Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28916 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 17/12/2020), n.28916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3734-2019 proposto da:

AMICI MIEI 2013 SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO RAPPAZZO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIUSEPPE RAPPAZZO;

– ricorrente –

contro

M.G.K.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LUNGOTEVERE FLAMINIO N. 66, presso lo studio dell’avvocato GIANNI DI

STEFANO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8212/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) s.r.l. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, contro la sentenza della Corte di appello di Roma del 21 dicembre 2018, reiettiva del reclamo dalla medesima proposto avverso la dichiarazione del proprio fallimento pronunciata, in sua contumacia, dal Tribunale di quella stessa città, l’1 febbraio 2018, su istanza di M.G.K.G.. Quest’ultimo resiste, con controricorso, mentre la curatela fallimentare è rimasta solo intimata.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, la corte capitolina: i) ha considerato correttamente effettuata, alla stregua della disciplina di cui all’art. 15 L. Fall., comma 3, (come novellato dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), la notificazione del ricorso di fallimento eseguita, su istanza del creditore procedente, presso la casa comunale, dopo l’esito negativo del suo precedente tentativo presso la sede della società e di quello della cancelleria all’indirizzo PEC di quest’ultima; ii) ha ritenuto inattendibili i bilanci prodotti solo in quella sede dalla reclamante, e carente, in assenza di ogni altro elemento, la prova dell’insussistenza dei requisiti di fallibilità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione dell’art. 15 L. Fall., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost, nonchè agli artt. 145 e 140 c.p.c. – Illegittimità costituzionale dell’art. 15 L. Fall. nella parte in cui statuisce che “quando la notifica non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito dell’atto presso la casa comunale e si perfeziona nel momento del deposito””. Si insiste affinchè venga dichiarata la nullità della notificazione del ricorso di fallimento eseguita nei suoi confronti presso la casa comunale, dopo l’esito negativo del precedente tentativo del M., e si chiede sollevarsi questione di costituzionalità dell’art. 15 L. Fall., comma 3, asseritamente contrastante con la norma generale di cui all’art. 140 c.p.c., in relazione all’art. 24 Cost. e all’art. 11 Cost., comma 2;

II) “Motivazione apparente – Violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 1 L. Fall. (art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3)”. Si censura la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto inattendibili i bilanci prodotti dalla reclamante, senza, peraltro, provocare il contraddittorio sul punto.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

2.1. La sentenza impugnata riferisce, invero, che: i) “la Cancelleria della sezione fallimentare del Tribunale di Roma ha tentato, in data 7.12.2017, la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione di udienza PEC della (OMISSIS) s.r.l. (…), ma senza alcun esito positivo di consegna”; il) “non essendo stato, quindi, possibile, per causa imputabile al destinatario, la notifica tramite PEC, la Cancelleria del tribunale, così come disposto dal novellato art. 15 ha dato comunicazione al creditore procedente dell’esito negativo di detto incombente notificatorio d’ufficio”; “il creditore ha così provveduto a notificare – tramite l’ufficiale giudiziario – il ricorso ed il decreto di fissazione di udienza, dapprima, con esito negativo in data 11.12.2017, presso la sede della società, in via (OMISSIS), dove nessuno era stato reperito (v. relata di notifica) e, quindi, ex art. 15, comma 3, mediante deposito degli atti presso la Casa comunale”.

2.2. Fermo quanto precede, giova ricordare che ogni imprenditore, individuale o collettivo, iscritto al registro delle imprese, è tenuto a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata, ai sensi del D.L. n. 185 del 2008, ex art. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009 (come novellata dalla L. n. 35 del 2012. Per gli imprenditori individuali analogo obbligo è stato introdotto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), e, come già chiarito da questa Corte, tale indirizzo costituisce l’indirizzo “pubblico informatico” che i predetti hanno l’onere di attivare, tenere operativo e rinnovare nel tempo sin dalla fase di iscrizione nel registro delle imprese (per il periodo successivo alla entrata in vigore delle disposizioni da ultimo citate), – e finanche per i dodici mesi successivi alla eventuale cancellazione da esso – la cui responsabilità, sia nella fase di iscrizione che successivamente, grava sul legale rappresentante della società, non avendo al riguardo alcun compito di verifica l’Ufficio camerale (cfr. Cass. n. 31 del 2017; Cass. n. 16864 del 2018).

2.3. Inoltre, l’art. 15 L. Fall., comma 3, – nel testo, qui applicabile ratione temporis -, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012 – costituisce norma speciale propria del procedimento prefallimentare, e sancisce che, quando la notificazione non può essere compiuta con le modalità indicate nella prima parte della disposizione (a) all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti, oppure b) presso la sede risultante dal registro delle imprese) si esegue, in terza battuta, “con il deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso”.

2.4. Orbene, la sentenza impugnata dà espressamente atto che la notificazione del ricorso del M., tramite posta elettronica certificata, tentata dalla cancelleria, aveva avuto esito negativo, e che analoga sorte era toccata all’ulteriore tentativo effettuato dall’ufficiale giudiziario presso la sede legale della (OMISSIS) s.r.l., così determinando quest’ultimo a provvedere al deposito dell’atto nella casa comunale. Si tratta, evidentemente, di accertamenti di natura fattuale qui non ulteriormente censurabili.

