Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28914 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 12/11/2018, (ud. 24/05/2018, dep. 12/11/2018), n.28914

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1723-2017 proposto da:

A.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

VIMINALE 38, presso lo studio SI.NA.DI. STUDIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato SALVATORE CRISCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SCT S.P.A., – SALERNO CONTAINER TERMINAL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI GRACCHI 209, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA

PELLICCIONI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANNUNZIATA FREDA,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 913/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 07/11/2016 R.G.N. 295/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SALVATORE CRISCI;

udito l’Avvocato ANNUNZIATA FREDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1)La corte d’Appello di Salerno con sentenza n.874/2016 ha respinto il reclamo di A.V. avverso la sentenza del Tribunale di Salerno che aveva a sua volta rigettato la domanda di A., dipendente della Salerno Conteiner Terminal spa, diretta a far accertare l’illegittimità del suo licenziamento in tronco comminato il 6. 2.2014, con condanna alla reintegrazione.

2)La corte salernitana ha affermato che il primo giudice aveva correttamente ritenuto che i fatti erano stati contestati al lavoratore in modo da metterlo in condizione di difendersi, risultando l’ A. rinviato a giudizio per reati commessi sul luogo di lavoro e concernenti il contrabbando di tabacchi lavorati esteri.

3)Secondo la corte, sebbene la valutazione della giusta causa dovesse effettuarsi autonomamente rispetto all’accertamento penale, andavano considerati gli elementi oggettivi e soggettivi scaturenti dalle acquisizioni esistenti nel fascicolo penale, ove incidenti sul rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

4)E’ stata poi esclusa una tardività della contestazione disciplinare, avvenuta all’atto della conoscenza dei fatti di rilevanza penale, ritenendo i giudici di appello che il fatto concretante giusta causa era adeguatamente provato, perchè l’ A. era stato uno dei dipendenti immediatamente sottoposti a perquisizione locale e personale in quanto ritenuto soggetto che aveva avuto un ruolo importante nella compagine criminosa facente capo a tale D.D.M., come emergeva dall’informativa di reato di cui alla richiesta di rinvio a giudizio, in cui la prospettazione accusatoria aveva ad oggetto il consistente supporto logistico offerto dal lavoratore il quale, nella sua qualità di carrellista, aveva spostato più volte all’interno degli spazi doganali, per evitare i controlli, il conteiner della società datrice di lavoro (affidataria del servizio di movimentazione conteiner nel porto di (OMISSIS)) contenente una partita di Tabacchi Lavorati Esteri.

5)Secondo la corte salernitana quindi, come già ritenuto dai giudici di prime cure in fase sommaria e di opposizione, i fatti contestati (ausilio ai colleghi di lavoro infedeli nell’attività di acquisto, occultamento e vendita di T.L.E.) erano di rilevante gravità, nè tali fatti dovevano presentare i medesimi elementi costitutivi del fatto penalmente rilevante, essendo sufficiente che vi fosse un’identità del fatto storico, ossia che le attività compiute, per quanto già comprovate e per le quali vi era una richiesta di rinvio a giudizio, fossero state commesse abusando delle prestazioni lavorative in luoghi ai quali A. aveva accesso esclusivamente in qualità di dipendente della società.

6)Per la corte quindi vi era oltre all’esistenza dei fatti per come contestati, anche la diretta connessione delle condotte illecite (sebbene solo contestate non essendovi ancora una condanna) con lo svolgimento delle mansioni svolte per la società e quindi con esposizione della stessa a nocumento, morale e materiale e sussisteva pertanto la giusta causa, con conseguente adeguatezza della massima sanzione espulsiva adottata.

7)Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.V. affidato a cinque motivi, a cui ha resistito la società con controricorso. Sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8)Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell’art. 35, lett. B del CCNL 2009 per avere la corte di merito ritenuto sufficiente, ai fini della gravità della valutazione della sua condotta, il mero rinvio a giudizio in sede penale senza accertare l’effettiva sussistenza dei fatti riconducibili alla contestazione, avendo omesso qualsiasi accertamento istruttorio delle circostanze di fatto, quindi della sussistenza dell’addebito e della gravità dello stesso, onde verificare la lesione del vincolo fiduciario; ciò in assenza di qualsiasi indicazione di quali elementi fattuali siano stati accertati e presi in considerazione al fine di giustificare il processo di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta.

9) Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5: non avrebbe considerato e quindi valutato la corte salernitana la documentazione prodotta dalla società datrice di lavoro, ossia le intercettazioni telefoniche dalle quali non emergeva che l’ A. fosse sodale del D.D., indicato dagli inquirenti come il capo della banda, oltre che dell’ Al., altro dipendente coinvolto nell’indagine penale, nè risultando da tale informativa se poi effettivamente fosse stato effettuato il travaso di carico di tabacchi. Non essendo peraltro neanche stato individuato il solo soggetto, tale P., che avrebbe collegato il ricorrente alla commissione del fatto a lui addebitato.

