Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28913 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 08/11/2019), n.28913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16278/2018 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico n.

38, presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4919/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/06/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 24 novembre 2017, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di M.N., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le due dichiarazioni state ritenute attendibili (costui aveva riferito di essere fuggito dalla (OMISSIS) in quanto temeva per la sua vita in relazione al suo impegno contro la pratica dell’escissione e per aver svolto il ruolo di controllore per prevenire la mutilazione genitale femminile, attività in relazione alla quale aveva subito un’aggressione).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine, sia per l’insussistenza di una violenza diffusa derivante dal conflitto armato e non essendovi prova del collegamento tra l’aggressione asseritamente subita dal richiedente e la sua attività di controllore.

Infine, il ricorrente non è stato altresì ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione M.B. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale nonchè in giudizio ai fini della valutazione della sua condizione personale.

Lamenta l’erroneità di quanto sostenuto dalla Corte d’Appello di Milano sulla sua provata capacità di integrazione, avendo depositato documentazione da cui emergeva lo svolgimento in Italia di attività lavorativa a tempo indeterminato.

Contesta la valutazione di non attendibilità o coerenza delle sue dichiarazioni formulata dai giudici di merito, evidenziando comunque che la sua credibilità costituisce un dato ininfluente, occorrendo focalizzare l’attenzione sulla pericolosità del suo Paese d’origine.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese d’origine, che determinano una grave condizione di pericolo per la sicurezza individuale.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero in presenza di seri motivi di carattere umanitario, nonchè in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, non potendo essere disposta l’espulsione dello straniero perseguito nel suo paese d’origine.

Espone il ricorrente che le condizioni socio-economiche e sanitarie del Paese d’origine non consentono un livello sufficientemente adeguato ed accettabile di vita.

4. I motivi del ricorrente sono in parte inammissibili e in parte infondati e sono da esaminare unitariamente, avendo costui svolto plurime censure a largo raggio che investono indifferentemente (anche all’interno di uno stesso motivo, come, ad esempio, il primo) sia la mancata concessione delle protezioni internazionali che di quella umanitaria.

Vanno, in primo luogo, ritenute inammissibili le censure del ricorrente in ordine alla valutazione di non credibilità delle sue dichiarazioni formulate da entrambi i giudici di merito.

Sul punto, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Nel caso di specie, il ricorrente ha genericamente contestato il giudizio di non credibilità formulato dai giudici di merito senza neppure indicarne le ragioni, e senza neppure denunciare quindi le gravi anomalie motivazionali nei termini consentiti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in (OMISSIS) ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

Nè, peraltro, il ricorrente può fondare la sua richiesta di protezione internazionale sul grave rischio per la propria vita cui sarebbe esposto in caso di ritorno in (OMISSIS) in relazione al suo impegno contro l’infibulazione femminile.

Il provvedimento impugnato ha diffusamente argomentato in ordine all’insussistenza di tale rischio proprio per non avere ritenuto credibile la sua dichiarazione in ordine alle cause dell’aggressione asseritamente subita, essendosi trattato di un solo episodio circoscritto e non risultando che altri “controllori” siano stati parimenti oggetto di violenza.

Quanto alla protezione umanitaria, va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Se è pur vero che tale indirizzo è stato messo in dubbio dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11749/19, che ha, peraltro, rimesso alle Sezioni Civili non solo la valutazione della retroattività o meno del D.L. n. 113 del 2008, ma anche lo scrutinio sui principi elaborati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018, tuttavia, nel caso di specie, non è necessario sospendere il presente giudizio ed attendere la decisione del Supremo Collegio, atteso che la domanda del ricorrente non possiede i requisiti per un suo accoglimento neppure con i parametri elaborati nella citata sentenza n. 4455/2018.

In primo luogo, non è sufficiente per il ricorrente aver dedotto che le condizioni socio-economiche e sanitarie del Paese d’origine non consentono un livello sufficientemente adeguato ed accettabile di vita. Sul punto, questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha dedotto assolutamente nulla in ordine alle sue personali condizioni socio economiche prima della sua partenza dal (OMISSIS), avendo concentrato ogni sforzo di allegazione sulla vicenda – ritenuta non credibile dai giudici di merito legata al suo impegno contro l’infibulazione femminile, che lo avrebbe costretto ad emigrare repentinamente.

Infine, le censure del ricorrente in ordine al suo livello di integrazione raggiunto in Italia sono del tutto irrilevanti, avendo questa Corte già affermato che il livello di integrazione raggiunto dall’odierno nel paese d’accoglienza è un elemento che può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento se dovuto da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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