Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28911 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 08/11/2019), n.28911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24084/2018 R.G. proposto da:

E.O.C., rappresentato e difeso dall’avvocato

Santilli Stefania del foro di Milano per procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2903/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2019 dal cons. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza n. 2903/2018 depositata il 12-6-2018, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di E.O.C., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha affermato di condividere il giudizio espresso dal Tribunale in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato al richiedente, il quale aveva riferito di aver lasciato la Nigeria a causa dei problemi insorti con lo zio per questioni ereditarie. Con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) la Corte d’appello ha escluso la sussistenza di rischio di danno grave, in relazione alla vicenda personale narrata, di carattere privato, non essendo il richiedente accusato di alcun crimine nel Paese di origine. Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) la Corte d’appello ha evidenziato che il richiedente proveniva da una zona della Nigeria (Abia State), nella quale non vi erano allarmanti situazioni di conflitto armato interno, violenza indiscriminata ed instabilità politica, in base fonti di conoscenza (UNHCR e sito “viaggiaresicuri”). I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo il richiedente allegato un proprio coinvolgimento specifico in situazioni di rischio, a causa di elementi peculiari della sua situazione personale, descritta come riconducibile solo a dissidi familiari, nè elementi di significativa fragilità o vulnerabilità, anche considerando la reale situazione politico sociale dello Stato di provenienza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7 e 8, al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, agli artt. 2 e 3 C. E. D. U.. Violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 15 p.3 lett. a) e art. 46 p.3 della direttiva 2013/32/UE, dell’art. 13 p. 3 lett. a) della direttiva 2005/85/UE e dell’art. 4 p.3 della direttiva 2004/83/UEex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), non avendo compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente stesso e la situazione del Paese di origine; violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonchè omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Deduce che le vicende personali e familiari del richiedente costituiscono fattispecie potenziale di persecuzione, attuata in ambito domestico.

Lamenta omessa valutazione da parte della Corte d’appello del fenomeno familiare nel contesto ereditario, senza tener conto del fatto che il ricorrente aveva riferito di aver subito violenze e lesioni gravi, dalle quali aveva riportato una frattura alla tibia. La Corte territoriale ha così violato le indicazioni fornite dall’UNHCR, i parametri di valutazione della credibilità e l’obbligo di cooperazione istruttoria, senza citare le COI e senza esaminare i documenti prodotti sulla situazione dello Stato di provenienza e la documentazione sanitaria comprovante la frattura della tibia.

2. Il motivo è infondato.

2.1. La Corte d’appello ha condiviso la statuizione del Tribunale circa il mancato riconoscimento dello status di rifugiato in ragione della natura privata della vicenda personale narrata, correlata a questioni ereditarie, e comunque ravvisata generica, inattendibile e non circostanziata. Circa la documentazione sanitaria comprovante la frattura della tibia, nella sentenza impugnata si dà atto che il ricorrente, in sede di audizione avanti al Tribunale, riferiva di aver dichiarato il falso circa le cause della suddetta frattura in occasione della visita medica a cui si era sottoposto in Italia. La Corte territoriale ha dunque effettuato, nel rispetto degli indici legali, un accertamento di merito che non è sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo, non ricorrente nella specie, dell’anomalia motivazionale o dell’omessa valutazione di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. ord., 3340/2019 e Cass. S.U. n. 8053/2014).

2.2.Sono infondate anche le doglianze concernenti la mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi, atteso che il dovere di cooperazione istruttoria non sussiste se le allegazioni sono generiche e inattendibili (Cass. n. 27336/2018).

3. Con il secondo motivo denuncia “Motivazione meramente apparente. Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,8 e 14, al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, agli artt. 2 e 3 C.E.D.U..; violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della direttiva 2013/32/UEex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Circa il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria deduce il ricorrente che il Collegio non cita alcuna fonte di conoscenza, mentre dal sito di Amnesty International indicato dal richiedente risulta la situazione di pericolo esistente in Nigeria ad opera dei combattenti di Boko Haram. La motivazione della sentenza impugnata è meramente apparente, ad avviso del ricorrente, per l’impossibilità di individuare le COI su cui si fonda il percorso argomentativo del Collegio d’appello. Lamenta inoltre il mancato esercizio di cooperazione istruttoria anche sull’effettiva capacità dello Stato di garantire la protezione ai suoi cittadini da parte di soggetti non statuali.

4. Il motivo è infondato.

4.1. Le fonti di conoscenza sono menzionate nella sentenza impugnata (UNHCR e sito viaggiare sicuri) e il dovere di cooperazione istruttoria risulta compiutamente adempiuto. La Corte territoriale afferma che nella zona di provenienza del ricorrente (Abia State) non vi sono attentati di Boko Haram e l’affermazione non è specificatamente censurata.

I vizi di violazione di legge e motivazionale denunciati sono pertanto insussistenti.

5.Con il terzo motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10 Cost., comma 3 e art. 2 Cost. e art. 8 CEDU”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato che la condizione di vulnerabilità deriva dallo stato di instabilità ed insicurezza della Nigeria e dalla situazione di povertà, sicchè il rimpatrio non gli consentirebbe di soddisfare bisogni ed esigenze ineludibili, connessi al suo sostentamento e al raggiungimento di standard minimi per un’esistenza dignitosa. Rileva di versare in una condizione di disabilità, a causa della frattura pregressa alla tibia, sì da necessitare di cure mediche, e di aver raggiunto in Italia un livello di integrazione sociale e anche lavorativa, quest’ultima non documentabile perchè l’attività lavorativa prestata non è stata regolarizzata.

6. Anche l’ultimo motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che “La protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. n. 3681/2019).

Nel caso di specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente facendo applicazione dei principi suesposti e con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, sia con riferimento alla vicenda personale del ricorrente, sia avuto riguardo alla situazione generale della Nigeria e della zona dell’Abia State, restando così irrilevante il percorso di integrazione sociale in Italia.

Non ricorrono le violazioni di legge denunziate e la motivazione della sentenza impugnata è adeguata anche in ordine alla rilevanza della frattura alla tibia, avendo la Corte territoriale affermato, all’esito dell’esame della documentazione medica prodotta, che non risultano prescritte terapie di particolare complessità, ma solo antidolorifici.

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

8. Nulla si dispone sulle spese del giudizio di legittimità, atteso che il Ministero è rimasto intimato.

9. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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