Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28917 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 17/12/2020), n.28917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18068-2019 proposto da:

A.R.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE BRIGANTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 6007/2018 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 30/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.R.K., nativo della Nigeria, ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, contro il decreto del Tribunale di Ancona del 30 aprile 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. In estrema sintesi, quel tribunale: i) ritenne inattendibile il racconto dell’ A. in relazione all’affermata propria omosessualità; ii) negò la protezione sussidiaria, non venendo in rilievo circostanze fattuali riconducibili alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nè essendo la zona di provenienza del ricorrente interessata da un conflitto armato, come poteva desumersi dalle fonti consultate e specificamente indicate; iii) rifiutò la protezione umanitaria non ravvisando, nella condizione del richiedente, una situazione di elevata vulnerabilità pure se rapportata all’eventuale rimpatrio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:

I) la nullità del decreto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1 e comma 11, lett. a), e comma 13, nonchè degli artt. 737 e 135 c.p.c. e dell’art. 156c.p.c., comma 2, e dell’art. 111 Cost., comma 6, in considerazione delle lacune motivazionali riscontrabili per il rigetto sia della domanda di concessione dello status di rifugiato, sia della richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria (basata sulla non credibilità della narrazione del ricorrente affermata anche per la ritenuta contraddittorietà e insufficienza degli elementi probatori, di cui non si è data giustificazione), sia della domanda di protezione umanitaria, respinta senza l’effettiva valutazione comparativa richiesta da Cass. n. 4455 del 2018. Si precisa che la motivazione del decreto sarebbe solo apparente perchè la non credibilità del racconto del richiedente sarebbe stata affermata in modo apodittico e comunque senza che il tribunale abbia valutato se le Autorità del Paese di provenienza del ricorrente non possano o non vogliano fornire protezione in situazione del tipo di quella riferita dall’interessato;

II) l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione, avendo il tribunale trascurato di considerare l’effettiva capacità delle locali istituzioni di offrire idonea protezione ad una persona omosessuale;

III) la violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di numerose disposizioni normative, affermandosi che la valutazione di non credibilità è stata compiuta dal tribunale sulla base di una interpretazione delle dichiarazioni non corrispondente a quelle rese, senza esercitare il potere-dovere di cooperazione istruttoria per eventuali riscontri;

IV) la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, 47 della Carta dei diritti UE e 46 della Direttiva Europea n. 2013/32, richiamandosi le argomentazioni dei precedenti motivi ed aggiungendosi che il principio di effettività del ricorso non può dirsi rispettato in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice.

2. L’esame congiunto dei motivi – reso opportuno dalla loro intima connessione – conduce alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte.

2.1. Innanzitutto, è da escludere la sussistenza del denunciato vizio di motivazione apparente con riguardo al rigetto delle domande di protezione internazionale del ricorrente.

2.1.1. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorquando la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende, tuttavia, percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice.

2.1.2. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, infatti – e purchè il vizio risulti dal testo della decisione, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr., ex p/taimis, Cass. n. 2561 del 2020, in motivazione; Cass. n. 21377 del 2019, in motivazione; Cass., SU, n. 16599 del 2016; Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.1.3. Nella specie ciò non si riscontra, perchè la motivazione sul punto interessato contiene la concisa esposizione sia delle ragioni di fatto della decisione (descrizione sintetica della fattispecie esaminata: domanda di protezione fondata sul timore del richiedente, affermatosi omosessuale, di rientrare nel suo Paese di origine, intollerante verso tale condizione) sia delle ragioni di diritto della decisione stessa, cioè una esposizione logica ed adeguata al caso di specie che consente di cogliere l’iter logico-giuridico seguito e comprendere se le tesi prospettate dalle parti siano state tenute presenti nel loro complesso.

2.1.4. Non corrisponde al vero, peraltro, che il tribunale si sia “limitato ad un generico, acritico richiamo alla valutazione di credibilità già operata dalla Commissione territoriale, senta e ettuare alcuna autonoma valutazione” (cfr. pag. 15 del ricorso), essendo, in proposito, sufficiente richiamare l’ampia giustificazione resa dal primo alle pagine 2-3 del decreto oggi impugnato (cfr. il paragrafo ivi recante il n. 4, intitolato “Sulla valutazione di credibilità del richiedente asilo”).

2.1.5. A tanto deve solo aggiungersi, atteso quanto si legge alla pag. 29 del ricorso, che: i) questa Corte ha ripetutamente escluso la nullità del procedimento nell’ambito del quale il collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione abbia delegato ad un giudice onorario di tribunale il compito di procedere all’audizione del richiedente, riservandosi la decisione della causa all’esito di tale adempimento: in proposito, infatti, è stata richiamata la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 116 del 2017, recante la riforma organica della magistratura onoraria, e segnatamente le disposizioni dettate dall’art. 10, che consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, ivi compresa l’assunzione di testimoni, e dall’art. 11, il quale esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari soltanto per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non sono compresi quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 7878 del 2020; Cass. n. 4887 del 2020; Cass. n. 3356 del 2019); nella specie, l’ A. sembra dolersi, sostanzialmente, che la delega al giudice onorario non sarebbe stata conferita direttamente dal collegio investito della decisione, ma dal giudice relatore, al quale il collegio aveva delegato il compito di procedere all’audizione. Sul punto, tuttavia, la doglianza si rivela inammissibile per carenza di autosufficienza, non avendo il ricorrente riprodotto in ricorso il contenuto del corrispondente verbale di udienza da cui emergerebbe l’avvenuta sua audizione innanzi al giudice onorario (GOT). Deve qui solo ricordarsi che: ii-a) in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (fr. Cass., SU, n. 34469 del 2019); ii-b) l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato come nella specie – un “errar in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura Cass., SU, n. 28332 del 2019, in motivazione; Cass. n. 22880 del 2017; Cass. n. 21621 del 2007; Cass. n. 20405 del 2006).