10)con il terzo motivo dò gravame si deduce la violazione L. n. 604 del 1966, art. 5 per avere la corte ritenuto che i fatti addebitati fossero provati in base alla sola circostanza che l’ A. era indagato e rinviato a giudizio, così ritenendo il licenziamento legittimo, sulla base di una responsabilità presunta, avendo peraltro anche avuto esito negativo la perquisizione a suo carico, sia locale che personale.

11) con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 36 del CCNL per aver applicato la datrice di lavoro la sospensione cautelativa dal rapporto sebbene non vi fosse alcuna prova degli addebiti contestati.

12) con il quinto motivo si lamenta un omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per non avere la corte di merito svolto alcuna motivazione in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali.

13) Possono esaminarsi congiuntamente i primi tre motivi perchè connessi, avendo ad oggetto la questione della assenza di prova della commissione da parte dell’ A. di qualsiasi reato contestatogli in sede penale. I motivi non meritano accoglimento.

14) Non è revocabile in dubbio che il giudice davanti al quale sia impugnato un licenziamento disciplinare intimato per giusta causa a seguito del rinvio a giudizio del lavoratore con l’imputazione di gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto fiduciario – anche non commessi nello svolgimento del rapporto – deve accertare l’effettiva sussistenza dei fatti riconducibili alla contestazione, idonei ad evidenziare, per i loro profili soggettivi ed oggettivi, l’adeguato fondamento di una sanzione disciplinare espulsiva.

15) Ed infatti come statuito da questa corte (cfr Cass. n. 18513/2016) “Il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, di cui all’art. 27 Cost., comma 2, concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore suscettibile di integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna, neppure nel caso in cui il c.c.n.l. preveda la più grave sanzione espulsiva solo in tale circostanza. Ne consegue che il giudice, davanti al quale sia impugnato un licenziamento disciplinare, intimato a seguito del rinvio a giudizio del lavoratore, per gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto fiduciario – ancorchè non commessi nello svolgimento del rapporto -, non può limitarsi alla valutazione del dato oggettivo del rinvio a giudizio, ma deve accertare l’effettiva sussistenza dei fatti contestati e la loro idoneità, per i profili soggettivi ed oggettivi, a supportare la massima sanzione disciplinare”.

16)Nel caso in esame la corte d’appello ha precisato che i fatti ritenuti rilevanti e attribuibili al ricorrente risultavano emergere non dall’ordinanza di rinvio a giudizio, ma dall’informativa della guardia di finanza attestante l’effettuazione di una perquisizione effettuata all’interno dell’area portuale a seguito di un’intercettazione nella quale l’ A. – soprannominato il (OMISSIS) – era stato identificato come soggetto correlato con altri dipendenti della società nell’attività di contrabbando, con il precipuo compito di tenere la merce nei conteiners, avendo egli mansioni di carrellista addetto al prelievo di tali container dalle navi ed al loro collocamento in apposito spazio all’interno dell’area doganale.

17) La corte territoriale, confermando l’iter argomentativo seguito dal giudice di prime cure, ha quindi ritenuto che vi fosse la prova della appartenenza dell’ A., sia pure con posizione più marginale e di supporto, al sodalizio criminoso che era stato anche oggetto del giudizio penale, condotta comunque ritenuta di gravità tale da ledere l’elemento fiduciario. Nel caso in esame si è in presenza di una motivazione che rientra nell’ ipotesi cd. di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che comporta che il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr Cass. 26774/2016).

18) Ciò non ha fatto il ricorrente, che nel secondo motivo non ha indicato in alcun modo che le censure si fondavano su ragioni affatto diverse da quelle svolte nella sentenza appellata, con conseguente inammissibilità della censura stessa.

19) Inammissibili devono ritenersi anche le censure di cui al quarto ed al quinto motivo di ricorso. Il quarto risulta primo di specificità se non incomprensibile, atteso che il ricorrente sembra dolersi della adozione da parte della datrice di lavoro della misura cautelativa di cui all’art. 36 del CCNL che consente la sospensione dal lavoro nel caso di contestazioni aventi ad oggetto “mancanze disciplinari di particolare gravità”, ma non articola una comprensibile doglianza in ordine all’errato/utilizzo da parte della società di tale misura e neanche precisa quale sia stato l’errore commesso dalla corte salernitana con riferimento a tale norma contrattuale, che non risulta neanche oggetto di trattazione in sentenza.

20) Egualmente con il quinto motivo il ricorrente lamenta, in maniera inammissibile, la mancata ammissione delle richieste istruttorie, in particolare di capitoli di prova attinenti ai fatti oggetto di causa. Tuttavia tale doglianza non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Ed infatti oramai con la nuova formulazione della censura in esame, ” il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (così, tra le tante, Cass. n. 23940/2017, Cass. n. 4505/2016).

Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna del ricorrente soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

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