2.4.1. Non sussiste, dunque, il vizio oggi ascritto dalla ricorrente alla suddetta decisione, pienamente rispettosa dei principi già ripetutamente affermati, sul punto, da questa Corte (cfr. ex multis, Cass. n. 5311 del 2020, che, nel rimarcare la specialità del novellato art. 15 L. Fall., comma 3, esclude l’applicabilità della disciplina ordinaria prevista dall’art. 145 c.p.c. per le ipotesi di irreperibilità del destinatario della notifica; Cass. 12390 del 2019 Cass. n. 28803 del 2018; Cass. n. 16864 del 2018; Cass. n. 6378 del 2018; Cass. n. 5080 del 2018; Cass. n. 602 del 2017; Cass. n. 17946 del 2016), altresì rilevandosi che la successione delle modalità notificatorie ex art. 15 L. Fall., comma 3, (indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario e, qualora risulti impossibile, a mezzo di ufficiale giudiziario presso la sede legale e successivamente presso la casa comunale) e la loro legittimità, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sono state di recente confermate dal giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. 16 giugno 2016, n. 146).

3. Il secondo motivo è, insuscettibile di accoglimento nel suo complesso.

3.1. Va immediatamente ricordato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (pure formalmente invocato dalla ricorrente con la doglianza in esame), nel testo, qui applicabile ratione temporis (risultando impugnata una sentenza resa il 21 dicembre 2018), novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

3.2. Nella specie, invece, la corte capitolina ha giustificato la ivi ritenuta inattendibilità dei bilanci in quella sede prodotti dalla reclamante (“… non vi è prova che i bilanci sociali dell’ultimo triennio… siano stati formalmente depositati dalla società interessata presso la Camera di commercio e, comunque, l’assenza delle scritture contabili non consente di verificare il valore delle poste attive e passive iscritte in bilancio… sicchè non è possibile attribuire a detti bilanci alcuna presunzione di veridicità, dovendosi, piuttosto, rilevarne, anche per i tempi di produzione nella procedura concorsuale, la intrinseca inattendibilità”. Cfr. pag. 3 della sentenza impugnata): una motivazione esiste, quindi, così come sono ben comprensibili le argomentazioni offerte per far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, che non necessitano di alcuna integrazione ad opera dell’interprete (cfr. Cass., SU., n. 22232 del 2016). Va qui solo puntualizzato che la giurisprudenza di legittimità ha recentemente ribadito (cfr. Cass. n. 24138 del 2019, in motivazione) che “…i bilanci degli ultimi tre esercii che l’imprenditore è tenuto a depositare ex art. 15 L. Fall., comma 4, sono quelli approvati e depositati nel registro delle imprese, in applicazione dell’art. 2435 c.c.Cass. 13746/2017): infitti ragioni di tutela, anche a fini concorsuali, di coloro che siano venuti in contatto con l’impresa (potendo aver fatto affidamento sulla fallibilità, o meno, dell’imprenditore in base ai dati di bilancio) fanno sì che l’esame di siffatti documenti contabili, ove non depositati o non tempestivamente depositati, possa dar luogo a dubbi circa la loro attendibilità, anche in conseguenza delle tempistiche osservate (o non osservate) nell’esecuzione di questi adempimenti formali, sicchè in tali casi il giudice potrà non tenere conto dei bilanci prodotti…”.

3.2.1. Le contestazioni della ricorrente, al contrario, investono quelle affermazioni (nemmeno riproducendo nel suo ricorso la documentazione – visura camerale della CCIIAA di Roma – a tal fine invocata) e si risolvono in una inammissibile critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo.

3.3. A tanto va aggiunto che questa Corte ha già precisato che, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità, sono ammissibili strumenti probatori alternativi al deposito dei bilanci degli ultimi tre esercizi di cui all’art. 15 L. Fall., comma 4, i quali, non espressamente menzionati nell’art. 1 L. Fall., comma 2, costituiscono strumento di prova privilegiato, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, senza assurgere, però, a prova legale, essendo soggetti alla valutazione, da parte del giudice, dell’attendibilità dei dati contabili in essi contenuti secondo il suo prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 24138 del 2019; Cass. n. 30516 del 2018; Cass. n. 30541 del 2018).

3.3.1. Fermo quanto precede, va rimarcato che l’accertamento di fatto circa la fallibilità dell’imprenditore, da compiersi sulla scorta della documentazione (bilanci o diversa tipologia, purchè idonea a dare adeguatamente conto della sua situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata) da lui allegata, compete al giudice del merito: ciò in base alla regola per cui spetta a quest’ultimo il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 25188 del 2017; Cass. n. 24679 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 7921 del 2011; Cass. n. 20455 del 2006; Cass. n. 7846 del 2006; Cass. n. 18134 del 2004; Cass. n. 2357 del 2004).

3.3.2. L’apprezzamento circa il valore probatorio attribuito dalla corte distrettuale ai descritti documenti depositati dalla debitrice in sede di reclamo sfugge, dunque, al sindacato di legittimità. Nè potrebbe invocarsi la mancata spendita dei poteri riservati al tribunale ed alla corte di appello, posto che la natura officiosa del procedimento prefallimentare implica solo che il giudice del merito possa attingere elementi di giudizio dagli atti e documenti acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione di parte, ma non pure che debba trasformarsi in organo ufficioso di ricerca della prova (cfr. Cass. n. 625 del 2016, successivamente richiamata dalla più recente Cass. n. 25188 del 2017). Come è stato osservato, il ruolo di supplenza assegnato al giudice fallimentare non è, del resto, rimesso a presupposti vincolanti poichè richiede una valutazione del giudice di merito circa l’incompletezza del materiale probatorio e l’individuazione di quello utile alla definizione del procedimento, nonchè circa la sua concreta acquisibilità e rilevanza decisoria, sicchè, trattandosi di una facoltà necessariamente discrezionale, il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice non determina l’illegittimità della sentenza Cass. n. 24721 del 2015).

4. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità, tra le sole parti costituite, regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esecuzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute da M.G.K.G., che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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