2.2. Le ulteriori censure proposte con il primo motivo di ricorso vanno esaminate – per ragioni di ordine logico – insieme con quelle formulate nel secondo e nel terzo sempre avverso il rigetto delle domande di protezione internazionale del richiedente.

2.2.1. Esse si rivelano inammissibili perchè, nella sostanza, finiscono con l’esprimere – peraltro, in modo generico e senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione (con riguardo ai documenti richiamati, e/o alle dichiarazioni rese dall’ A. alla commissione territoriale e, successivamente, nel corso dell’audizione innanzi al tribunale) – un mero dissenso rispetto alle valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dal tribunale, che, come tale, è, di per sè, inammissibile, tanto più che detto giudice ha sottolineato la scarsa credibilità del racconto emersa in sede di audizione davanti alla Commissione territoriale, desunta dal fatto che il richiedente, a fronte di incoerenze interne e di frequenti contraddizioni su punti essenziali della storia personale, non è stato in grado di circostanziare la vicenda narrata, rispondendo in modo adeguato alle domande rivoltegli, anche in ordine alla dichiarata propria omosessualità.

2.2.2. A tale conclusione si perviene in quanto, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte Cass. n. 23984 del 2020; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019): i) nei giudizi in materia di protezione internazionale, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); ii) tale apprezzamento fattuale è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della pro spettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito gr., Cass. n. 3340 del 2019, successivamente richiamata, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 21377 del 2019 e Cass. n. 2561 del 2020). Nell’odierno ricorso la suindicata statuizione relativa alla non credibilità del racconto del ricorrente (pure in merito alla dichiarata omosessualità) non risulta adeguatamente censurata in conformità con i suindicati principi e, in particolare, secondo quanto dispone l’art. 360 c.p.c., n. 5 nell’interpretazione fornitane, anche quanto ai puntuali oneri di allegazione ad esso correlati, da Cass., SU, n. 8053 del 2014; iz) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi del predetto decreto, art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, nel Lagos, in Nigeria, non si segnala attualmente alcuna significativa instabilità politica.

2.3. Sono inammissibili anche le censure, proposte nel terzo motivo, avverso il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

2.3.1. Al riguardo, l’ A. sostiene che tale statuizione sarebbe stata adottata senza l’esame dei molteplici elementi di vulnerabilità soggettiva e oggettiva rappresentati nel ricorso introduttivo, supportati da documenti attestanti il trattamento sanzionatorio e sociale dell’omosessualità in Nigeria.

2.3.2. In realtà, però, il tribunale, sul punto, più che fare riferimento all’omosessualità del ricorrente – sulla quale, peraltro, come si è detto, il racconto dell’interessato non è stato reputato credibile – ha affermato che le condizioni individuali di vulnerabilità rappresentate dal ricorrente, pur considerate credibili e giustificate, non potevano consentire, tuttavia, di accordare la protezione umanitaria. Pertanto, la censura non tocca, in modo specifico, tale ratio decidendi idonea da sola a sorreggere il decreto sul punto.

2.4. Va ricordato, infine, che, in base a consolidati e condivisi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, laddove i fatti allegati a sostegno della domanda siano stati ritenuti poco credibili o non credibili, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta qualora sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr., ex multis, Cass. n. 2561 del 2020; Cass. n. 21377 del 2019; Cass. n. 33096 del 2018). Infatti, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente la protezione internazionale non esclude l’onere dell’interessato di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (cfr., ex aliis, Cass. n. 21377 del 2019; Cass. n. 27503 del 2018; Cass. n. 16201 del 2015; Cass. 30).

2.4.1. Nella specie, come si è detto, il racconto del ricorrente è stato motivatamente considerato poco credibile, specialmente in merito alla dichiarata omosessualità, sicchè mancavano i presupposti per l’acquisizione d’ufficio di ulteriori informazioni sulla situazione legislativa, giudiziaria e carceraria della Nigeria con specifico riferimento al trattamento sanzionatorio e sociale dell’omosessualità in detto Stato.

2.4.2. Ne deriva che anche la doglianza di cui al quarto motivo di ricorso si rivela insuscettibile di accoglimento, posto che non può lamentarsi, al riguardo, la violazione delle norme ivi invocate e del principio di effettività del ricorso al giudice, atteso che mancano i presupposti di fatto per l’applicazione sia delle norme richiamate sia del principio che garantisce il diritto un ricorso effettivo davanti ad un giudice (previsto dall’art. 6 CEDU e dall’art. 47 della CDFUE) e, di conseguenza, risulta inammissibile la deduzione del vizio di violazione di legge – che consiste nella denuncia dell’erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) – non potendo la suddetta denuncia riguardare norme inapplicabili alla fattispecie considerata.

2.4.2.1. Ad una siffatta conclusione si perviene rilevandosi che, secondo la Corte di Strasburgo, requisito essenziale per il rispetto del diritto al ricorso effettivo al giudice è quello della garanzia, in favore dell’interessato, dell’effettiva conoscenza della facoltà di esercitare il proprio diritto a prender parte al procedimento e, di conseguenza, ad un equo processo (Corte EDU, sentenza 27/04/2017, Schmidt c. Lettonia).

2.4.2.2. Nella specie, è pacifico sia che il ricorrente abbia potuto esercitare il suddetto diritto, sia che egli sia stato posto in condizione di circostanziare la vicenda narrata, rispondendo alle domande rivoltegli in sede di audizione, ma non lo ha fatto, o, comunque, non l’ha fatto adeguatamente.

3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo la curatela rimasta solo intimata, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (Dott. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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