Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28917 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. II, 27/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. (OMISSIS), A.B.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 10,

presso lo studio dell’avvocato DANTE ENRICO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LANG GUNTHER;

– ricorrenti –

contro

F.R., D.S.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI

LUIGI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIRIMONTI

LAURA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1468/2005 del TRIBUNALE di BOLZANO, depositata

il 19/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l’Avvocato Erica DUMOTEL, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato DANTE Enrico, difensore dei ricorrenti che ha chiesto

accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Carlo ALBINI, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato MANZI Luigi, difensore dei resistenti che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.B. e M.M. con atto di citazione del 3/7/2002 convenivano in giudizio i proprietari frontisti F. R. e S.M. chiedendone la condanna a rimuovere i cespugli e l’albero di noce piantati a distanza inferiore, rispettivamente, a metri 1 e metri 3 dal confine tra le due proprietà, sul quale insisteva un muro divisorio sormontato da una palizzata.

I convenuti si costituivano, contestavano la violazione delle distanze e in via riconvenzionale chiedevano la rimozione di uno sfiato realizzato sul muro di confine e rivolto verso il terreno di essi convenuti, nonchè il ripristino, sul muro di confine della recinzione metallica che era stata sostituita dalle attrici con una palizzata.

All’esito di sopralluogo e consulenza tecnica di ufficio il giudice di pace con sentenza del 29/9/2004 respingeva sia la domanda principale che quella riconvenzionale e condannava le attrici in via principale al pagamento delle spese.

Proponevano appello le attrici in via principale e resistevano le controparti che, a loro volta, chiedevano, con appello incidentale, l’accoglimento della loro domanda di rimozione dello sfiato.

Con sentenza del 19/12/2005 il Tribunale di Bolzano, decidendo quale giudice di appello, respingeva l’appello principale, dichiarava cessata la materia del contendere in ordine all’appello incidentale (perchè le appellanti incidentali avevano abbandonato le loro domande) e condannava le appellanti principali al pagamento delle spese del grado in quanto soccombenti. A.B. e M. M. propongono ricorso per Cassazione fondato su due motivi e depositano memoria.

Tenuto conto della data della sentenza anteriore alla data del 2/3/2006 dalla quale era applicabile l’art. 366 bis c.p.c. ora abrogato, la formulazione dei quesiti che concludono i motivi di ricorso non era richiesta.

Resistono con controricorso F.R. e S.M. e depositano memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 892 (distanza per gli alberi) e 894 (alberi e distanze non legali) c.c., ed omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto, pur essendo stato accertato che i cespugli si trovavano ad una distanza dal confine di 20 – 30 c.m. e, quindi, inferiore alla distanza di 50 c.m. prescritta dall’art. 892 c.c. e, pur essendo stato accertato che il noce si trovava alla distanza di mt. 2,66 invece che di metri 3, non sarebbe stato applicato l’art. 894 c.c. che impone l’estirpazione delle piante a distanza minore di quella indicata; nel motivo si aggiunge che sarebbe stata erroneamente ritenuta equiparabile al muro divisorio la palizzata sovrastante il muro di confine e che in conseguenza di questa errata motivazione sarebbe stato erroneamente applicato l’art. 892 c.c., u.c. per il quale non si applicano le norme per le distanze dagli alberi in presenza di un muro divisorio purchè le piante siano tenute ad una altezza non eccedente la sommità del muro. Le ricorrenti formulano anche altre censure alla decisione di primo grado che non devono essere esaminate in quanto solo gli eventuali vizi della sentenza impugnata possono costituire l’oggetto del ricorso per Cassazione.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti deducono violazione dell’art. 91 c.p.c. e motivazione contraddittoria censurando la statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali; sostengono che le spese dei due gradi avrebbero dovuto essere integralmente compensate in considerazione della soccombenza reciproca, posto che gli appellati, che avevano proposto appello incidentale, dovevano ritenersi soccombenti perchè la loro rinuncia all’appello incidentale doveva essere equiparata, ai fini delle spese, alla soccombenza.

