Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28915 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 08/11/2019), n.28915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29792/2017 proposto da:

A.S., nato a (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Chiara Busani;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2372/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/10/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/09/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – A.S., cittadino (OMISSIS), chiese il riconoscimento della protezione internazionale.

La Commissione Territoriale di Bologna rigettò la domanda, con decisione che venne impugnata dinanzi al locale Tribunale.

Con ordinanza del 9/5/2016, il Tribunale adito confermò la decisione della Commissione territoriale.

2. – Sul gravame proposto dal richiedente, la Corte di Appello di Bologna confermò la decisione di primo grado.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso A.S. sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello ritenuto non provate le circostanze dedotte dal ricorrente a sostegno della domanda di protezione internazionale, omettendo di esercitare i poteri istruttori d’ufficio.

Il motivo non è fondato

Ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. e), per rifugiato si intende il “cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all’art. 10”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass., Sez. 6-1, n. 16925 del 27/06/2018); è stato ancora affermato che, in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass., Sez. 6-1, n. 27503 del 30/10/2018).

Nella specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi.

La Corte di Bologna, infatti, ha escluso la credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente, per la contraddittorietà di quanto narrato dallo stesso nelle varie sedi in cui è stato sentito e per la ritrattazione di buona parte del suo racconto. Una volta ritenute non credibili le dichiarazioni del richiedente, con statuizione congruamente motivata e perciò incensurabile in sede di legittimità, nessun dovere istruttorio incombeva sulla Corte territoriale.

2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello negato la protezione sussidiaria, omettendo di esercitare i poteri d’ufficio per verificare le condizioni politiche e di ordine pubblico della regione di provenienza del ricorrente (ove esisterebbe un conflitto armato tra gruppi militari e terroristici) e per avere ritenuto il difetto di prova che egli fosse stato minacciato e sequestrato da un gruppo politico-religioso.

Anche questo motivo non è fondato.

Ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), per “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” si intende il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.

Il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, stabilisce che “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato (interno o internazionale) deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., Sez. 6-1, n. 18306 del 08/07/2019).

Questa suprema Corte ha ancora statuito che, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente (Cass., Sez. 6-1, n. 11312 del 26/04/2019).

Nella specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato i richiamati principi di diritto. La Corte di Appello, infatti, ha esercitato i suoi poteri officiosi, prendendo in esame diversi “report” relativi alle condizioni politiche e di ordine pubblico nella regione del “Azad Kashimir” dalla quale proviene il richiedente; all’esito di tale indagine, ha escluso che nella suddetta regione vi sia una situazione di conflitto armato che ponga in pericolo la incolumità del richiedente.

La statuizione è conforme a diritto e congruamente motivata (p. 7-9 della sentenza), superando così il vaglio di legittimità.

3. – Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello escluso anche la sussistenza delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Com’è noto, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (Cass., Sez. 1, n. 13096 del 15/05/2019; Sez. 6-1, n. 23604 del 09/10/2017).

Nella specie, la Corte territoriale ha puntualmente valutato la situazione del richiedente ed ha escluso la condizione di vulnerabilità dello stesso avuto riguardo alla sua situazione personale e a quella del paese di provenienza. Non ricorrendo i presupposti di fatto in presenza dei quali la legge prevede il riconoscimento della protezione umanitaria, non sussiste la dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sempre che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che, pur essendo stato il ricorso rigettato, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, stante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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