si legge, invece, al contrario, che lo S. “… avrebbe dovuto chiedere la protezione della Polizia del suo Paese ed attenderne l’esito”, mentre, nel prosieguo, si puntualizza che il sistema giudiziario di detto Pese, relativamente alle vicende privatistiche come quella oggi dedotta presenta “… una carente indipendenza dei giudici, soprattutto nei casi in cui sono coinvolti politici, ma non una sorta di inefficienza generale del sistema giudiziario”. Cfr. pag. 5) e che, dunque, in difetto della specifica indicazione del “quando” e del “come” esso sia stato puntualmente dedotto nel corso del procedimento innanzi al tribunale (nel ricorso si riportano, invero, passi delle dichiarazioni reso dallo S. innanzi alla Commissione territoriale, ma nulla è detto di quando e come le medesime circostanze fattuali ivi riferite siano poi state espressamente allegate anche innanzi al tribunale), risulta affatto nuovo.

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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