Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28915 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 17/12/2020), n.28915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1659-2019 proposto da:

S.M.C.H., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GENNARO MARINA;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GAROFALO LAURA;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI CATANIA,

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso il decreto n. R.G. 443/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositato il 05/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Catania con decreto del 5 ottobre 2018, ha riformato il provvedimento del tribunale di quella stessa città che, per quanto qui ancora di interesse, aveva accolto la richiesta di S.M.C.H., nei confronti dell’ex coniuge P.M., L. n. 898 del 1970, ex art. 9, di revisione dell’assegno divorzile già dovutole da quest’ultimo in ragione di Euro 900,00 mensili, aumentandolo ad Euro 1.400,00 mensili.

1.1. In particolare, la corte predetta, accogliendo il corrispondente reclamo del P., e valutata l’ulteriore documentazione da lui depositata, ha ritenuto provata l’esistenza della dedotta stabile relazione di convivenza more uxorio tra la Sindona e L.P., da ciò facendo derivare, alla stregua della ivi richiamata giurisprudenza di legittimità, il venir meno dell’obbligo del reclamante di continuare a corrispondere alla ex moglie l’assegno suddetto.

2. Avverso il menzionato decreto, S.M.C.H. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Resiste, con controricorso, il P.. E’ rimasto, invece, solo intimato il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania, pure destinatario della notificazione del ricorso predetto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2 e 29 Cost. ed in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10. Erronea, interpretazione e qualificazione della fattispecie in esame e conseguente erronea e falsa applicazione di legge resa con motivazione contraddittoria”. Si ascrive alla corte distrettuale di aver erroneamente opinato che la relazione intrattenuta dalla Sindona con il Li. fosse qualificabile come convivenza more uxorio, anzichè libera relazione sentimentale, e si assume che tutte le circostanze di fatto valutate, in proposito, da quel giudice sarebbero inidonee e non indicative di una tale stabile convivenza;

II) “Violazione e falsa applicazione di legge, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6”. Si imputa alla corte etnea di non aver minimamente esaminato la circostanza che le condizioni di divorzio erano state concordemente stabilite dalle parti, e, quindi, che, ove la relazione suddetta fosse stata, all’epoca, già in atto, essa ben poteva essere stata pure considerata dagli ex coniugi nello stabilire, in quella sede, l’importo dell’assegno. La stessa corte, inoltre, aveva omesso di esaminare e motivare in ordine alla inadeguatezza dei redditi della Sindona, in assenza dell’assegno divorzile, per fare fronte ai bisogni della sua quotidianità.

2. Il primo motivo è complessivamente insuscettibile di accoglimento.

2.1. La giurisprudenza di legittimità ha già da tempo chiarito (0-. Cass. 6855 del 2015; Cass. n. 2466 del 2016; Cass. n. 4649 del 2017; Cass. n. 2732 del 2018; Cass. n. 406 del 2019; Cass. n. 5974 del 2019) che “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicchè il relativo diritto non entra in stato di quiescena, ma resta definitivamente escluso”. Invero, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost., come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo. Cass. n. 18111 del 2017, peraltro, ha pure precisato che non assume rilievo la successiva cessazione della convivenza di fatto intrapresa dall’ex coniuge beneficiario.

2.1.1. Questa Corte, poi, ha precisato che, ai fini della valutazione sulla persistenza delle concli7ioni per l’attribuzione dell’assegno divorzile, deve distinguersi tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, sulla base del carattere di stabilità, che conferisce grado di certezza al rapporto di fatto sussistente tra le persone, tale da renderlo rilevante giuridicamente (cfr. Cass. n. 17643 del 2007; Cass. n. 17453 del 2018). In questa prospettiva, dunque, è sufficiente che l’obbligato, che chiede l’accertamento della sopravvenuta insussistenza del diritto a percepire l’assegno mensile, dimostri l’instaurazione di una stabile convivenza dell’ex coniuge con un nuovo partner, integrando tale prova una presunzione idonea a far ritenere la formazione di una nuova famiglia di fatto e gravando, invece, sul beneficiario dell’assegno l’onere di provare che la convivenza in essere non integra nel caso concreto la formazione di una nuova famiglia Cass. n. 17453 del 2018).

