Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28916 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. II, 27/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PAPEF POOL SAS in persona del legale rappresentante pro tempore

S.R.R. (OMISSIS) anche in proprio ed a

titolo personale, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato ANTONANGELI LUIGI,

rappresentati e difesi dall’avvocato BUA VINCENZO;

– ricorrenti –

contro

F.E., V.P., entrambe in proprio e

quali legali rappresentanti di ATHENA NIKE DI VALLASCIANI PERLITA

& C

SNC (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BENACO 5,

presso lo studio dell’avvocato MORABITO MARIA CHIARA, rappresentati e

difesi dall’avvocato MURGESE NICOLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 538/2005 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 24/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto o

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con citazione del 5/3/1992 Athena Nike s.n.c. conveniva in giudizio Papef Pool s.a.s. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento di un contratto di appalto (il cui corrispettivo era già stato integralmente pagato) per difetti dell’opera e per lucro cessante.

Papef Pool si costituiva, negava i lamentati vizi e in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attrice al pagamento della somma di L. 21.961.450, già fatturata, per fornitura materiali e lavori. Con sentenza del 21/10/2003 il Tribunale di Fermo condannava Athena Nike al pagamento dell’importo di cui alla fattura (Euro 11,342,14) e Papef Pool al pagamento della somma di Euro 5.080,03 per danni compensando le spese.

Athena Nike e i suoi soci illimitatamente responsabili proponevano appello in ordine alla statuizione di accoglimento della domanda riconvenzionale oltre che per il mancato riconoscimento della debenza dell’IVA sulla somma liquidata in accoglimento della loro domanda principale.

Gli appellati si costituivano e chiedevano la conferma della sentenza di primo grado.

Con sentenza del 24/9/2005 la Corte di Appello di Ancona in riforma della sentenza appellata respingeva la domanda riconvenzionale di Papef Pool e rideterminava in Euro 5.662,21 il danno da risarcire a Athena Nike rilevando che siccome erano stati fatturati lavori di modifiche e aggiunte richieste dalla committente estranei rispetto al contratto di appalto stipulato e siccome la committente aveva eccepito che i lavori rientravano nell’oggetto del contratto, l’attrice avrebbe dovuto dare la prova, invece non fornita, dell’assunto per il quale i lavori e le forniture sarebbero stati “extracontratto”. Papef Pool s.a.s. e il socio accomandatario propongono ricorso fondato su due motivi.

Resistono con controricorso Athena Nike s.n.c. e i soci illimitatamente responsabili.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo, così testualmente epigrafato: “violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 nonchè difetto di motivazione sul punto”, i ricorrenti, nella sostanza, censurano la ripartizione dell’onere probatorio applicata dal giudice di secondo grado il quale avrebbe posto a loro carico l’onere di provare che le forniture di cui alla fattura non fossero ricomprese nel contratto di appalto, mentre, essendo provata “la fonte negoziale” (così testualmente), sarebbe stato onere di chi eccepiva la riconducibilità della prestazione al contratto di appalto già pagato, fornire la prova contraria, quale fatto impeditivo o estintivo dell’altrui pretesa ed anzi la società committente, a dire dei ricorrenti, avrebbe riconosciuto di avere ricevuto l’impiantistica.

3. Il motivo, per come formulato e in relazione alla ratio decidendi della sentenza impugnata, è infondato. Occorre premettere che non viene qui in considerazione il principio per il quale l’onere di provare l’entità ed il costo sia delle opere eseguite a seguito delle variazioni ex art. 1661 c.c., sia delle opere progettate, incombe sull’appaltatore, con la conseguenza che, in mancanza di detta prova, il supplemento non può essere attribuito (Cass. 16/7/1983 n. 4911).

Nel caso concreto la censura, come detto, riguarda unicamente l’onere probatorio conseguente alle contestazioni della committente in ordine alla (mancata) prova che le prestazioni fatturate fossero state eseguite e che fossero state eseguite in forza di un contratto suppletivo o a varianti in corso d’opera (tali risultando le contestazioni di Athena, secondo quanto riportato nella sentenza di appello). A fronte di questa duplice contestazione la Corte di Appello ha ritenuto che gravasse sull’attore in riconvenzionale provare sia l’accordo per l’esecuzione di prestazioni ulteriori rispetto a quelle previste in contratto, sia la loro effettiva esecuzione. L’attore in riconvenzionale ha agito per il pagamento del corrispettivo a suo dire dovuto per l’esecuzione di lavori aggiuntivi richiesti dal committente e quindi su di lui gravava l’onere di dimostrare la fonte negoziale e il presupposto sul quale egli fondava la sua pretesa, ossia la richiesta del committente di lavori non ricompresi nel contratto di appalto al quale stava dando esecuzione;

la relativa prova poteva essere fornita con ogni mezzo (in quanto la prova scritta dell’autorizzazione del committente è necessaria soltanto quando le variazioni siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore ex art. 1659 c.c.: v. Cass. 18/1/1983 n. 466; Cass. 28/5/2001 n. 7242) ivi comprese le presunzioni, ma non con la semplice fattura che non costituisce prova del credito (v. ex multis e da ultimo Cass. 11/3/2011 n. 5915 Ord.).

Tuttavia, in ordine a questa prova (che nel ricorso si assume fornita) la Corte di Appello, mancando la prova dell’accordo, ha rilevato che PAPEF Pool non ha mai indicato da quali atti potesse ricavarsi la dimostrazione di quanto semplicemente affermato, ossia che i lavori indicati in fattura erano differenti dalle prestazioni e forniture comprese nell’originario contratto di appalto.

4. Con il secondo motivo, così testualmente epigrafato: “violazione e falsa applicazione dell’art. 1193 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 nonchè difetto di motivazione sul punto” si assume che, essendo stato provato il rapporto obbligatorio del quale si pretende l’adempimento (forniture extra contratto), sarebbe stato onere del debitore provare che i precedenti pagamenti erano imputati ex art. 1193 c.c. all’estinzione del predetto rapporto obbligatorio.

5. Il motivo è inammissibile in quanto la censura esula totalmente dalla ratio decidendi della sentenza impugnata nella quale, al contrario si afferma proprio che manca la prova del rapporto obbligatorio del quale è chiesto l’adempimento.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con la condanna dei ricorrenti, in quanto soccombenti, al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare ai resistenti le spese di questo giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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