3. Il primo motivo è fondato sotto il profilo del vizio di motivazione per le ragioni che seguono.

Occorre premettere che la sentenza impugnata non disapplica l’art. 892 c.c., ma ne applica il comma 4 e, quindi, pur prendendo atto del posizionamento delle piante a distanza inferiore a quella stabilita dell’art. 892 c.c., comma 1, nn. 1 e 3 stabilisce che le suddette distanze non si applicano in forza della deroga contenuta dal comma 4 perchè l’altezza delle piante non eccede la sommità del muro divisorio; in punto di fatto applica tale disposizione considerando equiparabile al muro divisorio anche la palizzata posta sul muro di confine e questa motivazione costituisce il sostanziale oggetto di censura da parte delle ricorrenti le quali sostengono che la palizzata sarebbe, invece, un semplice steccato attraverso il quale sarebbe visibile la siepe del vicino e sporgerebbero dei rametti e, quindi, non realizzerebbe il presupposto di una separazione ermetica che caratterizza il muro divisorio.

Il giudice di appello ha valutato in fatto la struttura in legno, definita palizzata, che divide le due proprietà e, esaminato il materiale fotografico, ha fatto proprie le valutazioni del CTU secondo il quale tale struttura realizza una barriera anche visiva che limita la visuale tra i due fondi; in punto di diritto ha valutato che l’interesse protetto dall’art. 892 c.c., comma 1, nn. 1 e 3 che fissano le distanze legali, è quello di impedire che la parte fuori terra degli alberi riesca di danno ai vicini per diminuzione di aria, luce, soleggiamento e panoramicità e, nuovamente in fatto, ha concluso che la presenza della struttura in legno impedisce che le piante provochino al vicino quei danni che la norma invocata intende impedire. Nella individuazione della ratio legis la sentenza si conforma alla giurisprudenza dì questa Corte che con sentenza 30 novembre 1988 n. 6497, ha affermato che: “il divieto di tenere alberi di alto fusto a meno di 3 metri dal confine, stabilito dall’art. 892 c.p.c., comma 1, n. 1… mira ad impedire che la parte fuori terra degli alberi riesca di danno ai vicini, per diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicita”; il principio è poi stato ribadito da Cass. 29/9/2000 n. 12956 e, sostanzialmente, anche se con argomento non del tutto coincidente, anche da Cass. 1/8/2008 n. 21010 per la quale la ratio della norma è quella di escludere il rispetto della distanza nel caso in cui le piante rimangano nascoste alla vista del vicino (con richiamo a Cass. n. 968 del 1975). Tuttavia, nel motivare in fatto sulla equiparabilità della struttura divisoria al muro divisorio considerato dall’art. 892 c.c. il giudice di appello ha motivato in modo contraddittorio e insufficiente perchè ha ritenuto sussistente la piena equiparazione pur dando atto che nella palizzata erano presenti fessure dalle quali era percepibile la presenza della siepe (ancorchè la siepe fosse “appena percepibile”) e che alcuni rametti sporgevano nel fondo adiacente.

In tale situazione veniva, quindi, meno quella piena equiparabilità della palizzata al muro, sulla quale il giudice fondava la propria decisione, nè può fondatamente sostenersi l’irrilevanza di questo “deficit” di separazione, posto che ove si voglia sostenere l’equiparazione di strutture divisorie a quella struttura che il codice definisce “muro divisorio”, è necessario che l’elemento divisorio soddisfi il requisito della piena equipollenza strutturale e funzionale, che nel caso di specie risulta mancante dalla stessa motivazione della sentenza.

4. In conclusione deve essere accolto il primo motivo di ricorso e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Bolzano in persona di diverso magistrato che provvedere anche sulle spese di questo giudizio di cassazione. Resta assorbito il secondo motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altro giudice del Tribunale di Bolzano.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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