2.2. E’ utile ricordare, infine, che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (fr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra invece violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (0-. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

2.2.1. La doglianza in esame si risolve, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è appena detto non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020); dall’altro, che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 5 ottobre 2018), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo (non più alla motivazione insufficiente e/o contraddittoria o insufficiente, bensì) all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

2.3. Va rimarcato, infatti, che la corte distrettuale, dopo aver analiticamente riportato il contenuto della nuova documentazione prodotta in quella sede dal P., ha affermato che: i) “Alla luce di tali elementi, numerosi, univoci e concordanti, ritiene il Collegio che, nel caso in esame, il reclamante ha assolto pienamente all’onere probatorio su di esso incombente di dimostrare che la S. ha ormai formato una stabile famiglia di fatto con il suo nuovo compagno. Invero, si tratta di nuova relazione di lunga durata oramai caratterizzata da una piena stabilità, che ha registrato e registra contribuzioni economiche da parte del nuovo compagno alla reclamata, la quale non soltanto trascorre da anni le sue vacanze con il compagno, ma ne condivide i progetti di vita quotidiana, fermandosi a pernottare nella casa del L., di cui possiede le chiavi, con assoluta assiduità, rivestendo cariche sociali nelle società riconducibili al compagno e utilizzando mezzi di tali società. A fronte di ciò, la reclamata si è limitata a sostenere di non percepire redditi dalle cariche sociali che ricopre presso le società riconducibili al suo compagno e di non convivere stabilmente con il L., avendo locato una casa d’abitazione a suo nome, dopo la revoca dell’assegnazione della casa coniugale contenuta nel provvedimento impugnato, ove vive allorquando non si trattiene a dormire presso l’abitazione del suo compagno. Tali affermazioni, ad avviso della Corte, sono del tutto insufficienti a scalfire la prova dell’esistenza della convivenza more uxorio della S. con il L., fornita dal reclamante” (cfr. pag. 6-7 dell’impugnato decreto); ii) “… non può confondersi il concetto di coabitazione quotidiana con il concetto di convivenza more uxorio nell’accezione (..) di libera formazione di un nuovo progetto di vita, costante, stabile e continuativo tra due persone, che è quello che soltanto rileva ai fini della revoca dell’obbligo di corrispondere l’assegno divorzi le” (cfr. pag. 6-7 del medesimo decreto).

2.3.1. La corte catanese, dunque, ha descritto gli elementi istruttori che l’hanno indotta all’appena riportata conclusione, ed il corrispondente accertamento integra una valutazione fattuale, a fronte della quale la S., con il motivo in esame, tenta, sostanzialmente, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr ex multis, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3. Analoga sorte negativa merita il secondo motivo.

3.1. E’ sufficiente, infatti, considerare, da un lato, che l’asserito omesso esame della lamentata inadeguatezza dei redditi della S., in assenza dell’assegno divorzile, per fare fronte ai bisogni della sua quotidianità, non sussiste, avendola il giudice di merito espressamente presa in considerazione affermando, in proposito, ed affatto correttamente, che “una volta instaurata una convivenza stabile che rescinde la connessione con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, resta irrilevante il fatto che il convivente sia in grado o meno di aiutare economicamente la S., circostanza quest’ultima neppure dedotta dalla reclamata alla luce della presumibile consistenza patrimoniale del L.”; dall’altro, che le specifiche circostanze che avevano condotto alla originaria quantificazione dell’assegno predetto al momento del divorzio congiunto non sono state minimate riportate (in evidente violazione del principio di autosufficienza del ricorso, desumibile dal combinato disposto degli artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), sicchè questa Corte nemmeno è posta in condizione di apprezzare la decisività, o meno, della odierna doglianza per come concretamente prospettata.

4. Il ricorso va dunque respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, dovendosi, invece, dare atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

4.1. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la S. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Dispone per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

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